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Banche: i costi della mancata concorrenza

Gli ultimi dati aggiornati da Cap Gemini confermano che in Italia i costi dei servizi bancari sono più alti rispetto agli altri paesi Ocse. Riproponiamo ai nostri lettori un intervento che documentava i costi della mancata concorrenza in Italia e alleghiamo le nuove tabelle tratte dallo studio Cap Gemini.

Banche: i costi della mancata concorrenza, di Tito Boeri e Roberto Perotti

Il possibile compromesso alla Camera…

Nell’ ambito del dibattito sul risparmio, si sta delineando un compromesso sul ruolo della Banca d’ Italia: potrà tenersi il controllo di fatto del sistema bancario, vincendo così la concorrenza dell’Antitrust, in cambio di un qualche limite sul mandato del governatore.

Il giudizio su questo compromesso dipende necessariamente dalla valutazione del ruolo della Banca d’Italia nel tutelare la concorrenza del sistema bancario in questi ultimi anni. Una parte importante di questa valutazione consiste nella risposta ad una semplice domanda: quali sono stati gli effetti sul consumatore del processo di riorganizzazione del sistema bancario?

.. e la disputa con Bruxelles sull’internazionalizzazione

La risposta a tale quesito è importante anche in connessione alla recente disputa fra Banca d’Italia e Commissione Europea. Il grado effettivo di concorrenza all’interno del sistema bancario dipende infatti dalla protezione di cui le banche italiane godono nei confronti di potenziali investitori esteri. Il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, ha sottolineato come la quota straniera nelle prime quattro banche italiane, pari al 16 percento, sia la più alta d’ Europa. Ma il punto rilevante per valutare l’ effetto sulla concorrenza non è la quota di partecipazione straniera, bensì la contendibilità. Deve essere realisticamente concepibile per una banca straniera acquisire un pacchetto di maggioranza di una importante banca italiana. Oggi questo non sembra essere il caso.

La distinzione tra quota complessiva e pacchetto di controllo di singole banche è importante. Il settore bancario ha fatto molti progressi nell’ultimo decennio, ma permangono notevoli sacche di inefficienza e comportamenti non competitivi. L’ entrata di soggetti stranieri con quote di controllo contribuirebbe a introdurre più concorrenza, forme alternative di cultura aziendale, nuove tecnologie e servizi. Come in tutte le situazioni in cui la concorrenza è limitata artificialmente, alla fine chi paga è il consumatore, in termini di prezzo, qualità e varietà dei servizi bancari offerti al consumatore.

Quanto costa la mancata concorrenza ai consumatori?

Una ricerca di Capgemini ha calcolato il prezzo nel 2003 di una serie di “core banking services” (assegni e pagamenti, gestione del conto, anticipi e scoperti, e gestione degli errori) su un campione di 73 banche in 11 paesi (Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Olanda, Norvegia, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Svezia). I risultati sono nella Tabella 1: come si vede, il prezzo medio di questi servizi nelle 6 banche italiane nel campione (le 6 maggiori banche italiane per attivi) è il più alto: € 206, contro una media nei paesi del campione di € 109. I dati per il 2004 verranno resi noti il 22 marzo di quest’anno. Il costo dei conti bancari, aggiustato nel 2004 per tenere conto della composizione tipica dei servizi bancari utilizzati dal consumatore medio in ogni paese, è ancora in Italia tra i più alti d’Europa, anche se con differenze meno marcate rispetto alla precedente ricerca.

Come riportato dal Sole 24 Ore di lunedì 21 febbraio, una ricerca di Mercer Oliver Wyman per l’ABI su 7 paesi (Italia, Spagna, Germania, Francia, Belgio, Olanda, Regno Unito) è giunta ad una conclusione simile, pur qualificata in alcune direzioni. La ricerca tiene conto del prezzo effettivo pagato dai consumatori, che spesso si discosta da quello di listino, e dell’ uso di “pacchetti” che includono operazioni e servizi gratuiti; pur con questi aggiustamenti, il costo medio in Italia di un conto di deposito è di € 133, contro una media dei 7 paesi di 73. Anche escludendo il Belgio, l’Olanda e il Regno Unito, dove il modello di business è completamente diverso, l’ Italia ha un costo medio più alto che negli altri paesi.

I più alti costi al consumatore dei servizi bancari di base possono, almeno in linea di principio, essere compensati da uno spread minore tra tassi attivi e tassi passivi, cioè da una remunerazione più alta dei depositi per un dato tasso attivo. In effetti si nota una relazione inversa tra spreads e costi dei servizi bancari in tutti i paesi. Ma non in Italia. Sempre secondo la ricerca Capgemini, dopo la Germania nel 2003 avevamo infatti lo spread più alto di tutti i paesi del campione, 4,5 punti percentuali.

