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All’Alitalia serve chiarezza

Il ministro dell’economia ha ragione a bloccare un salvataggio troppo costoso per Alitalia. Occorre distinguere ciò che pertiene alla sfera del mercato, e ciò che invece attiene alla sfera del servizio pubblico. Che forse interessa solo alcune zone del paese e sarebbe perciò lecito chiedere di sapere quanto costa. Se i due ambiti fossero separati, sarebbe il mercato a giudicare se c’è un futuro per la compagnia di bandiera. Senza dimenticare che l’Unione europea ha da tempo dichiarato il settore aperto alla concorrenza e gli aiuti di Stato non sono tollerati.

Nel bloccare il salvataggio di Alitalia – se veramente è questa la sua intenzione – Giulio Tremonti ha ragione; è un atto di serietà. Ma la storia di Alitalia è complessa, e non abbiamo ancora capito come può andare a finire. E occorre proporre qualche alternativa (anche se il “no” è già un buon punto di partenza).

La storia di Alitalia, già raccontata anche su questo sito (vedi Ponti), è fatta di perdite che si cerca di tappare con provvedimenti di breve respiro e che ripetutamente la Commissione europea bolla come aiuti di Stato. E quando la società prova a mettere le mani a rimedi strutturali, montano gli scioperi e si cerca la soluzione politica. Ignorando che non c’è soluzione politica che possa consentire a un’impresa di stare su un mercato avendo costi superiori a quelli dei rivali, cambiando piani industriali ogni tre mesi, e fornendo un servizio di qualità ormai percepita dai consumatori come inferiore a quella degli altri. E Alitalia continua inesorabilmente a scivolare su una china in fondo alla quale non ci sono certo posti di lavoro.

Quanto costa il servizio pubblico?

Poco tempo fa, Mario Sebastiani  su lavoce.info ha sottolineato come la privatizzazione totale di Alitalia sia l’unica strada per fare chiarezza, e la chiarezza è fondamentale se vogliamo riportare l’impresa sulla strada dell’equilibrio economico.
Da un lato, abbiamo rotte che “stanno in piedi da sole”, che sono redditizie e sulle quali Alitalia non avrebbe bisogno di particolari sussidi. Dall’altro, abbiamo rotte che invece vengono servite soprattutto, se non soltanto, per ragioni di equilibrio territoriale, per non isolare le periferie di questo complesso paese (le isole, ma non solo) dai suoi “centri”.
Se le prime possono essere lasciate al mercato, le seconde – costituendo un servizio “sociale” – dovrebbero essere invece pagate come gli altri servizi sociali di questo paese. Solo che questo richiede, intanto, di far sapere esplicitamente quanto costano, e poi di porre il problema di chi debba pagare per tale servizio. Potremmo magari scoprire che interessa una parte del territorio, ma non il resto. E in periodi di devolution, questi sono temi scottanti.
Si può lasciare Alitalia al mercato? Se si separa ciò che ha senso dal punto di vista della redditività dell’impresa da quanto invece è servizio pubblico, forse sì. O almeno, una volta effettuata tale separazione, se Alitalia dovesse affondare, le rotte non servite da Alitalia sarebbero comunque coperte da altre compagnie, che avrebbero a loro volta bisogno di lavoratori in più, e quindi non sarebbe un problema enorme. Se questa separazione avvenisse, sarebbe il mercato a dire se Alitalia merita di restare in vita, e il paese e i lavoratori andrebbero avanti comunque.
Se questa separazione non avviene, allora Alitalia resterà con un peso (il servizio pubblico in aree non redditizie) che rischia di affondare anche quanto di buono si annidasse in questo carrozzone. E continuiamo a vivere una contraddizione. Da un lato, mettiamo un’impresa nel mercato azionario; dall’altro continuiamo però a gravarla di obblighi simili al “servizio universale” a cui si assoggettano le imprese che vendono acqua, luce o gas, senza però dire chi dovrebbe pagare per tale obbligo. Peggio ancora, questo avviene in un settore che l’Unione europea (non solo la perfida Commissione) ha da tempo dichiarato aperto alla concorrenza, e ove gli aiuti di Stato non sono tollerati.
Come dicevo prima: occorre fare chiarezza. Occorre distinguere ciò che pertiene alla sfera del mercato, e ciò che invece pertiene alla sfera del servizio pubblico. Però per fare questo bisogna avere il coraggio di dire quanto costa servire le isole; quanto costa servire il Sud del paese, e magari convincere la Lega che probabilmente parte di questo deve essere pagato anche dal “Nord”.

