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Il conflitto di interessi sotto il mantello di Harry Potter

La legge sul conflitto di interessi ha abolito il problema invece di risolverlo. I criteri di incompatibilità sono definiti rispetto alla figura del gestore delle attività economiche e non si estendono alla figura del proprietario. Tutto l’intervento di contenimento del conflitto di interessi è scaricato sulla verifica ex-post degli atti di governo. E questo compito improbo è sorprendentemente affidato all’Autorità antitrust, le cui competenze tecniche riguardano l’analisi delle decisioni delle imprese e non dei governi.

Molto si è detto della tardiva conclusione della vicenda conflitto di interessi, tema che ha saputo accumulare ritardi e paralisi nella precedente legislatura sotto i governi del centrosinistra e, nell’attuale, un clamoroso sforamento di oltre 1000 giorni rispetto alle promesse elettorali del Premier, che dava per risolto il problema nei suoi primi 100 giorni di governo.

Due approcci al conflitto

È utile oggi ripercorrere quali problemi sono connessi al conflitto di interessi per valutare la soluzione legislativa approvata dalla maggioranza di centrodestra.

È noto come il conflitto di interessi sorga, per i rappresentanti eletti a cariche di governo, quando le decisioni pubbliche prese comportino un vantaggio privato in contrasto con l’ufficio pubblico ricoperto.

Due sono gli approcci che possono essere seguiti per affrontarlo. Il primo comporta una verifica ex-post degli effetti delle decisioni pubbliche, in modo da identificare quegli atti che manifestano un evidente conflitto tra interesse privato e obiettivi pubblici. Il secondo, invece, prevede una incompatibilità ex-ante, cioè una esclusione dalle cariche pubbliche di soggetti potenzialmente portatori di tale conflitto per il ruolo e gli interessi di cui sono portatori nella sfera privata, in modo da evitare che si presentino situazioni di conflitto.

Queste due strade vanno valutate sotto un duplice punto di vista: circa la loro efficacia nell’affrontare il problema, ma anche con riferimento ai vincoli che pongono ai diritti economici e politici dei cittadini che intendano accedere a un ufficio pubblico.

La strada che consiglia di controllare le decisioni pubbliche nei loro effetti ex-post è sicuramente più rispettosa dei diritti politici ed economici dei cittadini, dal momento che non preclude ad alcuno di concorrere per queste cariche.

Tuttavia, essa richiede di valutare in base agli effetti se una decisione pubblica sia viziata da conflitto di interessi, compito per nulla agevole quando occorra valutare e quantificare benefici privati e collettivi. In alcuni casi potremmo avere decisioni che contemporaneamente accrescono il benessere dei cittadini e del cittadino chiamato a governarli, ma la distribuzione dei benefici potrebbe essere non omogenea, premiando il governante assai più che non gli elettori.

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E che dire di decisioni che sicuramente accrescono il benessere del governante senza tuttavia arrecare danni alla collettività? Ancora, come valutare gli effetti di una decisione pubblica, che spesso oltre a un impatto diretto può comportare ulteriori ripercussioni che si diffondono nel sistema sociale ed economico spesso con tempi differiti? Infine, come misurare gli effetti nel caso in cui una decisione pubblica venga posticipata, o non venga presa, a beneficio degli interessi del governante?

Per contro, l’approccio che richiede un filtro a priori, che definisca l’incompatibilità tra cariche pubbliche e determinati ruoli ricoperti nella sfera privata, pur restringendo significativamente la sfera dei diritti politici ed economici di alcuni cittadini, sicuramente garantisce una efficacia maggiore (per quanto, in una certa misura più grezza) rispetto al problema. Escludendo dalle cariche pubbliche soggetti che nella loro attività economica interagiscono fortemente con le decisioni pubbliche, consente evidentemente di evitare situazioni di potenziale conflitto.

Come abolire il problema

La strada scelta nella legge approvata in via definitiva in questi giorni dalle Camere apparentemente propone una soluzione intermedia tra questi due approcci. Indica dei criteri di incompatibilità e individua dei soggetti preposti alla verifica ex-post delle decisioni dei governanti.

I criteri di incompatibilità, tuttavia, sono definiti rispetto alla figura del gestore delle attività economiche, cioè di chiunque ricopra ruoli direttivi nella gestione di società. L’incompatibilità non è invece estesa alla figura del proprietario, che di norma dovrebbe essere il vero beneficiario degli atti in conflitto di interesse. Per chiarire con un esempio comprensibile a tutti, noi cittadini milanesi non potremo veder concorrere Fedele Confalonieri alla carica di sindaco di Milano, mentre continueremo a seguire le avventurose decisioni del presidente del Consiglio in materia di televisioni, assicurazioni, editoria, calcio e quant’altro.