Indicazioni diverse – sui tassi di cambiamento piuttosto che sui livelli – si ricavano dai dati Eurostat (cfr. anche un recente lavoro di Giovanni Ferri e Ugo Inzerillo). Dal 1996 alla fine del 2004, il costo dei servizi bancari era aumentato del 78 percento in Italia, e del 28 percento nella media dei 15 paesi dell’ Unione Europea; esso era addirittura sceso del 30 percento nel Regno Unito. Anche negli ultimi tre anni coperti (dal 2002 al 2004) l’ incremento dell’ indice è stato ben superiore in Italia rispetto alla media UE: 23 percento contro 9 percento.

Questo indice include anche operazioni non al dettaglio. Un dato utile riguardo alle operazioni al dettaglio si può desumere dalla componente “servizi bancari” nell’ indice dei prezzi al consumo ISTAT. Rispetto al 1998, l’indice dei servizi bancari a fine 2004 è aumentato del 48 percento, contro un aumento del 17 percento dell’ indice generale dei prezzi al consumo.

Una terza fonte di informazioni per un confronto internazionale è il rapporto “Public Opinion in Europe: Financial Services” della Commissione Europea. La tabella 2 mostra alcune domande che si riferiscono alle banche, e la percentuale delle risposte “difficile o molto difficile” in Italia e nella media dei paesi Europei; la tabella mostra inoltre il numero dei paesi in cui la percentuale di risposte “difficile o molto difficile” eccede la percentuale italiana.

Questo tipo di investigazioni va preso con cautela: le risposte possono essere influenzate da fattori culturali di cui le banche non sono responsabili. Tuttavia, esse offrono indicazioni interessanti. Come si vede, in tutti i casi la percentuale italiana è superiore a quella della media dei paesi. In alcuni casi (come la trasparenza delle informazioni e il potere contrattuale nel caso di dispute con la propria banca) la differenza è sostanziale.

Quindi che fare?

Il sistema bancario italiano ha indubbiamente compiuto notevoli progressi negli ultimi anni, grazie anche alle direttive dell’Unione Europea che ci hanno imposto di liberalizzare gli sportelli, portando ad un loro forte incremento. Ma un confronto internazionale sui livelli dei costi dei servizi offerti ci dice che rimane ancora molto cammino da compiere. In questo quadro, chiudere le porte alla concorrenza estera può essere pericoloso.

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E a chi affidare la tutela della concorrenza bancaria? Da un lato, Bankitalia ha dato chiari segnali sulla propria posizione riguardo all’apertura del nostro sistema bancario a banche estere. Dall’ altro, alcune recenti nomine all’Antitrust fanno temere che questo istituto potrebbe non avere l’ autorevolezza e le competenze necessarie per occuparsi di un settore così cruciale. In assenza di questi problemi – che speriamo siano transitori – la scelta ricadrebbe a favore dell’Antitrust.

Tabella 1: costo dei servizi bancari di base e spread

Italia

USA

Norvegia

Canada

Spagna

Francia

Germania

Svezia

Belgio

Regno Unito

Olanda

Costo annuale dei Servizi Bancari di Base, in Euro

206

175

156

117

104

102

102

88

60

56

31

Spread tra tassi attivi e passivi

4.5

2.7

1.5

1.6

2.2

4.1

6.2

  

2.6

 

Fonte: Capgemini, “World Retail Banking Report 2004” , con successive modifiche

 

Tabella 2: inchiesta Commissione Europea

 

Italia

EU15

Paesi con percentuale di risposte positive superiore all’ Italia

Confrontare informazione tra banche sulle caratteristiche e i costi dei conti è difficile o molto difficile

62

50

1 paese

Conoscere in anticipo il costo di un prestito dalla banca è difficile o molto difficile

44

43

5 paesi

Cambiare banca è difficile o molto difficile

22

21

3 paesi

Vincere una disputa con la banca è difficile o molto difficile

83

76

Nessuno

L’ informazione da istituzioni finanziarie è chiara e comprensibile: non sono d’ accordo

66

58

1 paese

    

Fonte: “Public Opinion in Europe: Financial Services”

