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Un futuro di gas, carbone e nucleare

Negli scenari energetici futuri, il carbone torna a essere una possibile alternativa al petrolio, grazie a nuove tecnologie che ne riducono l’impatto ambientale e rendono più vantaggiosa la sua estrazione. Ma sono in molti a puntare anche sul nucleare. Remota la possibilità di nuove Chernobyl, resta però la preoccupazione per alcuni paesi nei quali dalla produzione di energia si potrebbe facilmente passare a quella di armamenti. Infine, si guarda al gas naturale, dalle riserve meno concentrate geograficamente, più pulito e meno costoso.

Se eliminare, o quanto meno ridurre, le emissioni nocive a monte, passando a fonti energetiche pulite non è possibile, ecco che l’interesse si sposta a valle, sulla fattibilità di eliminare, o quanto meno ridurre, le emissioni della combustione delle fonti fossili.

Torna il carbone

Si parla molto per esempio dell’opzione della cattura e sequestro del carbonio prodotto dal processo di combustione. In sostanza, si tratta di un processo a due stadi mediante il quale il gas (essenzialmente l’anidride carbonica) viene dapprima estratto dalla macchina che brucia il combustibile fossile (la “cattura”) e successivamente immagazzinato in apposite sedi da cui non può più scappare (il “sequestro”). La prima fase è la più costosa anche perché va prevista fin dalla costruzione dell’impianto di produzione dell’energia, anche se esistono soluzioni che consentono l’adattamento di impianti esistenti. (1)
Interessante è notare che questa opzione di breve termine riporta in gioco anche la più inquinante delle fonti fossili: il carbone, minerale di cui paesi abbondano come la Cina, l’India e il Sud Africa, che non intendono rinunciarvi perché alimenta il loro processo di sviluppo.
Naturalmente, anche i paesi industrializzati si attivano su questo fronte: nel 2003 è partito il Carbon Sequestration Regional Partnership Program patrocinato dal ministero dell’Energia americano. Mette in rete Stati, governo federale e settore privato con il compito di raccomandare nel giro di due anni soluzioni tecnologiche (aspetti tecnici, regolatori e infrastrutturali) da sottoporre a validazione su piccola scala. Non a caso questo programma è parte integrante della politica energetica del presidente Bush. In Europa, il governo britannico ha lanciato una consultazione sulle tecnologie di abbattimento del carbonio che guardi allo sviluppo di metodi di cattura e sequestro, anche dialogando con i norvegesi, in quanto i pozzi esauriti di petrolio e gas del Mare del Nord potrebbero fungere da depositi di carbonio. Infine, va segnalato un piano internazionale per sviluppare e promuovere la cooperazione sul recupero e uso del metano, cui partecipano Australia, Giappone, India, Italia, Messico, Regno Unito, Ucraina e Usa.

Senza dimenticare il nucleare

Da qualche tempo, però, i riflettori si sono riaccesi sull’altra opzione attualmente utilizzata, quella nucleare. La sua quota è aumentata rapidamente fino agli anni Novanta, ma da allora è rimasta attorno al 17 per cento di tutta l’elettricità generata. Perché aumenti in misura significativa deve superare due test, come osserva William Nordhaus dell’Università di Yale, esperto di questioni energetiche e ambientali.
Il primo è convincere le scettiche opinioni pubbliche che il nucleare è sicuro. Sulla necessità del nucleare, scienziati, governanti e dirigenti del settore energetico da qualche tempo mostrano di non avere dubbi. Non ne ha la (ex) commissaria europea all’Energia Loyola de Palacio, che sottolinea invece il problema della sicurezza degli approvvigionamenti energetici. Anche il governo spagnolo, dopo avere chiuso il reattore più vecchio, incrementerà l’output del nucleare esistente. E il Regno Unito mette l’accento sul problema ambientale: per raggiungere il target di emissioni di gas-serra, metà dell’elettricità inglese dovrà provenire dal nucleare, quando oggi ne provvede solo un quinto. Infine l’Italia, dove il ministro Antonio Marzano o l’amministratore delegato di Enel Scaroni non fanno mistero della necessità di rivedere le nostre decisioni in materia di energia nucleare, che non produciamo più, ma che comunque continuiamo a importare, soprattutto dalla Francia.

