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Le domande dell’Africa

Il mancato sviluppo dei paesi africani e’ forse il principale fallimento dell’intera comunità internazionale. Lo ha ricordato anche la recente manifestazione di Roma, che ha chiesto soluzioni non utopiche, ma razionali, in grado almeno di migliorare la situazione attuale del continente. Anche sotto il profilo economico appare possibile aderire a tre richieste principali, da tempo in discussione: cancellazione del debito, sospensione dei brevetti sui medicinali, divieto di vendita delle armi.

Nei giorni scorsi si è svolta a Roma una sorprendente manifestazione a sostegno dell’Africa. Sorprendente perché non vi era alcun evento particolare che la ispirasse, eppure vi hanno partecipato oltre 100mila persone.
Le parole d’ordine della manifestazione, oltre alla simpatia e alla solidarietà, erano essenzialmente tre: cancellazione del debito dei paesi africani, medicine a prezzi accessibili e divieto di vendita di armi.

Queste tre parole d’ordine sono economicamente razionali e la loro eventuale accettazione da parte dei paesi occidentali e delle istituzioni multilaterali potrebbe portare benefici concreti allo sviluppo del continente africano?

Debiti, medicine e armi

Il primo tema, la cancellazione del debito, è stato molto discusso nelle sedi internazionali.

Il Washington Consensus in passato è stato che la cancellazione del debito toglie uno strumento di pressione per l’adozione di politiche economiche corrette e rischia di portare alla concessione di nuove risorse che verrebbero presumibilmente sprecate in politiche sbagliate. Meglio quindi dilazioni e richieste di pagamenti parziali in cambio di serrati controlli sulle politiche economiche dei paesi debitori, sotto la regia del Fmi o di altri controllori internazionali.

Anche sul secondo tema, medicinali a prezzi accessibili, ci sono state molte discussioni.

La delicatezza dell’argomento rende meno decisa la risposta negativa, ma sembra prevalere la nota tesi secondo la quale qualsiasi esproprio di diritti brevettuali porterebbe a minore innovazione futura, distorcendo un sistema di incentivi di mercato che funziona. Quindi, sia pure a bassa voce, il tema non viene perseguito.

Sul terzo argomento, la vendita di armi, la discussione è ancora meno esplicita. A onor del vero l’Fmi e i donatori generalmente contrastano l’uso di risorse di bilancio per l’acquisto di armi. Diverso naturalmente è accettare, anche da parte dei paesi produttori, che la vendita sia esplicitamente vietata. Si tratterebbe infatti di imporre divieti al libero scambio delle merci: un intervento che gli economisti giudicano sbagliato e spesso anche inefficace.

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Questi argomenti fanno parte di una ricetta che purtroppo non sta funzionando. Il mancato sviluppo di tutti i paesi dell’Africa è forse il principale fallimento storico dell’intera comunità internazionale e dei paesi donatori, comprese le loro strutture operative in materia di sviluppo economico, cioè l’Fmi e la Banca Mondiale. Si dovrebbero cercare nuove strade.

Una ricetta diversa

Se l’obiettivo condiviso è lo sviluppo dell’Africa, una risposta diversa alle tre domande iniziali potrebbe avere senso anche da un punto di vista economico.

La completa cancellazione del debito avrebbe due effetti immediati.

Il primo è ovvio: si eliminerebbe qualsiasi flusso di restituzione di fondi, perciò l’Africa sarebbe immediatamente più ricca. E potrebbe essere una precondizione positiva per l’afflusso di nuovi capitali. La limitata capacità di remunerare capitale da parte delle economie africane potrebbe essere messa al servizio di nuovi prestiti per realizzare eventuali nuovi progetti economicamente fondati, identificati e proposti anche con la partecipazione e supervisione delle organizzazioni internazionali.

Naturalmente, l’afflusso di capitali, e il loro impiego corretto, dipende da molti altri elementi, ma non direttamente influenzati dall’esistenza dell’attuale debito.
La gestione etero-diretta delle economie africane semplicemente non ha funzionato, quindi non hanno molto senso i timori per la perdita del potere di pressione, conseguenza della cancellazione del debito. Anzi, non si può affatto escludere che una negoziazione meno squilibrata tra Fmi, Banca Mondiale, donatori occidentali e governi dei paesi africani, potrebbe dare risultati migliori di quelli fin qui ottenuti. Il negoziato infatti non sarebbe più concentrato sulla remunerazione di investimenti sbagliati fatti nel passato, spesso in contesti geo-politici ormai superati, ma sulle possibilità di favorire investimenti di sviluppo futuri. E si dovrebbero tenere in maggiore conto le opinioni di chi conosce meglio la situazione reale.

