Il rischio di mercato non è ineluttabile per gli schemi pensionistici a contribuzione definita perché il lavoratore può scegliere l’allocazione del suo investimento e dunque può destinarlo a titoli dal rendimento magari basso, ma sicuro. D’altra parte, anche le pensioni a prestazione definita comportano rischi, per esempio quelli legati alla perdita del lavoro. Il vero aspetto preoccupante è che alcune aziende utilizzano il passaggio da uno schema all’altro per ridurre il livello dei contributi, attuando così un taglio “nascosto” del costo del lavoro.

In Gran Bretagna il 60 per cento circa dei piani pensionistici aziendali a prestazione definita sono chiusi a nuovi sottoscrittori. La grande maggioranza dei lavoratori che iniziano oggi a lavorare nel settore privato non riceverà una pensione legata al salario. Tra vent’anni, il numero di lavoratori inglesi con pensioni legate ai salari percepiti al termine della vita lavorativa sarà relativamente basso e tra quaranta anni non ce ne sarà più nessuno.
È una sciagura?

Il rischio di mercato

Secondo il senso comune, se non proprio di sciagura, si tratta come minimo di un fatto estremamente grave. A me sembra, però, che questo preoccupazione si basi su alcuni equivoci.
Il primo è che le persone che optano per schemi a contribuzione definita (Dc) – sia offerti dalle loro aziende sia acquistati direttamente da società finanziarie – sono costretti ad accettare il rischio di mercato.
Ma questo non è ovvio. Normalmente le persone possono scegliere la composizione del portafoglio per le pensioni a contribuzione definita.
Il governo britannico emette titoli indicizzati da più di vent’anni e questi rappresentano quasi il 25% dei titoli in circolazione. Sono attività che generano un rendimento reale praticamente sicuro. Forse dovrebbero essercene di più, soprattutto a lunghissima scadenza. Ma dal momento che già esistono, ne segue che il rischio sul tasso di rendimento non è qualcosa di inevitabile per chi ha una pensione a contribuzione definita e può scegliere come allocare il proprio investimento.
Il fatto che i rendimenti indicizzati siano bassi – soltanto poco più dell’1,5 per cento per quelli a lunga scadenza –, non deve farci ignorare questa ovvia realtà. E in ogni caso, i rendimenti indicizzati non sarebbero più alti se anche ci fossero in giro più schemi pensionistici a prestazione definita.

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Il rischio longevità

Il rischio longevità – che genera incertezza sul prezzo da pagare in futuro per un vitalizio – è difficile da evitare. Ed è proprio questo il rischio che si sono assunte le imprese che gestiscono uno schema a prestazione definita, almeno finché restano solvibili. Ma le aziende non avevano compreso quanto fosse alto questo rischio e ora che lo hanno capito, non vogliono più assumerselo. Abbiamo vissuto nel paradiso di un folle, per usare la frase di Adair Turner. Ora è necessario che le istituzioni finanziarie, con l’aiuto del governo, siano più creative nel permettere che il rischio longevità diventi più facilmente negoziabile e copribile.

I piani a prestazione definita legati al salario non sono privi di rischi. Sottopongono di più i lavoratori a rischio di variazioni nei salari futuri e a rischio di doversi cercare un impiego altrove (che ha un impatto molto negativo sui valori Db).
Sulla base di una normale allocazione di portafoglio, gli schemi Db legati al salario sono ben lontani dall’essere desiderabili. L’ultima cosa che un giovane lavoratore dovrebbe fare è aumentare il rischio che la sua carriera con l’attuale datore di lavoro vada a finir male: il rischio che questo accada è già così alto. Con tutti i problemi che ci sono con la progressione futura del salario, mettere denaro in uno schema Db legato al salario è esattamente il tipo di investimento sbagliato per una persona avversa al rischio.

Una riduzione dei salari

Le aziende spesso riducono il tasso di contribuzione quando chiudono gli schemi Db e “spingono” le persone negli schemi Dc. In realtà, si tratta di un taglio dei salari. Forse le aziende riescono a farla franca e se è così, saranno in molte a provarci. Ma sotto molti aspetti questo non è un problema che riguarda i sistemi pensionistici: il taglio ai contributi previdenziali è solo un modo alternativo per tagliare gli stipendi. Se un’impresa vuole ridurre gli stipendi, potrebbe farlo anche tagliando il salario settimanale e lasciando allo stesso livello i contributi.
Può darsi che molti lavoratori non capiscano cosa sta accadendo, che siano miopi. Se è così, dal punto di vista aziendale, il passaggio da schema Db a schema Dc e conseguente riduzione dei contributi può essere un buon sistema per tagliare il costo del lavoro. È di questo che il governo dovrebbe preoccuparsi. La miopia è la giustificazione migliore per il ruolo del governo nell’incentivare le persone a risparmiare per la loro stessa pensione.

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