Qual è il destino che si profila per le due aziende? A Taranto, la decisione del Tribunale del riesame, giunta ai primi di agosto, sembra concedere la prosecuzione della produzione dell’Ilva, ma tecnici e ingegneri devono cominciare la messa in sicurezza e la bonifica delle apparecchiature. Si ragiona sulla copertura dei parchi minerari, le cui polveri velenose sono trasportate nelle giornate ventose verso le zone abitate, in particolare del quartiere Tamburi. Ma il Gip sembrerebbe voler procedere nella direzione dell’arresto degli impianti. Intanto, il governo tramite il Cipe interverrebbe con 336 milioni di euro, di cui 7 a carico dell’azienda, e con un decreto – ribattezzato decreto accelera-bonifica – che snellirebbe le procedure di bonifica. Ci vorranno almeno cinque anni durante i quali gli impianti potrebbero non essere chiusi, mentre le procedure legate all’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale, dovrebbero indicare le tecnologie più avanzate che l’azienda dovrà adottare. (1)

UN CARBONE SENZA FUTURO

Per Carbosulcis il problema è diverso, sicuramente nelle dimensioni, ma non meno complesso. Il carbone sardo ha una percentuale di zolfo molto alta e richiede diverse lavorazioni che lo rendono troppo costoso. Negli anni Novanta il progetto di gassificazione su cui si erano fondate le speranze del territorio e del sistema politico fu affossato dal sistema bancario che lo ritenne non “bancabile”. Si è affacciato in questi anni un altro piano, fortemente sostenuto dalla Regione Sardegna che vorrebbe rilanciare il distretto minerario rendendolo un polo di ricerca e sperimentazione sul “carbone pulito”: prevederebbe la costruzione di una nuova centrale elettrica a tecnologia ultra super critica della potenza di 450 MW, integrata allo sfruttamento della miniera di Nuraxi Figus (che dovrebbe coprire circa il 50 per cento del fabbisogno della centrale, la restante parte sarebbe importata dall’estero), il tutto dotato di un impianto dimostrativo di cattura e confinamento della CO2. Il progetto miniera-centrale-impianto di cattura e stoccaggio della CO2 è suggestivo, ma sfortunatamente scarsamente percorribile per ragioni economiche e politiche.
Quella del Ccs – Carbon Capture and Sequestration – è considerata dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) la soluzione tecnologica per evitare che finiscano in atmosfera le emissioni di gas-serra massicciamente prodotte dalle numerose centrali a carbone esistenti e in costruzione, soprattutto in paesi come Cina e India ma anche in Australia, Stati Uniti e Sud Africa. La tecnologia è però ancora a uno stadio “dimostrativo”, quella fase in cuiimpianti pilota funzionano, ma ulteriore sviluppo è necessario perché disegno e costruzione siano pronti per l’utilizzo su larga scala. Tutto ciò fa sì che al momento questi impianti siano ancora molto costosi, cosicché l’elettricità prodotta con il carbone diventa non competitiva rispetto a quella di fonti meno inquinanti come il gas. In sostanza, la fase dimostrativa è necessaria per acquisire esperienza sui reali costi e sul tempo necessario per raggiungere la piena disponibilità della tecnologia. Questa fase  durerà almeno fino alla fine del decennio, tant’è che il Consiglio europeo del marzo 2008 ha spinto la Commissione a presentare un meccanismo volto a incentivare gli Stati membri e il settore privato alla costruzione e alla messa in funzione, entro il 2015, di un massimo di dodici impianti di dimostrazione della Ccs. E l’Unione Europea, nell’ambito del famoso pacchetto “20-20”, ha approvato la direttiva 2009/31/Ce in cui istituisce un quadro giuridico per lo stoccaggio geologico ambientalmente sicuro di CO2, che è stata recepita dal Consiglio dei ministri nel marzo del 2011.
La Ccs gode di assegnazione gratuita di quote per un valore pari 300 milioni di quote di CO2 accantonate nella Riserva nuovi entranti (Ner300) ai sensi della direttiva sulla nuova fase dell’Ets, il meccanismo di scambi di permessi di emissione vigente sul territorio dell’Unione. Secondo un documento della Commissione europea del 12 luglio scorso, il programma di finanziamento Ner300 potrebbe contare su 1,3-1,5 miliardi di euro per il cofinanziamento di un massimo di tre impianti dimostrativi Ccs e sedici impianti dimostrativi di  utilizzo innovativo di fonti rinnovabili. (2) La lista degli impianti Ccs tra cui selezionare i primi 2 o 3 include un solo sito italiano, ed è la centrale Enel di Porto Tolle(3)
Se, nonostante le rassicurazioni di Enel, a Rovigo sono andati in fibrillazione per il timore di un ballottaggio tra Sardegna e Veneto, con 400 e rotti minatori là e 400 dipendenti qua, alla fine è comunque un problema di costi. Non è facile fornire cifre precise, ma un metro possibile è quello di vedere quanto costa una tonnellata di CO2 evitata utilizzando diverse tecnologie energetiche. McKinsey & company stima che nel 2030 il costo potrebbe scendere a 30-45 euro, in linea con il valore che si prevede avranno i prezzi del carbonio allora nel sistema Ets, in riduzione dagli attuali valori di impianti dimostrativi pari a 60-90 euro. (4) Il costo dell’elettricità risulterebbe accresciuto in una percentuale tra 25 e 60 punti a seconda della tecnologia di cattura. Alla luce di questi dati, i 200 milioni di euro richiesti dai minatori per otto anni, il costo dell’opera di 1,6 miliardi di euro, finanziati in bolletta, fanno sfigurare i 600 milioni di euro che, complessivamente, si stima siano stati investiti dalla Regione – e quindi dai contribuenti – dal 1996 a oggi per tenere aperta Carbosulcis in attesa di un compratore. La cosa non sembra proprio proponibile e giustamente il governo non pare disposto a sostenerla.