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Non facciamo previsioni…

Anche se ritengo questa la soluzione (nel medio periodo) più sensata, non scommetterei un centesimo sul fatto che sarà quella prescelta.

Tempo fa, Guido Rossi definiva il capitalismo italiano un capitalismo “straccione”. È vero. Ma è anche un capitalismo – sempre – assistito e politicizzato. Purtroppo questo è vero per Parmalat (che per anni ha cercato di tenersi in piedi con appoggi politici), per Retequattro (salvata dal satellite dalla legge Gasparri), per le piccole imprese (leggi allevatori e quote latte, o società di calcio). Ed è vero per l’industria pubblica (leggi Alitalia). Ma l’elenco potrebbe continuare.

La chiarezza dei conti sembra essere un optional. E lo stesso Tremonti farà fatica a mantenere alta la guardia. Forse non è un caso che proprio un ministro della Lega (Roberto Maroni) preferisca un piano di salvataggio che mantiene l’attuale commistione tra mercato e servizio pubblico, che evita quindi la chiarezza, ma anche ad esempio di comunicare agli elettori del Nord quanto costa servire le zone meno avanzate del paese.

 

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Sommario 20 aprile 2004

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Quanti maestri per una classe

  1. roberto galbiati

    Non è vero che “la voce” attraverso i suoi autori descriva una visione “competente, tecnica, super-partes, ecc.”, esprime una visione politica, come ovviop del resto. Vorrei ricordare all’autore, che già ora il Nord paga i costi “sociali” con fior di trasferimenti. Siamo alle solite se non si introduce il concetto di responsabilità e non si “misura” questa responsabilità tutto il Paese continuerà ad essere un carrozzone dove nessuno ha mai colpa di nulla mentre al contrario le colpe sono ben evidenti. E’ una certa parte politica, un certo sindacato, una certa lobby romana, un certo tipo di partiti, anche di governo, che vogliono e ppretendono la difesa di Alitalia così come è. Con il 90 per cento dei dipendenti romani, che ad ogni turno vanno riportati a casa gratuitamente usando gli stessi aerei ed occupando posti che sarebbero venduti proprio sulle rotte attive peraltro. Che questo personale, piloti compresi istruiti peraltro a costi del contribuente, è super pagato non lo dicono i sindacati, non lo dice “la voce”, si suggerisce di informare il Nord che dovrà continuare a pagare. Perchè non si valuta una sana ipotesi di fallimento!

    • La redazione

      Caro lettore,
      in realta’ siamo d’accordo, e quanto lei dice e’ in linea con quanto io ho scritto. Il mio punto e’ proprio che finche’ non si separano le attivita’ redditizie da quelle in perdita (tipicamente, ma non esclusivamente, a favore del meridione) non si fara’ la chiarezza che anche lei invoca. Mantenere Alitalia con questa doppia faccia (di mercato e “sociale”) significa oscurare quanto si paga per i servizi pubblici.

      Il fatto poi che un Ministro della Lega non segua questa strada puo’ essere interpretato in tanti modi (e questo e’ chiaramente il campo delle opinioni, che entrambi siamo d’accordo ad ammettere come fisiologiche). La mia impressione e’ che neppure lui si sentirebbe di trarre le “ovvie” conseguenze di questo, ovvero non solo si troverebbe a gestire un conflitto sociale non facile, ma si troverebbe anzi a “dover” capitanare una fronda estrema che come Ministro del Welfare dovrebbe poi in qualche modo “gestire”. Ma su questo, ovviamente, le opinioni possono essere differenti.

      Con i piu’ cordiali saluti

      carlo scarpa

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