L’università italiana sta fallendo non perché manchino i fondi, ma perché chi vi opera non ha la responsabilità delle proprie azioni: non vi sono disincentivi per chi la usa per scopi clientelari, né incentivi per chi tenta di far ricerca ad alto livello. Nonostante alcune buone idee, la riforma proposta dal ministro Moratti non apporta su questo punto innovazioni di rilievo, come si vede dallanalisi delle principali novità. Fallirà, dunque. Ma non perché avrà cambiato troppo, come sostengono i suoi critici. Bensì per non aver osato abbastanza.
L’ università italiana sta fallendo non perché manchino i fondi, ma perché chi vi opera non ha la responsabilità delle proprie azioni: non vi sono disincentivi per chi la usa per scopi clientelari, né incentivi per chi tenta di far ricerca ad alto livello (un mio precedente articolo descrive un sistema universitario radicalmente diverso da quello attuale, basato su un sistema di incentivi e disincentivi anziché su regole continuamente disattese).
Il disegno di legge Moratti si ispira a criteri in gran parte condivisibili, ma su questo punto fondamentale non apporta innovazioni di rilievo. Di conseguenza, fallirà nel suo tentativo di riformare l’università italiana; ma non, come sostengono la maggior parte dei suoi critici, per aver cambiato troppo, bensì per non aver osato abbastanza.
In questo articolo passo in rassegna le principali novità del Ddl Moratti, le critiche principali, e i motivi per cui probabilmente non riuscirà a incidere sui problemi dell’università italiana. Un precedente articolo di Marco Lippi e Pietro Reichlin offre un’altra analisi, in parte coincidente con la mia, del Ddl Moratti.
1. I nuovi contratti prevedono un periodo di valutazione di sei anni, dopo il quale o si è confermati in ruolo o .?
Critiche. Aumenta la "precarizzazione" e la "pauperizzazione" del lavoro in università; allunga i tempi della carriera universitaria.
Valutazione. La concorrenza è una condizione necessaria per aumentare la produttività, all’ università come in tutti gli altri campi. In tutti i sistemi universitari che funzionano, la conferma in ruolo è attribuita solo dopo alcuni anni sulla base della produzione scientifica. Il Ddl Moratti si muove quindi nella giusta direzione.
Paventare la "precarizzazione" appare pretestuoso: secondo questa logica, ogni tentativo, in qualsiasi campo, di premiare la produttività e scoraggiare l’ incompetenza e l’ inattività può essere bollato come un aumento della "precarizzazione".
La "pauperizzazione" può essere un pericolo reale, ma il Ddl Moratti non c’entra, anzi esso prevede che "(
) il trattamento economico dei predetti contratti [sia] determinato da ciascuna università e tenuto conto dei criteri generali definiti con Ddl del ministro dell’Istruzione (
)". Anche se prevedibilmente i margini di manovra saranno limitati, le scelte fatte dalle università mostreranno quali sono realmente le loro priorità, se promuovere la carriera di giovani promettenti o continuare a premiare unicamente l’anzianità di servizio.
Quanto all’allungamento della carriera, niente impedisce all’establishment di promuovere velocemente un brillante ricercatore che se lo meriti. Se ciò avviene (e avverrà) raramente è solo per il diffuso uso baronale dei meccanismi di promozione.
È vero però che il Ddl Moratti prevede un’assurdità che non ha riscontro in alcun altro sistema: due periodi di valutazione di sei anni, prima da associato e poi da ordinario.
Perché non funzionerà. Per svariati motivi.
1. Rimane assente un sistema di incentivi e disincentivi. Anche nel sistema del Ddl Moratti, così come nel sistema attuale, un gruppo di docenti che confermi in ruolo l’amico del collega non sopporta alcuna conseguenza negativa della propria azione.
2. Già oggi ricercatori e professori devono essere confermati dopo tre anni. Ma nei pochissimi casi di bocciatura, è stato sufficiente attendere una nuova commissione l’anno successivo o fare ricorso al Tar per venire poi confermati. Il Ddl Moratti di per sé non modificherà la cultura anti-competitiva che prevale nell’università attuale.
3. Ciò anche per un grave difetto del Ddl, peraltro forse inevitabile in un sistema statale e centralizzato come quello italiano. Se un assistant professor di Harvard non è confermato in ruolo, troverà sempre lavoro in un’altra università, più o meno buona a seconda di come il mercato valuta la sua produzione scientifica. Il Ddl Moratti sembra escludere questa possibilità; di conseguenza, anche nel nuovo regime nessuno verrà messo sulla strada, e anche se ciò avvenisse, si troverà sempre un Tar che lo salverà.