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È però l’altro test che desta attenzione crescente: la sicurezza delle centrali nucleari.
Timori per nuove Chernobyl (quello che fu, non quello che è oggi, che è altra cosa e probema) o Three Mile Island sono oggi, secondo gli esperti, fuori luogo. Con più di 10mila anni-reattore di esperienza al 2004, osserva Nordhaus, le analisi standard di valutazione del rischio dei reattori ad acqua leggera sono risultate largamente accurate.
Ciò che invece genera una crescente preoccupazione è il problema del dirottamento di materiale nucleare verso la produzione di armamenti. Tutti i casi di recente proliferazione di armi atomiche, in Corea del Nord, India, Pakistan per esempio, si sono verificati in paesi che hanno ottenuto il materiale da impianti civili di produzione di energia. E in questo contesto si inserisce il contenzioso in corso tra Iran e l’agenzia internazionale dell’energia atomica. (2)

Le novità possibili

In conclusione, nel prossimo futuro non vi sono alternative alle fonti fossili: è e resta l’opzione preferita, in quanto politicamente accettabile, nella maggior parte delle regioni del mondo. Tanto più che le proiezioni attuali della disponibilità di petrolio e gas non segnalano riduzioni, ma anzi sono state riviste verso l’alto dal 1973 a oggi. Ciò nondimeno, crescono i problemi e le difficoltà connesse al petrolio, riconducibili ai problemi politici di sicurezza dell’approvvigionamento (geograficamente le fonti sono concentrate soprattutto nella regione araba), e ai problemi ambientali, primo fra tutti il riscaldamento globale.
Possiamo aspettarci qualche novità? La prima è appunto il ritorno del carbone, che già alimenta un terzo dell’elettricità inglese, metà di quella tedesca e statunitense, tre quarti di quella cinese e indiana. E la cui estrazione sta tornando a essere un business vantaggioso per la crescente domanda anche di paesi come gli Usa. Inoltre, le tecnologie moderne consentono di ridurre l’impatto ambientale del minerale nero.
L’altra novità che il prossimo futuro probabilmente ci riserva è una significativa sostituzione del petrolio con il gas naturale. I vantaggi importanti sono due: le sue riserve sono meno concentrate geograficamente ed è più pulito. Lo svantaggio è che si tratta di un gas e come tale meno facile da trasportare del petrolio (il sistema dei gasdotti è complesso e perciò  non molto ramificato e a lunga gittata). Nonostante lo sforzo finanziario sia ingente, con poche società in grado di sostenerlo, si sta diffondendo la pratica di costruzione di impianti di liquefazione e successiva rigassificazione del Lng (gas naturale liquido). (3)
Spostarsi dal petrolio all’accoppiata carbone-gas certamente avrebbe vantaggi di costo. Secondo la Royal Academy of Engineering (marzo 2004), il costo di generazione di un kilowattora in centesimi di euro è 3,3 nel caso del gas-ciclo combinato con turbina e di 4,2 gas-turbina, di 3,7 nel caso del carbone in polvere e di 6,7 nel caso di carbone in polvere con abbattimento dei fumi. (4)

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Forse, non è un caso se il recente decreto governativo che ha autorizzato la costruzione di ventidue nuove centrali elettriche alimentate da combustibili fossili con una capacità complessiva superiore a 11 gigawatts (un terzo in più rispetto all’attuale), prevede che esse bruceranno gas con ciclo combinato, mentre un paio di quelle esistenti saranno riconvertite a carbone o orimulsion, una specie di olio combustibile alquanto inquinante. Naturalmente, c’è da augurarsi che il ritorno nostrano al carbone si accompagni all’adozione delle più moderne tecniche di abbattimento delle emissioni nocive.

(1) Istruttivo è l’articolo “Fired up with ideas”, in The Economist del 6 luglio 2002.

(2) Sul nucleare da segnalare il recente ponderoso studio interdisciplinare del Mit, “The Future of Nuclear Power”, scaricabile all’indirizzo htto://web.mit.edu/nuclearpower/. Sul caso dell’Iran si veda l’esauriente storia “The world of the ideologues” in The Economist del 2 settembre 2004.

(3) Ancora una volta: “The future’s a gas”, The Economist 28 agosto 2004 e “The future is clean”, The Economist 2 settembre 2004.

(4) Traiamo questi numeri da “The cost of generating electricity” rintracciabile all’indirizzo www.raeng.org.uk/news/temp/cost_generation_commentary.pdf.