Per le medicine, si potrebbe pensare a una “eccezione Africa“, alla sospensione di tutti i brevetti per un certo numero di anni.
I benefici immediati di una simile scelta sono evidenti: vite umane salvate e di capacità di lavoro preservata.

Ma quali sono i danni? Da un punto di vista quantitativo, per le grandi imprese farmaceutiche, l’Africa è una fonte di reddito estremamente limitata. L’effetto sui profitti di una vendita al costo sarebbe perciò assai ridotto.
E le preoccupazioni sugli incentivi all’innovazione non appaiono economicamente fondate.

Proprio perché l’Africa non dà oggi grandi profitti, non si vede perché una eccezione ben delimitata dovrebbe far temere alle case farmaceutiche di perderne in futuro. Il provvedimento si potrebbe giustificare con l’assoluta emergenza sanitaria del continente, che si trova in una situazione molto diversa rispetto ad altri paesi in via di sviluppo. I grandi paesi asiatici, per esempio, appaiono in condizione di controllare le proprie emergenze sanitarie e possono indirizzare a questo settore risorse proprie ingenti.

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Infine, le armi. Il divieto di vendita, pur non semplice da applicare, avrebbe l’effetto di ridurre il flusso di armi verso l’Africa e, di conseguenza di aumentarne il prezzo. Ambedue sono conseguenze positive. E l’Occidente può certamente rinunciare a questi proventi. In ogni caso, non vi è nessuna buona ragione economica per cui prodotti nocivi come le armi, debbano essere liberamente venduti sui mercati internazionali.

Nessun principio di libero mercato è da ritenere sempre superiore a qualsiasi altra considerazione. Ad esempio, la vendita di molti prodotti occidentali ad alta tecnologia è vietata nell’interesse della sicurezza del paese produttore. Perché non si potrebbe imporre un medesimo divieto per prodotti a tecnologia inferiore, nell’interesse della popolazione del paese acquirente? Non si tratta di violare la libera circolazione delle merci, ma semplicemente di applicarla secondo regole condivise, come sempre accade.
Non vi è dubbio che un bando di una qualche efficacia richiederebbe un vasto accordo internazionale: le organizzazioni multilaterali, sotto la spinta dei paesi occidentali, potrebbero fare di questo punto una priorità negoziale dei prossimi accordi commerciali.

La manifestazione di Roma in definitiva ha chiesto di ricercare soluzioni non utopiche, ma razionali anche sotto il profilo economico, che possano migliorare la situazione attuale.

Naturalmente questo deve essere solo l’inizio: l’Africa è una grande emergenza che merita intelligenza, fantasia e cuore, anche da parte degli economisti.

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Il nome non fa il reddito

  1. Giorgio Ponzetto

    Africa: servono controllo demografico e diffusione della democrazia

    Sia nell’articolo, sia nella manifestazione di Roma non vengono evidenziate due condizioni di fondo che, a mio avviso, sono essenziali per affrontare con qualche probabilità di successo, i problemi dell’Africa: mi riferisco al controllo delle nascite e allo sviluppo di sistemi politici democratici.
    Anche senza scomodare le statistiche, basta un semplice viaggio da turista in qualsiasi paese africano, per rendersi conto di tassi di natalità assurdamente elevati, tanto più se rapportati alle risorse disponibili. Sono rimasto impressionato, viaggiando in Africa, nel vedere che anche il capo del più minuscolo villaggio di capanne sperso in zona semidesertica mantiene quattro o cinque mogli e genera qualche decina di figli.
    L’altro aspetto è stato evidenziato anche da ricerche di studiosi che vivono nel terzo mondo: la mancanza di democrazia determina un uso distorto delle poche risorse disponibili e costituisce un grave ostacolo allo sviluppo economico.
    Senza controllo demografico e senza diffusione della democrazia mi pare difficile che gli altri interventi, pur meritori, abbiano successo.
    Quanto alla cancellazione dei debiti, credo che una qualche distinzione andrebbe pur fatta in relazione a come sono stati impiegati i finanziamenti. Non mi sembrerebbe giusto cancellare i debiti anche a chi ha sperperato risorse in armamenti, repressioni interne e aggressioni ai confinanti.