2. La remunerazione consisterà di una parte fissa e di una parte variabile.
Critiche. A parole, questa norma è generalmente ben accolta. La Conferenza dei rettori ha tuttavia indicato il pericolo che si introducano "( ) elementi di discrezionalità e di personalizzazione ( )".
Valutazione. Se si vuole promuovere la buona ricerca e il buon insegnamento, la loro remunerazione pecuniaria sembra indispensabile. Anche in questo caso il Ddl Moratti si muove nella giusta direzione.
Perché non funzionerà. Per gli stessi motivi di cui sopra. Se si è nominato il figlio del collega, si cercherà anche di fargli avere un salario variabile elevato. I criteri utilizzabili sono tanti e indefiniti ricerca, insegnamento, partecipazione a congressi, partecipazione a riunioni e comitati, eccetera; uno per giustificare un aumento di stipendio si troverà pure.
Ma non è un problema di discrezionalità e personalizzazione: queste sono inevitabili, e addirittura auspicabili, se si vuole premiare la ricerca, esattamente perché l’indicatore di produttività infallibile e oggettivo non esiste. Il problema sta nel far sì che chi esercita questa discrezionalità abbia l’incentivo a farlo nel modo più efficiente possibile. In un sistema che funzioni, se promuovo un candidato che la maggior parte della professione ritiene non sufficientemente qualificato, se vinco la scommessa la mia università migliorerà e aumenteranno prestigio, finanziamenti e qualità degli studenti, se perdo la scommessa succederà l’opposto. Un simile meccanismo continua a non essere presente nel Ddl Moratti.
3. I concorsi per le posizioni di professore associato e ordinario diventano nazionali.
Critiche. Questo provvedimento ha riscosso molti consensi. La Crui stessa non si è opposta in linea di principio.
Valutazione. Il concorso nazionale è espressione di una mentalità che preferisce demandare a una "certificazione" centralizzata anziché al mercato l’accertamento delle capacità di un professionista. In questo senso, il concorso nazionale non è diverso da istituti medievali come l’Ordine dei giornalisti.
Perché non funzionerà. Il meccanismo attuale di concorsi a livello di singole sedi si basa su di uno scambio di favori "inter-temporale". L’università X indice un concorso per far vincere il portaborse locale, il rappresentante dell’università Y accetta di fare il commissario in questo concorso e di votare per il portaborse locale, con la promessa implicita che l’università X, on un loro complice, restituirà il favore in futuro quando l’università Y vorrà promuovere il proprio portaborse.
Con il concorso nazionale, lo scambio diventa "intra-temporale": i favori verranno scambiati tutti nello stesso momento. Non vi è nessun motivo di ritenere a priori che un sistema sia meglio dell’altro. Anzi, la professione sembra essersi dimenticata che il concorso nazionale fu abolito pochi anni fa vittima di critiche feroci per la sua corruzione dilagante.
E basterà un ritardo (magari intenzionale) nel nominare la commissione, o che un solo individuo ricorra al Tar, per bloccare la professione per anni. Di questi fenomeni, che furono una costante degli ultimi concorsi nazionali (in alcuni casi, si arrivò a un intervallo di otto anni fra due concorsi!), sembra essersi persa ogni traccia nella memoria collettiva.
4. Si possono assegnare posizioni di insegnamento a persone qualificate ma senza idoneità, con contratti a termine della durata di tre o quattro anni, rinnovabili.
Critiche. Si apre la porta a individui non testati e "certificati" dal sistema, riducendo la qualità della didattica e della ricerca.
Valutazione. Nei paesi anglosassoni posizioni di questo tipo vengono tipicamente offerte a civil servants (come exambasciatori o negoziatori di trattati internazionali), a ex-sindaci di grandi città, a imprenditori, politici e loro consulenti, e a qualunque altro individuo qualificato che si ritenga abbia la capacità di comunicare un’esperienza interessante agli studenti di certe discipline, e non abbia tempo o qualifiche accademiche per intraprendere una carriera universitaria a tempo pieno.
Le università hanno la facoltà, non l’ obbligo di avvalersi di questa opportunità. Perché privare a priori gli studenti della possibilità di ascoltare individui che, per esempio, hanno fatto un’esperienza ad alto livello in un’importante organizzazione internazionale?
