Negli ultimi anni, statistiche ufficiali, sondaggi d’opinione, commenti raccolti per la strada, stime econometriche sono diventate “realtà” indiscutibili, finendo però per rendere tutto indeterminato. Ora è necessario arrivare alla definizione di un insieme condiviso di dati e indicatori statistici per vagliare la situazione di un paese sotto vari aspetti. Anche l’Italia deve accelerare la riflessione su questo tema chiave. Perché lo sviluppo di scelte politiche valutabili su dati di fatto è una caratteristica irrinunciabile di un paese moderno.

“Il gioco esasperato di interrelazioni tra informazione, statistica ed economia rischia di rendere tutto indeterminato”. Così ha scritto Innocenzo Cipolletta su www.lavoce.info, sottolineando i rischi di una informazione che diventa unicamente caccia alla notizia sensazionale invece che paziente e attenta lettura (e interpretazione) della realtà. Cipolletta evidenzia poi, giustamente, come questo problema non sia unicamente italiano, ma anche come la particolarità del mercato dell’informazione italiano (nonché, aggiungo io, il modesto livello culturale di ampie fasce della popolazione, i modelli dominanti di fruizione culturale – troppo centrati sulla televisione – e il forte legame politica-media) renda il caso italiano del tutto particolare e più grave rispetto agli altri grandi paesi industrializzati. 

Informazione e statistica

In effetti, la riflessione sull’interazione tra informazione ed economia ha prodotto importanti avanzamenti sia nella teoria economica, sia nel modo in cui i fatti economici sono presentati al grande pubblico (cioè a chi determina gran parte degli andamenti economici, assumendo milioni di microdecisioni quotidiane), al punto che credo si possa affermare che la “gente” possiede oggigiorno una cultura economica nettamente superiore a quella di venti anni fa.
Purtroppo, altrettanto non sembra potersi dire per il legame tra informazione e statistica, tra statistica e grande pubblico, nonché tra statistica e decisori politici. 
Appare evidente l’aumento significativo della quantità di “dati” riportati dai vari media, quasi che le cifre rendano necessariamente più ricca l’informazione e più autorevole la fonte. “Il pubblico adora le cifre” mi dicono continuamente i miei colleghi della direzione comunicazione dell’Ocse, spingendomi a corredare commenti o altri testi con cifre, possibilmente “curiose”. Purtroppo, più le cifre appaiono sensazionali, più i media sembrano pronti a metterle al centro della loro attenzione, talvolta senza porre sufficiente attenzione alla loro attendibilità e significatività. Basti pensare al modo con cui la polemica (forse dovrei dire la “guerra”) sul “vero” tasso d’inflazione è stata condotta in Italia, con un sensazionalismo che ha finito per favorire comportamenti speculativi e influenzare fortemente le dinamiche effettive di alcune variabili economiche. Statistiche ufficiali, sondaggi d’opinione, commenti raccolti per la strada, stime econometriche sono diventate tante “realtà” indiscutibili, finendo, come dice Cipolletta, per rendere tutto indeterminato.
Questo tipo di episodi, verificatisi nel corso dell’ultimo biennio anche in altri paesi europei, ha messo a nudo sia la difficoltà della società e degli operatori economici nel comprendere stato e dinamiche delle variabili importanti per i comportamenti individuali, sia i limiti dei produttori di statistiche ufficiali nel comunicare i propri risultati al resto del mondo. Troppo spesso lo statistico si ferma al rilascio del dato senza offrire la propria visione della realtà colta da quel dato. Normalmente, ciò avviene per una forma di rispetto dell’utente e/o per evitare di essere accusato di andare oltre il proprio ruolo: nella realtà, però, tale atteggiamento si traduce in un contributo alla “indeterminazione informativa”.
Le opinioni espresse da portatori d’interessi particolari sulla significatività di certi dati divengono così tutte lecite e ugualmente fondate, mentre in alcuni casi esse rappresentano stravolgimenti compiuti ad arte di dati di per sé chiari. Anche in questo processo i media svolgono spesso un ruolo fondamentale, contribuendo al grande “Blob”.
Se poi anche il legame tra politica, statistica e informazione diviene volutamente confuso, la statistica stessa finisce per essere strumentalizzata, perdendo ogni valore di conoscenza comune. Se, infatti, è del tutto normale che un politico interpreti i dati statistici dal proprio personalissimo punto di vista (esaltando come positivi risultati incerti se è al governo, o come fortemente negativi se è all’opposizione), molto meno normale (e fortemente pericoloso) è il gioco al massacro sulla qualità della statistica ufficiale. Nella democrazia dell’alternanza, infatti, la qualità delle statistiche ufficiali dovrebbe essere considerato un bene pubblico, la cui difesa e rafforzamento dovrebbe essere parte di una politica bipartisan.