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Sommario 29 ottobre 2004

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Il mercato delle banche

  1. Massimo Bailo

    A proposito dell’utilizzo dell’energia nucleare per scopo pacifici, è utile precisare che:
    1) Esso è la prima fonte di produzione di elettricità in Europa, 35%, davanti al carbone; petrolio e gas sono le ultime in Europa ma le prime in Italia.
    2) E’ totalmente sbagliato accomunare Chernobil e Three mile island: nel primo caso fu un disastro, uno dei tanti dell’ex Unione Sovietica, si pensi al lago d’Aral il cui livello è calato di 18 (diciotto) metri a seguito di scriteriate opere di deviazione degli immissari con conseguenze ambientali spaventose. Nel secondo caso, contrariamente a quello che comunemente si dice, non è successo niente, le conseguenze ambientali dell’incidente a TMI sono state infatti trascurabili. Ma la tecnologia sovietica di Chernobil non ha nulla a che fare con la tecnologia occidentale, è come paragonare la vecchia Trabant con motore a 2 tempi alle moderne autovetture catalizzate.
    3) il timore del dirottamento a fini bellici delle tecnologie nucleari è fuori luogo. Intanto buona parte dei paesi dotati di centrali nucleari la bomba ce l’hanno già (USA, Francia, Regno Unito, Cina, Russia ecc.). Ma soprattutto, non si deve confondere la causa con l’effetto: India Pakistan e Corea del Nord, avendo deciso di dotarsi di armi nucleari, hanno costruito reattori plutonigeni. Quindi non è vero che hanno fatto la bomba perchè avevano le centrali, ma hanno fatto le centrali per farsi la bomba. Bloccare lo sviluppo del nucleare per motivi bellici sarebbe come impedire il commercio del piombo perchè con esso si fanno i proiettili.
    4) In Italia muoiono ogni anno circa 7.000 persone per incidenti stradali, e questo non è un rischio potenziale ma un dato statistico; applicando i criteri della sicurezza nucleare, il traffico automobilistico dovrebbe essere immediatamente bloccato su tutto il territorio nazionale.
    E si potrebbe continuare…
    Grazie per l’ospitalità.

  2. Michele Valentinuz

    Confesso che mi intimidisce un po’ scrivere su questo autorevole sito ma davvero vorrei se possibile dire la mia e dare un minimo contributo a questo dibattito sull’energia.
    1) Se si dice che l’Italia fa eccezione rispetto al resto d’Europa per il tipo di combustibili usati andrebbe anche ricordato che noi compriamo dalla Francia energia nucleare e quindi di fatto, se parliamo di uso dell’energia, andrebbe menzionata anche in riferimento al nostro paese
    2) Chernobil è stato un disastro indotto dall’arretratezza del sistema tecnologico sovietico, ma mi pare difficile poterlo ridurlo a ciò, archiviando morti, invalidi e tragedie umane indescrivibili, senza contare gli evidenti danni ambientali che permarrano chissà per quanto.
    Mi pare anche riduttivo giustificare l’uso del nucleare dicendo che la tecnologia occidentale è nettamente migliore. Certo le trabant fanno schifo rispetto alle nostre auto moderne e catalizzate, ma sono proprio questi gioielli della tecnologia che ci obbligano alle targhe alterne e comunque a respirare perlopiù aria di scarsa o pessima qualità nelle nostre città. Quindi il fatto che siano migliori non vuol dire che garantiscano risultati, in temini di qualità dell’aria, soddisfacenti. Idem per il nucleare.
    3) Suddividere la questione nucleare tra civile e militare è l’ennesima fregatura, il problema è uno e va affrontato eliminadolo alla radice. Certo non sono uno sprovveduto idealista che pensa ad un modo in pace, armonioso e fecondo ma la strada da battere è quella non c’è dubbio. Per un semplice motivo, la tecnologia oggi offre alternative al nucleare e che stanno di giorno in giorno migliorando efficienza.
    Inoltre credo che ormai ci si debba orientare sempre di più su impianti piccoli a basso impatto ambientale e distribuiti sul territorio, in alternativa a impianti centralizzati ad alto impatto ambientale e aggiungerei sociale.
    4) Il taffico sulle strade che provoca morti e inquinamento, mi pare che sia chiaramente in discussione. Forse l’Italia mostra più timidezza nel varare politiche degne di questo nome in materia di trasporto ma direi che in Europa si fanno grandi cose. Il trasporto su rotaia può aiutare in questo senso. In Veneto si sta battendo questa strada: una linea metropolitana collegherà Treviso, Padova, Verona e Venezia. A Padova, meglio dalla finestra dell’ufficio, vedo il cantiere del metrobus in costruzione. Ripeto segnali timidi e tardivi ma ci sono. Non vedo perché se muoiono 7000 persone all’anno in auto allora sono giustificato a costruire una centrale nucleare. Credo che la direzione da intraprendere sia quella del miglioramento e non quello di fare paragoni con situazioni o fenomeni peggiori. Lo tzunami ha fatto molte più vittime di Chernobil allora perché non mettiamo in attività il vecchio reattore?

