La differenza tra la proposta Fini e quella Tremonti di riduzione dellIrpef è solo di immagine. Entrambe le ipotesi infatti hanno effetti regressivi sulla distribuzione del reddito, e favoriscono in modo spiccato soprattutto chi guadagna più di 50mila euro. I redditi bassi, che già oggi non pagano limposta, sarebbero comunque esclusi da qualsiasi beneficio. Anche per le famiglie i risparmi maggiori si concentrano nel 10 per cento più ricco. Senza contare che le perdite di gettito sarebbero molto superiori alle cifre indicate finora. Il Governo ha annunciato l’intenzione di ridurre l’Irpef a partire dal prossimo anno. I beneficiari dei tagli Chi beneficerà maggiormente degli sconti fiscali promessi? Poiché non possiamo fare riferimento a una proposta precisa, presentiamo gli effetti distributivi di due possibili alternative, su cui nei giorni scorsi si è discusso maggiormente. Consideriamo prima l’effetto sui singoli contribuenti, poi sulle famiglie. Differenze solo di immagine È interessante notare che le due alternative generano effetti uguali fino alla classe 30mila-35mila euro, cioè per circa il 90 per cento dei contribuenti. Differiscono significativamente solo per i redditi superiori agli 80mila euro, che riguardano pochi italiani. Tutte le pensioni più basse, ad esempio, o i redditi da lavoro dipendente fino a 7.500 euro, non otterrebbero alcun vantaggio. Si potrebbe sostenere che hanno già beneficiato del primo “modulo” della riforma Tremonti, ed in parte è vero, ma in realtà buona parte di queste persone era esente anche prima. La ragione è semplice: è impossibile favorire i non pochi redditi bassi agendo sull’imposta personale, a meno che questa non preveda la restituzione in moneta delle deduzioni e detrazioni incapienti. Sconti per famiglie Passando agli effetti sulle famiglie, se le classifichiamo sulla base del reddito disponibile equivalente (dato dal reddito familiare netto diviso per una scala di equivalenza che tiene conto della numerosità dei membri), si nota anzitutto che entrambe le ipotesi prevedono un aumento del reddito disponibile per circa l’83 per cento delle famiglie, ma che nel 30per cento meno ricco solo una famiglia su due beneficia di uno sconto, dato che le altre sono già esenti dall’Irpef. Nel primo decile, solo l’11 per cento delle famiglie gode di un aumento del reddito disponibile.
Si confrontano, a quanto si apprende dalla stampa, due impostazioni: il presidente del Consiglio e il ministro del Tesoro sarebbero propensi al passaggio alle due aliquote del “contratto” elettorale: 23 per cento e 33 per cento. Mentre An e Udc vorrebbero conservare almeno tre aliquote, per non favorire eccessivamente i redditi più alti. Negli ultimi giorni sembra che le possibilità di un accordo a breve tra i partiti della maggioranza stiano sfumando. Tuttavia è probabile che su questo tema continui a occupare giocarsi una parte rilevante della campagna elettorale, con nuovi annunci o la semplice reiterazione da parte del Governo delle proposte già fatte.
La prima ipotesi, che per semplicità chiameremo ipotesi “Tremonti”, prevede due aliquote: 23 per cento fino a 40mila euro e 37 per cento oltre, con una no tax area che sale a 9mila euro per dipendenti e pensionati (e si esaurisce a 34mila euro), e a 5.500 per gli autonomi (fino a 30mila) E’ diversa dal contenuto della legge delega (aliquota al 33 per cento a partire da 100 mila euro), ma è più vicina ad un’ipotesi circolata negli ultimi giorni.
L’ipotesi alternativa, che chiameremo “Fini”, prevede invece tre aliquote: 23 per cento fino a 32.600 euro, 33 per cento da 32.600 a 70mila, e 45 per cento oltre, con no tax area definita come nella prima alternativa. Le altre deduzioni e detrazioni conservano sempre le caratteristiche attuali, in assenza di precise indicazioni.
