La probabile ratifica russa del Protocollo di Kyoto dà ulteriore forza e credibilità all’iniziativa europea sul mercato dei permessi. Ma dalle indiscrezioni sui piani provvisori sembra che l’ammontare relativo dei permessi di emissione assegnati alle industrie sia troppo alto. E circolano dubbi sulla reale capacità della Commissione europea di sanzionare i piani troppo generosi. Intanto, negli Stati Uniti sono i singoli Stati a prendere iniziative per la riduzione delle emissioni di gas serra. Mentre si spera, forse ingenuamente, nell’elezione di Kerry.

Che aria tira sul clima in giro per il mondo?
Negli Stati Uniti, dopo il discusso rapporto preparato dal Pentagono che dipingeva scenari catastrofici causati dai cambiamenti climatici nei prossimi vent’anni, tornano alla carica i senatori Lieberman e McCain, un democratico e un repubblicano “ribelle”, con una proposta di legge, che intende limitare le emissioni americane di gas-serra nel 2010 ai livelli del 2000. (1)

Gli Usa ci ripensano?

Intanto, la politica di George W. Bush prosegue nella sua ambiguità. Harlan Watson, negoziatore capo per gli Usa sui cambiamenti climatici, il 10 maggio scorso in una conferenza a Bruxelles ha dichiarato che il presidente è stato male interpretato sulla questione, ma ha altresì affermato che l’ambiente non figurerà esplicitamente nella sua campagna presidenziale per la rielezione.
Europa e Giappone ripongono le loro speranze in John Kerry, candidato alla presidenza e senatore con il record di votazioni più “verdi”. Parla appassionatamente di effetto serra e ha nel suo programma l’introduzione di una legislazione nazionale ad ampio raggio, incluso un mercato nazionale dei permessi, per combattere il riscaldamento globale. Ma dalle colonne dell’International Herald Tribune, Nigel Purvis ammonisce che ci sbaglieremmo di grosso se sperassimo che Kerry, una volta eletto, spingerebbe per una ratifica del Protocollo di Kyoto. (2)
Tuttavia, anche senza l’elezione di Kerry, è possibile che negli Usa qualcosa accada.
Infatti, in assenza di una politica federale, sono gli Stati a essersi mossi.
Il Massachusetts è stato il primo a regolamentare le emissioni di anidride carbonica generate dalle centrali elettriche. Gli Stati del New England si sono quindi uniti alle province orientali del Canada nell’assunzione ufficiale dell’impegno a ridurre le emissioni di gas-serra del 12 per cento entro la fine di questa decade. Sull’altra costa, Oregon e Washington si stanno organizzando insieme alla California, il primo Stato ad approvare una legge che regolamenta le emissioni delle automobili.
In una sorta di gara virtuosa, il governatore del Massachusetts ha annunciato all’inizio di maggio un piano che in materia di pianificazione e finanziamento di opere pubbliche nel campo dei trasporti condiziona, in parte, le decisioni alle emissioni di gas-serra che tali progetti genererebbero.

Tutti questi fermenti formano un’alternativa credibile a Kyoto, si domanda l’Economist? (3) L’argomentata risposta è negativa. Tuttavia, a questo punto anche la grande industria chiede decisioni. Le società elettriche, che in larga parte impiegano combustibili fossili, hanno avallato la legislazione che obbligatoriamente limiterà le emissioni da esse stesse prodotte. Persino la ExxonMobil (e con essa ChevronTexaco), grande supporter della politica energetica di Bush, comincia a dare segnali di sensibilità al tema ambientale, anche perché si aspetta che molti azionisti la metteranno sotto pressione su questo tema nella prossima assemblea. E non va infine dimenticato che spesso la legislazione statale precede e provoca quella federale.

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La Ue ha fede nel protocollo

E in Europa come vanno le cose? Il clima in questa regione del mondo mostra luci e ombre.
Alla fine la perseveranza europea nei confronti della Russia sembra avere pagato. Dopo un lungo tentennare, Vladimir Putin ha annunciato venerdì 21 maggio che il suo paese si “sarebbe mosso rapidamente verso la ratifica”. Per il realista Putin la ratifica del Protocollo sembra infatti ridursi a una mera questione di politica estera. Visto che Kyoto non dovrebbe costare ai russi, anzi potrebbe addirittura generare ricavi per 10 miliardi di sterline, secondo il Financial Times, il presidente russo offrirebbe agli europei la ratifica del Protocollo insieme a un raddoppio del prezzo interno del gas (pari attualmente a un quarto di quello esportato agli europei) in cambio dell’assenso europeo all’ammissione alla Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. (4)
La scelta russa lascia peraltro gli americani più soli e dovrebbe incoraggiare ulteriormente il movimento d’opinione favorevole a iniziative sul fronte del clima.
Per loro conto gli europei si apprestano ad affrontare l’appuntamento pre-Kyoto più significativo, il mercato europeo dei permessi di emissione che parte il 1 gennaio 2005.
È un atto di fede nei confronti di un protocollo le cui condizioni vale comunque la pena soddisfare, si sostiene, anche senza che sia entrato in vigore. Nel frattempo, l’Europa impara l’uso di uno strumento che anche gli stati e i territori australiani stanno considerando, così come il Giappone e gli Usa. Negli Stati Uniti il commercio dei permessi ha avuto avvio l’anno scorso attraverso il Chicago Climate Exchange, che ha tra i suoi membri società come Dow Corning, Dupont, Motorola, Ibm e Ford.

