Le Alternative Dispute Resolution sono viste dal legislatore come uno strumento in grado di snellire l’enorme carico accumulato dalla giustizia ordinaria. E nell’illusione di definire in modo rapido un gran numero di controversie in molti casi ha reso obbligatorio il tentativo di conciliazione. Nella passata legislatura se ne era ipotizzato l’utilizzo in qualsiasi controversia civile avente a oggetto diritti disponibili. Il ricorso a questa sorta di giustizia privata, invece, ha senso solo in una sezione assai circoscritta di conflitti.

Le Adr – Alternative Dispute Resolution – sono metodi di composizione dei conflitti, alternativi alla giustizia civile ordinaria. Una sorta di giustizia privata, nella quale un mediatore suggerisce alle parti in conflitto soluzioni di accordo che pongono fine alla lite (un caso particolare è l’arbitrato).
Il legislatore ha nutrito in questi anni una speranza: riuscire a diminuire il carico di lavoro dei giudici civili indirizzando, in qualche caso obbligando, i cittadini verso questi metodi alternativi. Speranza che i fatti dimostrano infondata. Le Adr meritano una valutazione positiva soltanto a patto di vederle per quello che sono: non uno strumento sostitutivo della giustizia ordinaria per grandi numeri di controversie, bensì una alternativa per una sezione assai circoscritta di esse.

La conciliazione stragiudiziale in Italia

La ricerca dei rimedi alla crisi della giustizia civile è orientata verso figure di risoluzione agiurisdizionale delle controversie, sulla scia del celebrato Alternative Dispute Resolution Movement affermatosi da oltre vent’anni negli Stati Uniti.
Il nostro legislatore ha così introdotto in numerose leggi speciali recenti la previsione di varie forme di conciliazione “stragiudiziale”, affidate a organi diversi dal giudice. (1) In questo contesto assumono particolare rilievo le commissioni arbitrali e conciliative in via di realizzazione a opera delle Camere di commercio, seguendo le indicazioni contenute nella legge del 1993 sul loro riordinamento.
Si sono anche viste iniziative volte a estendere la conciliazione stragiudiziale all’intero universo del contenzioso civile. Per esempio, il disegno di legge della passata legislatura (il progetto Folena) che istituiva camere di conciliazione presso ogni tribunale per la composizione di qualsiasi controversia civile avente a oggetto diritti disponibili.
Cosa pensare del fervore, spesso entusiastico, nei confronti di queste forme di giustizia informale o “coesistenziale”?
Intanto, l’entusiasmo ha indotto in errore il legislatore quando ha reso obbligatorio il tentativo di conciliazione nell’illusione di avere un maggior numero di controversie definite. Una ricerca empirica (2) mostra che nel passaggio dal regime facoltativo al regime obbligatorio in materia di controversie di lavoro, il numero delle conciliazioni è diminuito in assoluto.
La ragione è semplice. Il conciliatore viene privato della possibilità di distinguere tra istanze avanzate grazie all’esistenza di una reale volontà conciliativa almeno in una delle parti, e istanze avanzate esclusivamente per ottemperare al comando legislativo. È così indotto a un atteggiamento di resa burocratica di fronte al loro aumento indiscriminato: rinuncerà a studiare il fascicolo per proporre soluzioni adeguate e assumerà un atteggiamento passivo all’udienza destinata alla conciliazione, con minori probabilità di successo del tentativo.
In ogni caso, non credo che la diffusione della conciliazione stragiudiziale o di altre forme di Adr sia suscettibile di alleggerire in modo consistente il carico di lavoro dei giudici ordinari, anche se questo è lo scopo che viene per lo più accreditato nei discorsi dei giuristi e del legislatore.