La tabella mostra, per classi di imponibile (prima dell’applicazione della deduzione che realizza l’area esente), l’imposta media pagata oggi, e quella che sarebbe pagata secondo le due alternative. Le ultime colonne mostrano invece il risparmio, sia in assoluto che in percentuale del reddito imponibile.
In entrambe le ipotesi il risparmio percentuale è piuttosto alto nella classe 10mila-15mila euro, non per effetto delle nuove aliquote, ma semplicemente per l’incremento della no tax area. Dopo una riduzione nella classe 15-20mila, il risparmio riprende poi ad aumentare, più decisamente per l’ipotesi “Tremonti”, che fa segnare guadagni percentuali più elevati proprio per le classi più alte. L’ipotesi “Fini” invece prevede i guadagni percentualmente più consistenti per i redditi compresi tra 50mila e 80mila euro.
Un operaio, con imponibile compreso tra 15 e 20mila euro, godrebbe di una riduzione di imposta pari a circa 300 euro all’anno, 25 al mese. Il risparmio sarebbe di circa 475 euro (40 al mese) per un impiegato con imponibile tra 20mila e 25mila, e di 646 (54 al mese) per chi guadagna circa 28mila euro. Chi invece guadagna 80mila euro, risparmierebbe più o meno 3400 euro, 283 al mese.
È condivisibile questo disegno degli sconti fiscali? Ai lettori il giudizio.
Le differenze tra le due proposte risultano quindi più di immagine che di sostanza.
Certo, i sostenitori dell’ipotesi a tre aliquote hanno ragione quando dicono che le due aliquote avvantaggiano moltissimo le élite più ricche (anche se meno dell’originaria proposta del governo Berlusconi, con aliquota più alta al 33 per cento a partire da 100mila euro).
Ma hanno torto quando affermano che la loro proposta è a sostegno delle classi medie.
L’ipotesi “Fini” finisce infatti per premiare soprattutto i redditi tra i 50mila e gli 80mila euro, che non possono essere considerati da classe medio-bassa e neppure media.
Chi si trova in una posizione intermedia nella distribuzione dei redditi, i redditi mediani, si colloca invece attorno ai 18mila-20mila euro. Per concentrare su questi valori gli sgravi, occorrerebbe limitarsi a ridurre la seconda delle attuali aliquote (29 per cento da 15mila a 32.6000 euro), o ad aumentare la no tax area.
Sostenere che l’ipotesi “Fini”, a differenza della “Tremonti”, favorisce i redditi medio-bassi è fuorviante anche per un’altra ragione: molti redditi bassi sarebbero esclusi da qualsiasi beneficio, dal momento che già oggi non pagano l’Irpef.
Si dovrebbero invece aumentare i trasferimenti monetari, come le pensioni più basse o gli assegni familiari, oppure introdurre un serio reddito minimo di inserimento, o ancora riformare gli ammortizzatori sociali: opzioni evidentemente caratterizzate da minore appeal elettorale rispetto ai tagli fiscali.
Nel complesso delle famiglie, la figura mostra l’incremento percentuale del reddito disponibile, nelle due ipotesi. Si nota che entrambe le alternative producono in realtà incrementi di reddito pressoché uguali per circa il 90 per cento delle famiglie: se escludiamo le più povere, in media vedrebbero crescere il reddito disponibile di circa il 2 per cento.
Le due aliquote favoriscono decisamente di più il 10 per cento più ricco.
In sostanza, entrambe le ipotesi su cui il Governo sta lavorando (o ha lavorato finora) hanno effetti regressivi sulla distribuzione del reddito, e favoriscono in modo spiccato soprattutto chi guadagna più di 50mila euro.
Questo risultato viene conseguito con perdite di gettito che vanno dai 16 miliardi di euro per l’ipotesi “Fini” ai 18 dell’altra, cioè da un terzo a un mezzo in più delle somme di cui si parla, e rispetto alle quali non è stata ancora individuata la possibile copertura.
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