La risposta di Luigi Grillo

Nell’articolo pubblicato da www.lavoce.info e ripreso sul «Sole-24 Ore» del 26 febbraio a firma di Boeri e Perotti, due esperti riconosciuti, viene esaminata una ricerca sul livello dei costi dei servizi bancari in Italia e in altri principali Paesi, europei ed extraeuropei. Non si dispone del testo della ricerca, che andrà analizzato in dettaglio. Ma dopo aver letto ciò che ne scrivono gli autori dell’articolo, se ne potrebbe paradossalmente inferire, contro la tesi esposta, che il costo di questi sevizi è inferiore laddove la concorrenza delle banche estere è minore. Spiegherò più avanti perché: nell’editoriale di danno per logiche, o comunque scontate, alcune deduzioni che, però, sono tutte da dimostrare. Dalle affermazioni sul costo dei servizi bancari, si fa discendere che si deve ampliare la concorrenza e che la via per farlo (prima deduzione) è non chiudere la porta alla concorrenza estera; inoltre (seconda deduzione) occorre trasferire la tutela della concorrenza bancaria dalla Banca d’Italia all’Antitrust.Quanto al primo aspetto, nell’articolo si omette di considerare i punti di partenza della diffusione in Italia della concorrenza nel sistema bancario. È stato da tempo ricordato che negli ultimi dieci anni, nel sistema, la produttività è cresciuta significativamente; poco è, invece, aumentato il costo reale del lavoro, ma la profittabilità è diminuita, compressa dall’accentuata concorrenza. Il numero degli intermediari si è ridotto di 300 banche. E ciò è accaduto in un settore che – è bene sottolinearlo – era stato descritto agli inizi degli anni novanta come una «foresta pietrificata», con gravi problemi, innanzitutto di stabilità, forse anche, a un certo punto, di carattere sistemico. Nell’ultimo decennio si è assistito a una riorganizzazione che ha elementi di raffronto, pur tenendo conto dell’enormemente diverso contesto, solo nella ristrutturazione bancaria degli anni trenta. Ora il sistema bancario è ristrutturato, stabile, efficiente, pronto a competere in Europa.
In un’analisi compiuta da autorevoli intellettuali, quali sono gli autori dell’articolo, può trascurarsi la considerazione dello sviluppo storico e dei progressi segnati? Non sono questi ultimi la prova che, sotto ‘opera propulsiva della Banca d’Italia, saranno senz’altro possibili ulteriori avanzamenti?
D’altro canto, in molti dei Paesi citati nell’articolo, innanzittutto Germania e Francia, ma anche in altri Paesi, l’apertura alla concorrenza estera, come è stato dimostrato «per tabulas» dal Governatore a Modena, è di gran lunga inferiore a quella italiana: se ne può dedurre che la relazione costo dei servizi-concorrenza dall’estero potrebbe diventare claudicante. Ma veniamo alla prima deduzione: dove è scritto che in Italia le porte siano chiuse alla concorrenza estera? Basterebbe leggersi i dati presentati sempre da Antonio Fazio a Modena, sia per il credito al dettaglio sia per il credito all’ingrosso, dove è assai rilevante l’attività di intermediari esteri. Le collaborazioni con banche estere sono significative; ma vi sono anche casi di controllo di banche italiane da parte di intermediari esteri. Sarebbe opportuno leggere anche le considerazioni svolte nella lettera al Commissario Mc Creevy pubblicata dal «Corriere della Sera» nella quale il Governatore afferma che «quando sono avanzate istanze, le autorizzazioni, che riguardano quote sia minoritarie sia di controllo, sono concesse oppure negate sulla base di iter decisionali che rispondono alle norme di legge sui procedimenti amministrativi, i provvedimenti sono motivati e, come tutti gli atti amministrativi, impugnati in sede giurisdizionale. Il controllo operato dalla giurisdizione sui provvedimenti della Vigilanza è stato costantemente favorevole». Allora si vuole forse arrivare a un automatismo dell’insediamento? Dobbiamo essere noi i «primi della classe»? Non vi è in giro una certa visione salvifica dell’estero?
La seconda deduzione (passaggi della concorrenza all’Antitrust) potrebbe, anch’essa, essere capovolta. La concorrenza non è in antitesi alla stabilità; è un requisito di efficienza e, come tale, è strettamente legata alla stabilità. La tutela dell’una integra la tutela dell’altra: lo dicono analisi scientifiche e verifiche empiriche. Da quando è stata varata in Italia la legislazione antitrust fino a oggi, la Banca d’Italia ha condotto, in collaborazione con l’Autorità Garante, 700 indagini nella conclusione delle quali non vi è stato alcun disaccordo. La Banca d’Italia, con le sue filiali, ha una diffusione capillare su tutto il territorio nazionale e una disponibilità di dati e informazioni che altre istituzioni non posseggono. Esiste, inoltre, una specificità della concorrenza bancaria, considerata la tutela costituzionale del risparmio (articolo 47). Sopra sono stati richiamati i progressi segnati dall’opera di promozione della concorrenza. Allora non si capisce perché bisognerebbe disporre questo trasferimento di competenze: i dubbi si aggravano poi perché gli stessi autori sollevano perplessità sull’autorevolezza e sulle competenze necessarie, nell’Antitrust, per occuparsi di una tale materia. Ma quali, dunque, sarebbero le ragioni, valide, del trasferimento?
Un’ultima notazione: le profluvie di interventi che si sono sviluppati sulla stampa, commentando il disegno di legge sulla tutela del risparmio, in tema di concorrenza bancaria e di alcune altre materie istituzionali, ha avuto, fra le altre, una ricaduta assolutamente negativa: sono state del tutto trascurate parti importanti della proposta di legge, quelle relative alla governance, ai controlli interni, alla trasparenza che avrebbero bisogno di radicali modifiche e che si trovano, a differenza di quelle trattate sui giornali, in un rapporto di stretta consequenzialità con le cause dei noti dissesti finanziari. Forse siamo ancora in tempo per rimediare.


