La tecnica del sequestro geologico di anidride carbonica non presenta rischi particolari e sembra essere in grado di assicurare consistenti riduzioni delle emissioni di gas serra. Dunque potrebbe essere una valida soluzione al problema dei cambiamenti climatici. Quanto ai costi, c’è ancora molta incertezza perché possono variare anche significativamente da una situazione all’altra. Ma l’operazione diventa senz’altro più competitiva se si considerano i ricavi dovuti al recupero di petrolio o gas.

Numerosi progetti nazionali e internazionali stanno attualmente verificando un approccio alternativo alla risoluzione del problema dei cambiamenti climatici: il sequestro geologico di anidride carbonica.

Come avviene il sequestro

Si tratta di una attività di riduzione delle emissioni di gas serra che comporta la cattura da fonti industriali della CO2, un gas inerte e non tossico a basse concentrazioni, e la successiva immissione in formazioni geologiche appropriate, come i giacimenti di petrolio e gas naturale, esauriti oppure ancora in uso, le formazioni geologiche porose sature di acqua salata (i cosiddetti acquiferi salini) e i giacimenti carboniferi profondi. Qualche anno fa, veniva considerata anche la possibilità di immettere CO2 negli oceani a grandi profondità, ma tale alternativa è stata abbandonata per l’incertezza degli effetti di un’aumentata acidità delle acque sugli ecosistemi marini.
Per avere successo la tecnica di sequestro geologico della CO2 deve soddisfare tre requisiti:
– deve essere competitiva in termini di costi rispetto alle attuali alternative per il contenimento dei gas serra, quali le fonti rinnovabili e i miglioramenti di efficienza dei processi di produzione
– deve garantire uno stoccaggio nel sottosuolo stabile e di lungo termine
– deve essere ambientalmente compatibile.

Dal punto di vista economico, vi è ancora molta incertezza sulla determinazione dei costi nelle varie situazioni operative. Le esperienze sinora effettuate e gli scenari studiati lasciano intendere che i costi possono variare anche significativamente da una situazione all’altra, andando da qualche decina di euro per tonnellata fino a 100 euro/tonnellata. Fonti Iea indicano un costo complessivo compreso tra 9 e 49 euro/tonnellata CO2.
Quel che è certo è che l’immissione di CO2 in giacimenti di petrolio o gas naturale per il recupero assistito, rappresenta la migliore opportunità di sequestro a bassi costi se si considerano i ricavi dovuti al recupero di petrolio o gas. Tale attività (la cosiddetta Eor, Enhanced Oil Recovery) ha una duplice funzione: garantisce evidenti vantaggi ambientali, perché riduce le emissioni di gas serra in atmosfera, e aumenta la produzione di idrocarburi in quei giacimenti dove la pressione esistente non ne consente una adeguata fuoriuscita. Gli Stati Uniti sono i leader mondiali nella tecnologia Eor e utilizzano circa 32 milioni di tonnellate anno di CO2 a questo scopo. (1) Tra i vari progetti merita una citazione quello di Weyburn in Canada: grazie al sequestro permanente di circa 20 milioni di tonnellate di CO2 durante l’intero progetto sarà possibile produrre almeno 130 milioni di barili di petrolio incrementale, il che estenderebbe la vita residua del giacimento di circa 25 anni.

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I rischi

Molto è stato scritto sugli effetti connessi all’esposizione di esseri viventi alla CO2. A basse concentrazioni (1 per cento in volume), l’anidride carbonica non ha effetti dannosi sugli esseri umani e sugli ecosistemi, anzi è indispensabile per alcuni processi vitali quali la fotosintesi. Per esempio, in alcune serre l’aumento del tasso di CO2 è voluto, per accelerare la crescita delle piante. È invece letale per l’uomo, perché può causare asfissia, una concentrazione di CO2 dell’ordine del 10 per cento in volume.
Nel sequestro geologico le concentrazioni elevate di CO2 in atmosfera possono essere correlate a due ordini di problemi: fuoriuscite di CO2 durante le fasi operative volte alla cattura, trasporto e iniezione nel sottosuolo e rilascio in atmosfera dal sito di stoccaggio.
Sul primo punto si può affermare con certezza che la cattura, il trasporto e l’iniezione di CO2 sono pratiche ben testate nel settore petrolifero e si avvalgono di tecnologie all’avanguardia. Gli incidenti più frequenti sono dovuti a rotture nei tubi o nei pozzi di iniezione, ma la fuoriuscita di CO2 in questi casi è trascurabile per la presenza di opportune valvole di sicurezza che interrompono il flusso di gas al variare della sua pressione. Anche il rischio di corrosione dei tubi che può provocare fuoriuscite incontrollate di CO2 è stato aggirato grazie all’utilizzo di moderni materiali anticorrosivi. Adottando pertanto le opportune pratiche di sicurezza, già ampiamente in uso per il trasporto del gas e del petrolio, i rischi nella fase operativa possono essere decisamente contenuti.
Minore è l’esperienza sul rilascio di CO2 dal sito di stoccaggio. Le uniche considerazioni che possono essere fatte riguardano eventi naturali del passato. In natura, infatti, esistono già migliaia di depositi di CO2 nel sottosuolo e le fuoriuscite più cospicue sono perlopiù correlabili ad attività vulcaniche. Esempi eclatanti sono il monte Kilaua alla Hawaii, che emette circa 1,4 milioni di tonnellate l’anno di CO2, e l’eruzione del 1991 del monte Pinatubo, nelle Filippine, in cui furono emesse 42 milioni di tonnellate di CO2. Entrambi gli eventi non si sono dimostrati letali per gli esseri viventi dal momento che i fattori di dispersione in atmosfera hanno contribuito ad attenuare le concentrazioni di CO2 al suolo.
Si intuisce pertanto che la CO2 può diventare pericolosa solo se il suo rilascio avviene molto rapidamente e in spazi confinati. Ma sono caratteristiche ben lontane da quelle delle attività di stoccaggio nel sottosuolo: il pozzo per l’iniezione di anidride carbonica tende a disperdere la CO2 nella formazione geologica, non a concentrarla, e le eventuali perdite nella riserva sotterranea sono lente e diffuse. Qualsiasi rischio connesso allo stoccaggio può comunque essere minimizzato sviluppando i migliori criteri per la scelta del sito più opportuno.

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I vantaggi per l’ambiente

Quanto alla compatibilità ambientale, il sequestro geologico, appare la soluzione che più di altre è in grado di assicurare le consistenti riduzioni delle emissioni e stabilizzare così la concentrazione della CO2 in atmosfera sui livelli giudicati ottimali per non gravare sui meccanismi che presiedono al controllo del clima. Le indagini fino ad ora condotte sull’argomento, hanno evidenziato che vi sono grandi capacità di stoccaggio della CO2 nel sottosuolo. Secondo fonti Ipcc, i volumi disponibili su scala mondiale nei campi a olio e gas depletati consentirebbero lo stoccaggio di 1830 GtCO2eq, un volume pari alla produzione mondiale di CO2 dei prossimi venticinque anni, stimata di 1800 Gt. E ben superiore sembra essere il potenziale di stoccaggio offerto dagli acquiferi salini, stimato maggiore di 3600 GtCO2eq.


(1) Fonte DOE 2003

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