Definendo i criteri di incompatibilità con riferimento alla gestione ma non alla proprietà delle imprese, la legge oggi approvata rende il filtro ex-ante facilmente aggirabile, e sostanzialmente scarica sulla verifica ex-post degli atti di governo tutto l’intervento di contenimento del conflitto di interessi. Compito, come già argomentato, di improba difficoltà.

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A chi toccherà tale ingrato compito? Con una scelta difficilmente comprensibile, la legge attribuisce all’Autorità garante della concorrenza e del mercato il compito di vigilare sugli atti di governo in materia di conflitto di interesse, assegnando all’Autorità di garanzia delle comunicazioni un analogo compito quando gli atti di governo investano il settore dei media. Appare francamente difficile comprendere questa scelta, tanto più in un paese solitamente prodigo nel creare nuove Authority, dal momento che le competenze tecniche dell’Autorità antitrust riguardano l’analisi delle decisioni delle imprese (in posizione dominante) e non dei governi. L’unico effetto che sin da oggi appare plausibile è quello di aver condizionato con rilevantissimi interessi politici le prossime nomine di una Autorità che in questi anni si è distinta per la sua indipendenza e eccellenza tecnica.

La legge approvata dal centrodestra richiama alla mente un artificio che già avevamo osservato con la legge Gasparri (vedi Polo e Gambaro) di riordino del settore dei media: in presenza di un macroscopico problema di concentrazione nei mercati rilevanti per l’informazione e il pluralismo, la soluzione ha abolito il problema invece di risolverlo, creando un parametro di riferimento, il sistema integrato di comunicazione, talmente vasto da diluire le posizioni dominanti e consentire nuove espansioni (vedi De Bortoli).

Oggi si affronta il conflitto di interesse definendolo in modo da non intaccare il reale problema che condiziona il sistema italiano da un decennio, e facendolo scomparire. Come il magico mantello di Harry Potter, la legge Gasparri e la legge Frattini consentono ai problemi della nostra democrazia di circolare indisturbati senza che sia più possibile, agli occhi del legislatore, scorgerli.

 

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  1. Riccardo Puglisi

    Vi è molto poco da aggiungere alla sua precisa analisi del conflitto d’interessi e del modo in cui (non) è stato disciplinato dalla cosiddetta legge Frattini.

    Mi permetto di aggiungere due riflessioni.

    1) A proposito della previsione normativa secondo cui la “mera proprietà” di un’impresa non costituisce condizione sufficiente per un’incompatibilità ex ante con una carica pubblica, il commento più calzante proviene secondo me da Giovanni Sartori.

    In un’intervista di qualche tempo fa aveva fatto notare come nella sua libreria di scienzato politico vi siano scaffali interi di libri in cui la proprietà viene qualificata come potere. Nel caso di un’impresa, il banale potere di licenziare l’amministratore che non ubbidisca agli ordini del proprietario stesso. Oppure il potere di selezionare amministratori che sono strutturalmente incapaci di non obbedire ai dettami del proprietario.

    2) La legge Frattini assegna all’Autorità Antitrust il compito di analizzare ex post gli atti del governo, per cui vi sia il sospetto di un conflitto d’interessi. Come sottolineato da Polo, l’Autorità Garante della Concorrenza verrebbe caricata di una funzione dal forte significato politico. Attualmente i membri dell’Autorità sono nominati di concerto dai presidenti di Camera e Senato, i quali a loro volta -a partire dalla mancata elezione di Spadolini a presidente del Senato nel 1994- sono eletti con modalità partisan, ovvero dalla maggioranza parlamentare tra i propri membri.

    Data questa prassi parlamentare, la connotazione partigiana dei presidenti di Camera e Senato -forse rimasta sopita nella scelta di commissari “meramente” anti-trust- potrebbe riemergere con prepotenza nel momento in cui si devono eleggere commissari contemporaneamente anti-trust ed anti-conflitto-d’interessi.

    Cordiali saluti,

    Riccardo Puglisi

    • La redazione

      Caro Puglisi,
      purtroppo non posso che essere totalmente e sconsolatamente d’accordo con lei.
      come si suol dire, cornuti e mazziati!
      cordiali saluti
      M.P.

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