Luigi Grillo
Senatore Forza Italia, presidente Commissione Lavori pubblici, comunicazioni

La controreplica degli autori

Nella sua risposta al nostro intervento sul sito www.lavoce.info, ripreso dal Sole24ore del 26 febbraio, il senatore Grillo muove tre rilievi: i) i miglioramenti di efficienza registrati nell’ultimo decennio provano che Bankitalia ha agito a tutela della concorrenza, e che quindi è opportuno che continui a occuparsi di quest’ultima; ii) i dati sul credito mostrano che in Italia le porte sono già aperte alla concorrenza estera; e vi sono anche casi si controllo di banche italiane da parte di intermediari esteri; iii) Bankitalia vanta conoscenze più approfondite dell’Antitrust sul sistema bancario ed è dunque in una posizione migliore dell’Antitrust nel tutelare la concorrenza.
(i) Nessuno vuole disconoscere i meriti di Bankitalia nel processo di riorganizzazione del sistema bancario. Ma è opportuno non esagerare. Si prenda la la liberalizzazione degli sportelli. Come hanno recentemente ricordato Luigi Guiso e Luigi Zingales, essa è stata uno dei motivi principali per l’ aumento della concorrenza e dell’ efficienza del settore bancario: ma lo stimolo è venuto in gran parte dall’Unione Europea.
(ii)  Come abbiamo osservato nel nostro articolo, i dati sugli attivi ricordati dal Governatore Fazio non hanno necessariamente molta rilevanza. Ricordiamo che per controllo, in conformità con l’art.23 della Legge Bancaria, si intende la possibilità di nominare la maggioranza degli amministratori di una banca. A parte il caso della Banca Popolare di Lecco acquisita dalla Deutsche Bank circa 10 anni fa, saremmo grati al Senatore Grillo se ci indicasse con precisione “i casi di controllo di banche italiane da parte di intermediari esteri” cui fa riferimento nel suo intervento; e gli chiediamo se sia disposto a dichiarare che, qualora esempi di questo tipo esistano effettivamente, questi siano quantitativamente rilevanti nel panorama bancario italiano.
(iii) E’ indubbio che Bankitalia abbia una grande disponibilità di dati e informazioni sul nostro sistema bancario, ma non è questo il punto. Anche Microsoft ha probabilmente più dati e informazioni sul settore del software di qualunque altra organizzazione. Ma non per questo sarebbe ragionevole proporre Bill Gates come Presidente dell’Antitrust – anche se, dobbiamo ammetterlo, non finiamo di stupirci di come avvengano le nomine a questo organo.