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Per una conoscenza condivisa

Le problematiche qui brevemente riassunte hanno spinto diversi paesi dell’Ocse ad avviare riflessioni approfondite sia su come proteggere la statistica pubblica da invasioni di campo e renderla un vero e proprio bene pubblico, sia su come identificare un set informativo condiviso da tutta la società per valutare la situazione e il progresso (o il regresso) che quest’ultima compie in campo economico, sociale, ambientale, eccetera.
Sul primo argomento, rinvio a miei precedenti interventi su www.lavoce.info. Vorrei qui riferirmi alla seconda problematica: ha a che fare con il tema fondamentale della public accountability, cioè della possibilità che la società (e in particolari gli elettori) ha di comprendere lo stato della situazione e l’impatto che su di essa hanno o hanno avuto le scelte politiche.
Paesi come l’Australia, l’Irlanda, la Svizzera, la Gran Bretagna e ora anche gli Stati Uniti, hanno avviato ampie e serie riflessioni, coinvolgendo diverse componenti della società (governo, partiti, parti sociali, media, accademici, statistici ufficiali), per identificare un insieme condiviso di dati e indicatori statistici per valutare la situazione del proprio paese dal punto di vista economico, sociale e ambientale, sia in termini assoluti, sia relativi, cioè rispetto al tempo e ad altri paesi. Questo tipo di iniziative si distinguono da quelle condotte da organismi pubblici o privati proprio per lo sforzo di coinvolgimento delle diverse anime della società.
Chiaramente, tali sistemi di key indicators non pretendono di ricomprendere tutte le possibili sfaccettature della realtà, ma rappresentano un sottoinsieme informativo la cui validità nasce dall’essere una sintesi condivisa dall’intera società, sulla quale si sceglie di sospendere la battaglia politica, concentrando quest’ultima sulle ricette per il cambiamento della situazione descritta dagli indicatori.
In queste esperienze, agli statistici ufficiali spetta non solo il compito di contribuire alla definizione della lista degli indicatori e di migliorare la misurazione dei fenomeni identificati come importanti, ma anche quello di produrre il rapporto (tipicamente annuale) che presenta al pubblico tali indicatori. In questo modo, quindi, la statistica ufficiale è messa al centro della società, svolgendo un ruolo di servizio autonomo e indipendente a tutte le sue parti, ma in un quadro di regole condiviso e codificato.  
Questo tipo di iniziative può svolgere un ruolo chiave nella definizione e valutazione delle politiche, sia pubbliche che individuali. È per questo che l’Ocse ha avviato una iniziativa volta a spingere i singoli paesi non solo a sviluppare il ruolo della statistica come parte della conoscenza comune della società e a fondare le politiche su tale conoscenza, ma anche a promuovere azioni concrete per  identificare indicatori condivisi di carattere economico, sociale e ambientale. In particolare, l’Ocse organizzerà a Palermo, dal 10 al 13 novembre 2004, il primo forum mondiale sui key indicators, dal titolo “Statistics, Knowledge and Policy” (www.oecd.org/oecdworldforum). Al forum, parteciperanno oltre cento speaker (tra cui vari ministri, il presidente della Banca centrale europea, il vice-presidente della Banca Mondiale ed il segretario generale dell’Ocse) ed alcune centinaia di delegati.
Come la redazione del lavoce.info non cessa di ripetere, lo sviluppo di scelte politiche accountable, cioè valutabili su dati di fatto, è una caratteristica irrinunciabile di un paese moderno. È quindi importante che anche la società italiana, acceleri la sua riflessione su un tema chiave per il proprio sviluppo democratico.

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