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Parlano i numeri

Le Camere di commercio e gli uffici provinciali del lavoro esibiscono complessivamente poco più di trentamila conciliazioni di fronte all’oltre un milione e settecentomila controversie instaurate ogni anno. (3) Anche i numeri americani, stando a una ricerca affidata pochi anni fa alla Rand Corporation, non sono entusiasmanti, malgrado l’assai più ricca articolazione e la più antica tradizione dei diversi meccanismi di Adr. (4)
Inoltre, non si può fare a meno di sottolineare che in una situazione di dissesto processuale come la nostra, molto spesso ci si trova di fronte a conciliazioni inique nelle controversie, numerosissime, che abbiano a oggetto somme di denaro.
Ciò accade perché il creditore, sotto la spada di Damocle della siderale durata dei processi (cui si deve aggiungere quella dell’esecuzione forzata se il debitore condannato non adempie spontaneamente), è indotto ad accettare rilevanti decurtazioni del proprio credito, specie se si tratta di un imprenditore o di un lavoratore, allo scopo di evitare un danno ancora più alto da giustizia dilazionata.
Insomma, pare azzardato sperare nella diffusione degli istituti conciliativi per ottenere processi più brevi. E tuttavia questa brevità sarebbe necessaria ora, per evitare che molte conciliazioni altro non siano che una scelta del creditore per ottenere “pochi, maledetti e subito” dei soldi che gli sono dovuti, piuttosto che tutti, benedetti dal giudice, ma chissà quando.

Dalla parte delle organizzazioni di Adr

La prospettiva cambia se il punto di osservazione diventa quello delle organizzazioni, pubbliche e soprattutto private, di Adr.
Basta qualche centinaio di pratiche all’anno per giustificare economicamente la nascita di un’impresa che offre il servizio a pagamento. Il che spiega la discreta diffusione e la facile sopravvivenza, almeno nelle grandi città, di iniziative di tal tipo, nate sui modelli e talora con finanziamenti nordamericani.
Sono attività meritorie se viste come uno strumento alternativo per una sezione assai circoscritta di liti. Ad esempio, nelle controversie tra imprese, quando siano di una complessità che trascenda la semplice richiesta di pagamento di somme di denaro, i nuovi “mediatori” svolgono un servizio utile. Non solo per i costi, assai minori in confronto all’arbitrato, ma anche perché l’atteggiamento di un mediatore ben addestrato consente di mantenere la controversia a un livello di tensione minore rispetto a un giudizio contenzioso, aprendo la strada a soluzioni che vadano al di là dei confini segnati dal litigio.
Per finire, un giudizio positivo si impone anche su altre forme di Adr, a prescindere dal rapporto con la giustizia ordinaria.
Ciò vale in particolare per gli sportelli attivati presso le Camere di commercio, dove vengono in prevalenza conciliate controversie “bagatellari” che non saprebbero trovare la strada dei giudici, a causa dei costi della difesa e delle temibili complicazioni procedurali che il codice di procedura civile elargisce anche per i processi davanti al giudice di pace.
E vale anche per la mediazione familiare (e penale, per i reati commessi da minorenni), che si va diffondendo soprattutto grazie a iniziative di enti del terzo settore, in un ambito dove la promozione del dialogo rispetto allo scontro e l’attenzione alle conseguenze future delle azioni di oggi assumono una particolarissima importanza.

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(1) Tra gli altri, il tentativo obbligatorio di conciliazione presso le commissioni provinciali del lavoro e della massima occupazione per tutte le controversie di lavoro; il tentativo obbligatorio di conciliazione presso le Camere di commercio per le controversie tra subfornitore e committente; il tentativo facoltativo di conciliazione presso le medesime Camere di commercio per le controversie delle associazioni dei consumatori e utenti radicate a tutela degli interessi collettivi; il tentativo facoltativo di conciliazione in materia di controversie societarie, con un’articolata disciplina indirizzata a garantire la riservatezza del procedimento, il principio del contraddittorio, l’imparzialità del conciliatore, nonché i requisiti “di serietà ed efficienza” richiesti agli enti pubblici o privati che vogliano istituire organismi di conciliazione.

(2) Peyron C. “L’impatto della riforma sul diritto vivente”, relazione al Convegno su Pubblico e privato nel processo del lavoro, promosso dalla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Torino il 30 aprile 1998, in Giur. It., 1999

(3) Dati del 2002. Vedi la relazione del procuratore generale presso la Corte di cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2003.

(4) De Palo G. e G. Guidi “Risoluzione alternativa delle controversie nelle Corti federali degli Stati Uniti”, Milano, 1999, p. 106 s.

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