Tito Boeri e Roberto Perotti

Il commento di Federico Ghezzi

Nella sua replica all’articolo di Boeri-Perotti, il senatore Luigi Grillo scrive che “Da quando è stata varata in Italia la legislazione antitrust fino a oggi, la Banca d’Italia ha condotto, in collaborazione con l’Autorità garante, 700 indagini nella conclusione delle quali non vi è stato alcun disaccordo”. Certe affermazioni dovrebbero fondarsi, nella forma e nella sostanza, sui fatti: nel caso di specie, sui provvedimenti e sulle decisioni assunte dalle due Autorità.
Studio questo settore da quindici anni, e posso affermare senza tema di smentite che non si può assolutamente sostenere che non vi siano stati, e non vi siano tuttora, disaccordi anche profondi tra le due Autorità. Certo, se si prendono le istruttorie su casi insignificanti, tutti sono d’accordo.
Ma prendiamo i casi più rilevanti. Ebbene, in quasi tutti i casi principali, le due Autorità non erano d’accordo su vari aspetti delle questioni oggetto del provvedimento. E il disaccordo va dalla individuazione dei mercati di riferimento (vedi Banca Intesa), alla valutazione delle condotte delle parti (ad esempio, i casi norme bancarie uniformi, pagobancomat, eccetera), alla valutazione delle sanzioni da proporre (vedi amici della banca, o altri casi in cui l’Autorità propone sanzioni anche rilevanti e la Banca d’Italia non le commina, o le fissa a livelli simbolici).  Anche nell’ambito delle concentrazioni vi sono sostanziali disaccordi sulla diagnosi e sui rimedi proposti (basti vedere i casi che riguardano il Banco popolare di Sassari, il Banco di Sicilia, Banca Mediterranea, e così via).
Ora, se negare che vi siano disaccordi è negare l’evidenza, occorre fare un passo in più, e cioè capire se tale divergenza sia o meno casuale.
È facile osservare che sistematicamente la Banca d’Italia è più “benevola” nei confronti delle banche: non apre istruttorie mentre l’Autorità garante lo suggeriva; contro il parere dell’Autorità, archivia casi di intese in quanto non anticompetitive; esenta fattispecie ritenute non esentabili dall’Autorità garante; vieta, ma non sanziona, condotte ritenute meritevoli di sanzioni dall’Autorità generale, e così via.
È evidente che questo non significa che abbia sempre torto l’Istituto di vigilanza e sempre ragione l’Autorità garante. Anzi, è ben possibile che grazie al privilegio informativo di cui si parlava nell’articolo, le decisioni della Banca d’Italia siano più corrette, e quindi migliori. Ma è sufficiente a smentire nel modo più assoluto la completa convergenza di opinioni. Molto più grave è che la Banca d’Italia non abbia rispettato, formalmente e sostanzialmente, quanto statuito anche dal Consiglio di Stato in relazione alla suddivisione delle competenze. Mostrando, in questo caso sì, una certa dose di arroganza e, comunque, ben scarso rispetto della gerarchia dei poteri.
Qui ho solo voluto accennare alla situazione. Tutti i casi principali sono descritti in un articolo pubblicato su Concorrenza e Mercato 11/2003 (“Il Consiglio di Stato e la ripartizione di competenze tra Autorità garante e Banca d’Italia: tanto rumore per nulla?”, p. 131 e seguenti). Una buona lettura per chi non si vuole fermare agli slogan utilizzati per difendere (o attaccare) il governatore.

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  1. alias

    Sarò banale, e ripeterò cose già dette, ma credo che un indice della scarsa concorrenza bancaria sia l’enorme proliferazione del numero degli sportelli avvenuta negli ultimi anni (in altre parole, le unità locali, piuttosto che le sedi d’azienda). Se poi il fenomeno della concentrazione dei gruppi ne riduce il numero, e al tempo stesso gli sportelli aumentano, non è forse conferma indiretta che il consumatore, apparentemente, ha maggiori possibilità di scelta, ma in realtà paga gli arredi, le sedi, gli affitti dei molti immobili in cui può scegliere di far la coda? Nel campo della distribuzione commerciale si è sostenuto, in nome delle economie di scala, esattamente il contrario, cioè la nascita dei centri commerciali e degli ipermercati, sacrificando i negozi di vicinato; perchè le banche no?

  2. Massimo Giannini

    Credo valga la pena anche riflettere sul livello di cultura finanziaria e tecnologica dei vari paesi e dei rispettivi consumatori. Non é solo un problema di concorrenza dal lato dell’offerta dei servizi ma anche di conoscenza e informazione dal lato della domanda. Una situazione di bassa cultura finanziaria e costante asimmetria informativa (per non dire completa disinformazione o distorsione della stessa, vedasi scandali finanziari) non permette alcuna concorrenza o alla stessa di giocare a favore dei consumatori. Si deve aumentare la concorrenza in termini di istituzioni finanziarie e straniere presenti ma se una cultura e informazione finanziaria sana e tecnologicamente avanzata non si sviluppa di concerto, la concorrenza si trasforma subito in oligopolio e altre forme di cartello. Chiediamoci ad esempio perché in Italia l’uso della banca on line, le carte di credito e di pagamento é ancora tra i più bassi nostante ci sia già una certa offerta di questi servizi? D’altro canto l’informazione e la cultura finanziaria non migliora solo aumentando l’offerta e il numero de soggetti. Anche il consumatore deve fare un salto di qualità.

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