Gli Stati membri dell’Ue devono assegnare alle proprie industrie una certa quantità di permessi che saranno poi scambiati sul mercato secondo il piano nazionale di allocazione o Nap, che ciascun paese doveva inoltrare alla Commissione europea entro fine marzo, termine che peraltro nessuno ha rispettato. Secondo le regole, la Commissione ha il diritto di porre il veto a quei piani che ritiene eccessivamente generosi verso l’industria e incoerenti con gli obiettivi di Kyoto. Se poi un paese rifiuta di rivedere il proprio Nap, la Commissione può citarlo in giudizio.
A metà maggio su ventitré paesi membri, otto non avevano ancora pubblicato un piano provvisorio. Tre di questi – Francia, Spagna e Polonia – sono tra i maggiori emittenti in Europa. Gli altri che mancano all’appello sono Belgio, Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Un’analisi provvisoria dell’allocazione per settori di attività rivela che l’elettrico conta per oltre il 50 per cento, seguito da petrolio e gas, cemento e vetro, metalli, carta. Queste saranno dunque le industrie verosimilmente più coinvolte dal futuro mercato dei permessi.
I primi verdetti ufficiali della Commissione vanno emessi entro il 30 giugno. Ma indiscrezioni e schermaglie sono già iniziate. Mentre il piano italiano, come racconta Enzo Di Giulio, appare fuori linea, voci riferiscono che quello polacco sarà eccessivamente generoso.

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Al punto che il commissario all’Ambiente, Margot Wallström, ha dichiarato che si prepara ad agire contro quei paesi che non hanno ancora sottomesso il Nap. Ma l’elemento più significativo delle sue dichiarazioni è che cruciale sarà la quantità totale di permessi. La prima impressione che emerge dalla lettura dei Nap inoltrati è che l’ammontare relativo appare troppo alto.
Un mercato funziona quando c’è scarsità. E infatti la percepita mancanza di scarsità si riflette sul prezzo di mercato di quei permessi che sono già attualmente scambiati: il prezzo di una tonnellata di CO2 era pari a 13 euro in gennaio mentre a fine aprile è sceso fino a 7 euro.
Ma per capire la posta in gioco basta una notizia che viene dall’Inghilterra, paese tra i più virtuosi in Europa quanto a politiche di riduzione delle emissioni. Ebbene, il ministro dell’Ambiente ha annunciato di avere incaricato una società di consulenza specializzata di valutare i Nap dei paesi membri nel timore che l’industria britannica possa essere danneggiata dalla mancanza di rigore degli altri paesi. E nel fare ciò i britannici esprimono anche dubbi sul fatto che la Commissione europea abbia effettivamente la forza per rigettare i piani di Germania, Francia e Italia.
Non c’è dubbio che la probabile ratifica russa del Protocollo dà ulteriore forza e credibilità all’iniziativa europea sul mercato dei permessi. E finisce per spuntare le armi di chi, come il nostro ministro dell’Industria Antonio Marzano all’ultima assemblea di Confindustria, riecheggiando i dubbi del Governo più volte esplicitati a livello europeo dal ministro dell’Ambiente Altero Matteoli, ha un poco avventatamente dichiarato che l’Italia potrebbe rivedere la sua posizione su Kyoto.

 

(1) Il rapporto sostiene che il mondo potrebbe finire sull’orlo dell’anarchia con alcuni paesi che utilizzano la minaccia nucleare per assicurarsi adeguate forniture di cibo, acqua ed energia. Gli autori del rapporto affermano che i cambiamenti climatici dovrebbero essere elevati al di sopra del dibattito scientifico a materia di sicurezza nazionale. La proposta Lieberman-McCain introduce limiti alle emissioni generate dalla produzione elettrica, dai trasporti, dall’industria e dal commercio e istituisce un mercato dove le singole imprese possono commerciare diritti d’emissione.

(2) “Europe and Japan misread Kerry on Kyoto” di Nigel Purvis, International Herald Tribune, 5 aprile 2004.

(3) “Bottom-up greenery”, The Economist, 18 marzo 2004.

(4) “Kyoto could be Russia’s ticket to Europe” di Anders Aslund, International Herald Tribune, 5 aprile 2004 e “A change in the climate: will Russia help the Kyoto protocol come into forse?” di Vanessa Houlder, Financial Times, 20 maggio 2004.

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