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(1) Il ministro della Salute Balduzzi ha ricordato che il Consiglio dei ministri ha deciso di includere il sito di Taranto nel progetto “Sentieri” (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento), che ha come obiettivo la valutazione e l’impatto sulla salute dei siti inquinanti (si vedahttp://www.epiprev.it/pubblicazione/epidemiol-prev-2011-35-5-6-suppl-4).
(2) A marzo 2012 il Global Ccs Institute identificava 75 progetti integrati Ccs a larga scala in 17 paesi con vari stadi di sviluppo, solo 8 di questi operativi. Il primo paese per finanziamenti al Ccs sono gli USA. Oggi in Europa esiste un solo impianto funzionante in Norvegia. In Italia Enel ed Eni hanno lanciato un progetto pilota a Brindisi dove l’anidride carbonica è catturata e trasportata per 930 chilometri a Cortemaggiore per lo stoccaggio in un giacimento esaurito. L’impianto è stato inaugurato il 1 marzo 2011 ed è pronto ad entrare in funzione quando la fase di monitoraggio del giacimento piacentino sarà terminata. Il documento di lavoro della Commissione “Ner300 – Moving towards a low carbon economy and boosting innovation, growth and employment across the EU” presenta una lista di 8 siti più 2 di riserva, 5 dei quali nel Regno Unito, 1 in Francia, 1 in Polonia ed 1 in Romania: http://ec.europa.eu/clima/news/articles/news_2012071201_en.htm.
(3) Porto Tolle ha le stesse caratteristiche di quello di Torrevaldaliga Nord, poi convertito a carbone: 4 gruppi per una potenza complessiva 2.640 MW alimentati a olio combustibile. La centrale è oggi, di fatto, quasi completamente ferma e, tra blocchi, ricorsi e una recente sentenza favorevole del Consiglio di Stato attende di essere riconvertita a carbone, così come già avvenuto a Civitavecchia. Il nuovo impianto sarà costituito da 3 gruppi da 660 MW (per complessivi 1.980 MW) con tecnologia super critica, sarà in grado di catturare 1 milione di tonnellate di CO2 all’anno da sequestrare in un acquifero salino dell’Adriatico.
(4) http://www.mckinsey.it/storage/first/uploadfile/attach/140972/file/13._dicembre_2008_2_practice_news_ccs_assessing_the_economics.pdf. Si veda anche lo studio Enea http://www.enea.it/it/Ricerca_sviluppo/documenti/ricerca-di-sistema-elettrico/elettricita-idrogeno/rse22.pdf.


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