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Un provvedimento incoerente

Per aumentare la retribuzione d’ingresso dei giovani ricercatori universitari, il Consiglio dei ministri ha approvato una norma che prevede che la loro conferma in ruolo possa avvenire non più dopo tre anni, ma dopo un solo anno di servizio. Lo scopo, del tutto condivisibile, si sarebbe potuto raggiungere molto meglio adeguando direttamente le retribuzioni di ingresso senza abolire di fatto le procedure di valutazione. Con buona pace delle dichiarazioni sulla necessità di introdurre valutazione, concorrenza e qualche incentivo di merito nell’università.

Il 21 gennaio scorso il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Istruzione, università e ricerca, Letizia Moratti, ha approvato una norma che prevede che la conferma in ruolo per un ricercatore universitario (il “posto a vita”) possa avvenire non più dopo tre anni, ma dopo un solo anno di servizio. Questo non perché il ministro abbia ritenuto che già dopo un anno vi siano elementi sufficienti per valutare la produzione scientifica di un ricercatore, ma per motivi affatto diversi.
Va chiarito infatti che la retribuzione annua del ricercatore non confermato è oggi di 13.417 euro netti, e quella del ricercatore confermato di 19.203 euro netti. La retribuzione iniziale è quindi di circa 1.100 euro mensili netti, che dopo la conferma diventano 1.550 circa netti. Una conferma più veloce corrisponde quindi a una più veloce progressione economica.

La procedura per la “conferma”

Già oggi le conferme in ruolo dei ricercatori (e le analoghe procedure per i professori associati e ordinari) sono un adempimento puramente formale. Il ricercatore o docente, in seguito a delibere invariabilmente elogiative del dipartimento e della facoltà di appartenenza, viene sottoposto a giudizio da parte di una commissione nazionale sorteggiata tra i docenti della materia. Dopo alcuni mesi, in seguito a giudizio invariabilmente positivo, il ricercatore o docente viene confermato definitivamente nel ruolo e conquista il “posto a vita”. Non sono a conoscenza di statistiche ufficiali o informazioni sul numero di coloro a cui è stata negata la conferma in ruolo. A mia memoria, ricordo un solo caso di un docente non confermato. Tuttavia, anche in quello la conferma arrivò dopo una nuova istruttoria e un anno di indagini supplementari. Ecco allora l’uovo di Colombo: si prenda atto che la valutazione è inutile, e si adottino procedure più veloci per la conferma al fine di aumentare le retribuzioni.

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Come attirare i migliori

Il ministro Moratti ha dichiarato (http://www.istruzione.it/prehome/comunicati/2005/2101bis.shtml) con soddisfazione che con la nuova norma “vogliamo potenziare la politica che mira a trattenere presso le nostre università i giovani migliori e più orientati alla ricerca, riducendo a un anno il periodo per la loro conferma, attualmente di tre anni”. “In tal modo – aggiunge il comunicato del ministro – vogliamo adeguare sia pure parzialmente la retribuzione dei ricercatori italiani ai livelli retributivi del personale universitario che riveste analoghe posizioni nei principali paesi comunitari”.
L’obiettivo di aumentare lo stipendio dei giovani ricercatori è sicuramente da condividere. Gli stipendi di ingresso sono davvero vergognosi, e largamente al di sotto della media europea, in particolare tenendo conto che l’età media di ingresso nel ruolo è di 38 anni. Con uno stipendio di poco più di mille euro al mese non si attirano certo i migliori.
Ma il punto è che lo stesso ministro, con il disegno di legge governativo sul riordino dello stato giuridico dei professori universitari che verrà discusso tra breve alla Camera, propone di abolire il ruolo dei ricercatori e di sostituirlo con contratti temporanei di insegnamento e ricerca di durata triennale, rinnovabili una sola volta. Le nuove regole dovranno stimolare il ricercatore a un maggior impegno e allineare l’Italia agli standard europei, invece che spingerlo ad adagiarsi su un comodo posto a vita. Giustissimo, ed è senz’altro da condividere l’osservazione di Marco Lippi e Pietro Reichlin che “non c’è niente di male nell’idea che dall’università si possa anche uscire. Che una carriera possa essere interrotta per insufficiente capacità, è normale in tutte le università dei paesi avanzati.” Ma allora, se si ritiene che gli incentivi di carriera e la valutazione siano importanti, si dovrebbe rendere più efficace l’istituto della conferma in ruolo, non eliminarlo di fatto.

Un segnale negativo

È del tutto evidente che abbreviare le procedure di conferma è una modalità contorta e incoerente per adeguare le retribuzioni dei giovani ricercatori. (1)
Lo scopo, del tutto condivisibile, si sarebbe potuto raggiungere molto meglio aumentando direttamente le retribuzioni di ingresso. Allo stesso tempo, si è persa un’occasione per rendere più incisiva la valutazione triennale, sancendo di fatto che essa dovrà applicarsi solo nel nuovo regime, quello con i contratti temporanei, ma non anche ai ricercatori e docenti in servizio. Senza contare che la nuova norma non elimina i passaggi burocratici delle attuali procedure (delibere di dipartimento, di facoltà, giudizi delle commissioni nazionali) manifestamente sempre più inutili, ma pur sempre richiesti dalla legge. E inevitabilmente qualcuno proporrà di applicare la conferma dopo un solo anno anche al caso dei docenti associati e ordinari.
La norma certo non avrà grande impatto, né sulle scelte dei giovani ricercatori, né sul loro impegno, né sul funzionamento generale dell’università, ma il segnale di scarsa credibilità è molto significativo. A parole si dichiara che occorre introdurre valutazione, concorrenza e qualche incentivo di merito per chi fa ricerca. Ma nei fatti la strada intrapresa è sempre diversa.

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(1) Anche la Conferenza dei rettori (Crui) ha manifestato la propria contrarietà al provvedimento, “ritenendo che la riduzione a un anno del periodo necessario per la conferma dei ricercatori vanifichi il significato dei giudizi stessi che non hanno nessun senso dopo un solo anno di servizio”. Vedi http://www.crui.it//data/allegati/links/1925/cs_stato_giuridico_blocco_concorsi.doc. La stessa Crui non ricorda però che già ora i giudizi sono invariabilmente positivi, e quindi nella sostanza inutili.

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  1. Paolo Bertoletti

    La posizione critica di Tullio Jappelli circa l’anticipo della conferma dei ricercatori è del tutto condivisibile. Si può aggiungere che il provvedimento, che comporta un aggravio economico per gli Atenei, non prevede alcun specifico contributo finanziario ministeriale (stando alle anticipazioni di stampa, la copertura è “a valere” sul Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università). Viene il dubbio che si sia scelta questa modalità di incremento dello stipendio dei ricercatori non confermati per evitare lo stanziamento necessario nel caso di una limpida decisione di aumento delle loro retribuzioni, e il confronto sulle analoghe rivendicazioni stipendiali dei docenti di I e II fascia che l’avrebbero indubbiamente seguita. Con buona pace della credibilità del Ministero, e della sua capacità di perseguire il tanto vantato rinnovamento dell’Università.

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