    • La redazione

      Caro Signor Ponzetto,
      La ringrazio perché lo scopo del mio intervento era principalmente quello di avviare una riflessione. Concordo che l’equilibrio demografico e la diffusione della democrazia siano tra i fattori fondamentali per il futuro dell’Africa. La questione è quanto essi siano elementi endogeni ad un processo di sviluppo e quanto debbano esserne considerati precondizioni. L’equilibrio demografico in Africa, a mio avviso, a meno di politiche fortemente autoritarie, che comunque contrasterebbero con un’evoluzione democratica, è sopratutto un risultato più che una premessa dello sviluppo economico.
      La relazione tra democrazia e sviluppo invece è una questione molto complessa, in Africa e altrove. Tuttavia, quanto sta succedendo in Sud Africa è incoraggiante e fa pensare che non bisogna essere troppo pessimisti sulla possibilità che, date condizioni minime di convivenza civile, che purtroppo oggi sono spesso assenti, si possano innestare meccanismi virtuosi. Comunque la vera domanda da porsi è che cosa si possa fare dall’esterno per favorire la diffusione di obiettivi del tipo “sviluppo di sistemi democratici”, forse bisogna iniziare da contributi più concreti, le tre questioni poste nell’articolo cercano di andare in questa direzione.
      Sul debito non sono d’accordo, credo che una discussione che guardi indietro per attribuire colpe ed eredità negative, peraltro quasi generalizzate, comunque non possa favorire le prospettive di sviluppo dei paesi africani. Oltretutto, le responsabilità, pur gravissime, di molte elite africane, si accompagnano ai molti errori dell’occidente -e dell’ex blocco sovietico- che diversi paesi stanno ancora pagando. Su questo tema penso che bisogna davvero avere la generosità e il coraggio di voltare pagina.

      Pier Luigi Parcu

  2. Riccardo Mariani

    La condizione del continente africano contiene un aspetto enigmatico sopratutto alla luce dell’ esperienza asiatica. Paesi come Hong Kong, Singapore, Corea del Sud e Taiwan erano, negli anni cinquanta, in condizioni di povertà simili a molti paesi africani di allora. Questi paesi, liberalizzando la loro economia, godono oggi di una qualità della vita vicina a quella delle nazioni più sviluppate, due di loro (Corea e Taiwan) hanno regimi democratici. Nel frattempo diversi bilioni di dollari hanno preso la strada africana senza esito. Sorge spontanea la domanda: nei confronti di queste realtà si sono scelte strategie differenti, una di successo e una fallimentare (nel qual caso ci sarebbe una lezione da apprendere) oppure si tratta di un parallelo implausibile visto che le situazioni non sono comparabili in nulla ? Per concludere apprendo dal “Riformista” del 5/2/04 che il cartello farmaceutico, sotto la pressione sociale, spende oggi nel terzo mondo più di quanto non facciano diversi paesi dell’ OCSE. Non è che colpendo questo soggetto l’ esito finale sia contrario a quello desiderato ?
    Cordiali saluti.

    • La redazione

      Caro sig. Mariani, il parallelo tra le tigri asiatiche e i paesi africani purtroppo ci aiuta relativamente, la differenza nei meccanismi di crescita tra diverse aree dipende da una serie di fattori, anche non economici, assai numerosi e non pienamente compresi. Lo sviluppo economico dell’Africa, negli ultimi 30 anni, appare molto più lento e difficile di quello delle altre zone arretrate del mondo. In ogni caso non credo che un’eccezione Africa per “il cartello farmaceutico” sarebbe un gran sacrificio.

      Pier Luigi Parcu

  3. Filippo Sbrana

    Ero uno degli oltre 100.000 che sono scesi in piazza per manifestare per l’Africa. Concordo sul fatto che l’Africa meriti intelligenza ed impegno da parte degli economisti e, direi, da parte di tutti. Sono pienamente concorde con quanto Lei ha scritto.