Ancora una volta, le critiche a questo provvedimento riflettono il mito della "certificazione collettiva": le singole università non sono in grado di valutare la consistenza scientifica o didattica di uno studioso, solo un sistema centralizzato può farlo. Senza dimenticare che una figura simile nell’ ordinamento attuale esiste già: i professori a contratto, circa 22mila attualmente.
Perché non funzionerà. Per lo stesso motivo per cui non funziona il meccanismo attuale di reclutamento e di promozione: non vi sono nel sistema, pre- o post-Ddl Moratti, disincentivi ad offrire una posizione di questo tipo ad individui senza qualifiche ma ben connessi.
5. Le università possono realizzare convenzioni con imprese e fondazioni, che prevedano anche l’istituzione temporanea di posti di professori di prima fascia della durata massima di tre anni, rinnovabili.
Critiche. Come nel caso precedente, il provvedimento apre l’università a individui non testati e "certificati" dal sistema; crea disuguaglianze fra università.
Valutazione. Anche in questo caso, è difficile capire perché si voglia rifiutare a priori un’opportunità in più che viene offerta alle singole università di attrarre risorse finanziare ed intellettuali.
È un mito pericoloso che tutte le università siano o debbano essere uguali. Alcuni accademici sono molto bravi a fare ricerca, altri ad insegnare, molti non sanno fare né l’uno né l’altro. Allo stesso modo, non tutti gli studenti sono uguali. Una allocazione delle risorse intellettuali efficiente significa riconoscere queste differenze, non di appiattirle.
Perché non funzionerà. È prevedibile che in molti casi le imprese convenzionanti tenteranno di "comprarsi" un posto di professore per il proprio candidato. Non è nemmeno facile pensare a dei meccanismi efficaci di prevenzione: esattamente perché non esistono indicatori oggettivi, qualsiasi regola è facilmente aggirabile. La soluzione, ancora una volta, non è aggiungere regole, ma un sistema di incentivi per cui l’università che accetti il candidato non qualificato imposto da un’azienda ne paghi le conseguenze in termini di reputazione, numero e qualità degli studenti, e alla fine di finanziamenti globali.
6. È abolita la distinzione fra tempo pieno e tempo parziale.
Critiche. L’insegnamento e la ricerca diverranno un aspetto sempre più marginale della carriera universitaria.
Valutazione. Già ora l’università è piena di professori a tempo pieno che delegano illegalmente i ricercatori a insegnare, non svolgono alcuna attività di ricerca scientifica degna di questo nome, o dirigono centri di ricerca che sono essenzialmente dei feudi personali. Il Ddl Moratti prevede un minimo di ore di insegnamento e di attività universitarie, e prende atto realisticamente che il resto non si può legiferare. Ancora una volta, solo gli incentivi corretti possono creare un ambiente favorevole alla ricerca e all’insegnamento.
Sostenere, come scrive la Crui, che una volta assolti gli impegni contrattuali "ognuno si sentirà libero di svolgere all’esterno altre attività con effetti ovviamente deleteri per la ricerca universitaria" significa attribuire ipocritamente lo sfascio dell’università italiana attuale non alla mancanza di incentivi e di concorrenza, ma alla mancanza di tempo.
Perché non funzionerà. Il problema di fondo però resta anche nel Ddl Moratti: così come nel regime attuale, non esistono incentivi alla ricerca e disincentivi alla inattività, che si sia a tempo parziale o a tempo pieno. In ogni caso, sembra che questa parte del Ddl Moratti verrà stralciata.
7. Nei concorsi per professore ordinario, una quota pari al 15 per cento dei posti viene riservata ai professori associati con una anzianità di almeno quindici anni.
Critiche. Non sono a conoscenza di critiche di questo provvedimento.
Valutazione. La assoluta mancanza di critiche (e perfino di commenti) è così sorprendente da far dubitare della buona fede dei critici del Ddl Moratti. A parole, tutti vogliono promuovere la qualità della ricerca; eppure, si accetta senza batter ciglio che per il 15 percento dei candidati l’anzianità di servizio costituisca un titolo preferenziale, ed anzi una condizione necessaria, per la promozione.
Perché funzionerà benissimo. Perché, nonostante la retorica imperante, l’anzianità di servizio è ancora il criterio di promozione più popolare nella cultura dell’establishment.
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