    Aggiungo e concludo che da quel po’ che ne so sul nucleare mi pare che sia la solita bufala che posticipa il problema. Non è moralismo ambientalista ma sono i calcoli economici che ci vengono in supporto; in verità il nucleare economicamente non conviene perché posticipa i costi. Certo nel costo/KWH è vincente rispetto alle altre fonti di energia, ma si trascura il ciclo di vita di una centrale nucleare (20 anni). Arriva infatti il momento in cui si paga il conto. Lo stoccaggio non solo delle scorie, ma anche di tutte le strutture che devono essere smantellate e lo smantellamento stesso hanno dei costi folli. Quindi ci dicono che costa meno ma non ci dicono che il vero conto arriva alla fine del gioco. E’ come in quelle discoteche dove entri gratis e la consumazione è obbligatoria e spesso equivale al costo dell’ingresso. In questo caso il negroni costa molto di più dell’ingresso.
    A luglio nascerà mio figlio e allora mi viene da ricordare quella frase che dice che dobbiamo trattare bene il nostro pianeta non perché lo erediteranno i nostri figli ma perché ora ce l’abbiamo in prestito da loro.
    Ringrazio per lo spazio concessomi
    Michele Valentinuz

  3. Paolo Fornaciari

    Il citato rapporto della Royal Academy of Engineering (marzo 2004) del Regno Unito, indica il costo dell’energia prodotta dalle centrali a gas ciclo combinato, pari a 2.2 pence/kWh, corrispondenti a 3.3 Eurocent/kWh. Si fa presente peraltro che negli ultimi due anni il prezzo del gas naturale é raddoppiato, passando da 3 a 6 $/MBTU per cui, oggi il costo delle pur efficienti centrali elettriche CCGT è quasi triplo rispetto a quelle nucleari.

  4. Elio

    ragazzi ho letto qualcosina a proposito del nucleare da voi riportato.
    sinceramente sto cercando di documentarmi a proposito e visto l’ambiente in cui abito mi dispiacciono certi paragoni.
    allora abito nella valle del Garigliano, vicino x ki nn lo sapesse alla cosidetta centrale nucleare del Garigliano. voi dite 7000 morti x incidenti stradali…. il nucleare ne fa meno… mia nonna è morta di cancro, l’altra mia nonna pure, mia zia soffre il cancro al cervello, mia suocera ha un tumore osseo, la moglie dlel’ex sindaco morta x tumore osseo… devo continuare????? da noi nn c’è neppure l’ospedale con il reparto oncologico x cui molte persone muoiono e nn sanno ke avevano un cancro probabilmente. conosco ragazzi ke a 20 anni hanno già subito un paio di operazioni per il tumore o ke stanno in kemio. voi parlate di riaprire le centrali???
    questa qui vicino è chiusa ed in via di smantellamento e di morti in 30 anni ne avrà fatti almeno 20 mila senza parlare quelli ke farà in futuro.
    noi ci laviamo, ci nutriamo, beviamo le acque della zona ke sono entro le norme di legge, ma ke con probabilità contengono un minimo di radiazioni di fondo ke alla lunga possono fare male.. quanta acqua usate al giorno??? la media è di 240 litri.. 240 litri*365 giorni* un intera vita= tante radiazioni.
    sarei anke io per il nucleare, ma ke si dicesse la verità e si facesse qualcosa x il dopo nucleare. 20 anni dopo il referendum non si sa neppure dove mettere le scorie. nessuno le vuole e noi ce le stiamo sorbendo, x amor di patria, da un trentennio.
    grazie x l’ascolto spero di aver fatto capire bene i rischi del nucleare e di aver ricordato a qualcuno ke nn ci chiamiamo francia o inghilterra, ma italia.

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