    Vorrei sottolineare riguardo al tema dei medicinali, oltre a quanto Lei ha giustamente osservato, che non è pensabile che per la tutela di un brevetto (peraltro in un mercato poco strategico per le case farmaceutiche) si possano lasciare morire milioni di persone, come accade oggi per l’Aids in Africa. Nessun principio di mercato è superiore a questa considerazione, a mio avviso. Pena la barbarie sociale.

    Voglio aggiungere una ragione a quelle indicate per aiutare l’Africa, quello dell’interesse dei paesi più sviluppati per la tutela del proprio futuro. Credo che ci sia un interesse europeo e “occidentale” nel prendersi a cuore la situazione dell’Africa. Se non si riuscirà a risollevare la situazione di quest’area, anche i paesi più sviluppati ne subiranno le conseguenze. Se il continente nero scivolerà sempre più verso il caos e la povertà, se cresceranno fame, disperazione malattie, rabbia… l’Occidente non rimarrà immune di fronte. Flussi migratori crescenti cercheranno salvezza in aree più sviluppate, migliaia di persone si riverseranno verso le nostre coste per fuggire alla disperazione, etc. In situazioni di degrado sociale e politico, come la Somalia dove non c’è più uno Stato, le organizzazioni terroristiche possono svilupparsi senza alcuna difficoltà, trovando anche serbatoi di manovalanza provocati dalla rabbia anti-occidentale. Il ragionamento avrebbe bisogno di essere sviluppato meglio, ma il concetto è molto semplice: aiutare l’Africa è certamente un dovere morale, ma è anche un investimento per tutelare il futuro dell’Occidente sviluppato. L’Europa in particolare, data la sua vicinanza geografica, dovrebbe sentirsi in prima linea in questa sfida. Speriamo che alla manifestazione facciano seguito fatti concreti.

    • La redazione

      Grazie. Concordo sul fatto che occupandoci di Africa in buona misura ci occupiamo anche di problemi di casa nostra.

      Pier Luigi Parcu

  4. Antonio Pennetta

    Per ciò che concerne il problema dei medicinali, sono perfettamente d’accordo col fatto che si dovrebbe prevedere una sorte di “eccezione Africa”. Ma, nel far ciò, bisognerebbe fare molta attenzione: se si imponesse alle compagnie farmaceutiche di vendere ad un prezzo molto basso i medicinali in Africa, l’effetto sarebbe non tanto una diminuzione delle spese in ricerca e sviluppo, quanto una minore convenienza a produrre medicinali che non genererebbero profitto. Il risultato, a mio avviso, potrebbe essere la produzione di una quantità insufficiente di medicinali: verrebbe prodotta una quantità sufficiente a coprire il mercato occidentale, ma si avrebbe una contrazione dell’offerta di medicinali che andrebbe a scapito dell’Africa stessa. Personalmente credo che l’unica soluzione sia che i governi Occidentali coprano la quota di prezzo superiore al costo che i cittadini africani dovranno pagare. In tal modo non si creerebbero distorsioni nelle forze di mercato (e non si avrebbe una dannosa contrazione dell’offerta) eppure l’Africa disporrebbe delle medicine necessarie.

    • La redazione

      Caro signor Pennetta,
      mi sembra che siamo d’accordo sul punto fondamentale, che è quello di definire un trattamento speciale per l’Africa in materia di medicinali. I modi per farlo possono essere diversi. L’ipotesi suggerita era quella di un accordo tra i principali paesi occidentali per convincere/imporre alle proprie industrie farmaceutiche di produrre medicine per l’Africa al prezzo di costo, il quale è spesso una frazione minima del prezzo di vendita. In un caso del genere il problema principale non dovrebbe essere la scarsità della produzione, non vi è grande razionalità economica nel non produrre al costo, se vi è una norma che impone di farlo, ma l’evitare fenomeni di re-importazione dei prodotti. All’opposto si potrebbero ipotizzare soluzioni, come Lei suggerisce, nelle quali le medicine vengono pagate alle industrie farmaceutiche da donatori occidentali, soluzioni simili però potrebbero risultare eccessivamente onerose. Naturalmente non vanno escluse combinazioni intermedie e comunque sarebbe necessario analizzare e tenere conto di eventuali rilevanti differenze tra i rapporti costo/prezzo di farmaci diversi. Cordialmente.
      Pier Luigi Parcu

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