Si può ragionevolmente misurare la presenza di alcune qualità e caratteristiche personali negli aspiranti magistrati, ma puntare tutto sulla sola selezione iniziale dà risultati limitati. Perché i gravemente inadatti sarebbero pochissimi, tali da non giustificare un investimento costoso e socialmente delicato. E perché le capacità e le conoscenze cambiano nel tempo. Molto più utile garantire momenti di valutazione lungo tutta la carriera, che permettano alle persone di comprendere e migliorare i propri punti di forza e di debolezza.

Si chiede da più parti che i magistrati siano valutati nelle loro attitudini personali. Non è strano, accade già per molte persone, in tanti contesti diversi: piloti d’aereo, aspiranti alla clausura monastica, venditori e altri ancora. La psicologia del lavoro da tempo ha messo a punto strumenti affidabili per misurare la presenza di certe caratteristiche individuali, in relazione a specifiche attività.
Secondo notizie di alla stampa (1), la Società psicoanalitica italiana ha dichiarato che un simile giudizio di idoneità, ancorché tecnicamente possibile, non sarebbe affidabile a causa della complessità delle funzioni coinvolte.

Una domanda da riformulare

Ma allora? Possiamo o no fare valutazioni scientificamente affidabili sull’idoneità dei giudici? Per andare avanti serve riformulare la domanda. Dietro alla domanda iniziale ci sono infatti due presupposti, dati erroneamente per scontati.
Primo presupposto erroneo: “Esiste un solo modo di fare bene un dato lavoro complesso (professore, medico, alpinista estremo, skipper da regata, magistrato, che sia). Non è vero: ci sono modalità diverse di arrivare efficientemente allo stesso risultato, soprattutto in occupazioni a basso grado di standardizzazione.
Secondo presupposto erroneo: “Le caratteristiche psicoattitudinali delle persone sono immutabili nel tempo”. Non è vero: la psicologia, ma anche l’esperienza quotidiana, mostrano quanto le persone sappiano plasticamente mutare nel tempo, se se ne creano le condizioni. Cosa emerge dall’insieme delle due affermazioni? In primo luogo, che per ogni lavoro si può fare un elenco di caratteristiche individuali necessarie o auspicabili, ma questo elenco dipende molto dal contesto in cui la persona opererà. Tutti i giorni si selezionano capi, ma mentre non si guida un’unità delle truppe speciali senza una spiccata capacità di prendere decisioni sotto stress, la stessa caratteristica individuale è inutile per la selezione di un buon abate dei benedettini (ruolo peraltro almeno altrettanto difficile). Per i lavori più complessi, fare un buon elenco è più difficile.
Il magistrato è un lavoro molto complesso: per quanto ne so, nessuno ne ha fatto una buona analisi, per risalire a un elenco affidabile di capacità e caratteristiche personali, distinguendo tra quelle necessarie e quelle soltanto auspicabili. In secondo luogo, le capacità e le conoscenze delle persone cambiano nel tempo. Anzi, le migliori organizzazioni sanno da sempre che, soprattutto per le assunzioni iniziali, conviene cercare candidati dotati delle conoscenze tecniche e di capacità di tipo trasversale di base (saper cooperare con altri; riconoscere i problemi; conoscere i propri punti di forza e di debolezza personali e così via) e investire sulla formazione continua. È molto meglio che cercare un’improbabile corrispondenza assoluta tra una persona (che cambia nel tempo) e un lavoro (che cambia anch’esso).
Riassumendo: possiamo ragionevolmente misurare la presenza di alcune qualità/caratteristiche personali negli aspiranti magistrati, ma puntare tutto sulla sola selezione iniziale dà risultati limitati. In più, bisogna ricordare che, fatto salvo il possesso di certe conoscenze (ad esempio, quelle date dalla laurea in giurisprudenza) e un accettabile livello di abilità di base (saper ragionare, comunicare, ascoltare, interagire, cooperare), sembra difficile indicare una serie di assolute controindicazioni per l’accesso alla formazione per divenire magistrato. Ecco perché non rende puntare tutto sulla selezione iniziale: le persone gravemente inadatte sarebbero pochissime, tali da non giustificare un investimento che sarebbe sia costoso che socialmente delicato per le sue conseguenze.

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Valutazione e counseling

C’è poi chi vorrebbe valutare non già le attitudini, ma l’equilibrio mentale dei magistrati, a causa delle conseguenze rilevanti delle loro decisioni. Ammesso che esista una patente di sanità mentale, sembra però socialmente difficile richiederla per i magistrati e non per i professori universitari o per i parlamentari o per i medici o per gli stessi psicologi. Ma questo è un altro tema, che meriterebbe uno spazio a sé. Cosa si può fare allora per avere magistrati con buone caratteristiche psicoattitudinali? Quello che fanno molte altre organizzazioni: certo, scoraggiare i pochi candidati gravemente inidonei (non è tecnicamente difficile). Poi, garantire agli altri (durante la formazione e in seguito nella carriera) momenti di valutazione tecnicamente ben fatti e in grado di far crescere professionalmente le persone grazie ai suoi feedback. Tutta la letteratura scientifica mostra che una buona valutazione aiuta le persone a capire i propri punti di forza e di debolezza. Se si offre anche una consulenza su come sfruttare meglio i punti di forza e come affrontare per migliorarli quelli di debolezza, il più è fatto. Nelle altre organizzazioni, ciò si fa da una parte formando capi e dirigenti perché possano fare una buona valutazione e dall’altra affidando il “counseling” a psicologi specializzati nel campo. Insomma, in assenza di un investimento sulla formazione – in ingresso e continua – e su una valutazione equa, efficace e mirata allo sviluppo professionale del loro lavoro, la polemica sull’idoneità dei magistrati appare destinata soltanto ad alimentarne altre.

 

(1) La Repubblica, 20 novembre 2004

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