Nel 2001 l’Ocse ha varato un piano di intervento con due obiettivi primari: la salvaguardia degli ecosistemi e la fine della correlazione tra deterioramento dell’ambiente e sviluppo economico. A tre anni di distanza si tentano i primi bilanci. Nonostante alcuni miglioramenti, dovuti anche a cambiamenti strutturali delle economie, per raggiungere i risultati previsti servono politiche ben più coraggiose. Per esempio, preoccupano gli ancora troppi sussidi all’agricoltura e la continua crescita del settore trasporto.

Il 16 maggio del 2001 i ministri dell’Ambiente dei paesi Ocse si riunivano a Parigi per discutere e adottare un piano di intervento dal titolo “OECD Environmental Strategy for the First Decade of the 21st Century”. Ambiva a raggiungere cinque obiettivi, tra loro interconnessi, utilizzando strumenti economici e informativi, regolamentazioni e accordi volontari,

Il piano e la verifica

Gli obiettivi indicati erano: 1) mantenere l’integrità degli ecosistemi mediante una gestione efficiente delle risorse naturali; 2) svincolare l’ambiente dalla crescita economica; 3) migliorare l’informazione per le decisioni misurando i progressi mediante indicatori; 4) migliorare la qualità della vita sotto il profilo della dimensione sociale ed ambientale; 5) migliorare il governo e la cooperazione nell’interdipendenza ambientale globale
Per ognuno di questi grandi e ambiziosi obiettivi, il piano specificava le azioni che i governi nazionali erano tenuti o invitati a intraprendere, e i criteri per misurare i progressi compiuti.

Il documento suggeriva anche gli ulteriori passi che l’Ocse avrebbe dovuto fare per il raggiungimento del fine ultimo: uno sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale.
Sempre a Parigi, il 20 e 21 aprile scorsi, i ministri dell’Ambiente dei paesi Ocse (e anche di alcuni paesi non Ocse) si sono riuniti di nuovo, proprio per verificare il grado di realizzazione del programma. Sul tavolo hanno trovato un ponderoso rapporto (“OECD Environmental Strategy: 2004 Review of Progress”), preparato dagli esperti dell’organizzazione da cui si evincono i progressi fatti sui vari fronti e gli ambiti in cui gli sforzi sono ancora insufficienti.
Il rapporto contiene molte considerazioni e informazioni, ma sono relativamente pochi i dati quantitativi, e pochissimi quelli riassunti in grafici e tabelle. La vastità dei temi affrontati probabilmente non permetteva di fare altrimenti, ma così è difficile trovare informazioni dettagliate, sul nostro paese in particolare. Per mancanza di spazio, ci limiteremo qui a riassumere i risultati conseguiti sui primi due obiettivi.
Il giudizio generale è che le attuali politiche appaiono generalmente inadeguate a proteggere la biodiversità e a controllare il cambiamento climatico. Mentre l’obiettivo di rendere progressivamente meno dipendenti ambiente e crescita economica avanza troppo lentamente.
Gli ostacoli maggiori sembrano essere la scarsa integrazione politica e una informazione carente. Va perciò promossa la collaborazione internazionale tra ministri dell’Ambiente e, in ciascun paese, quella con i colleghi di altri ministeri, oltre alla cooperazione con gli esponenti della società civile e del mondo produttivo.

Il clima

Mantenere l’integrità degli ecosistemi significa agire su tre componenti: clima, risorse idriche e biodiversità. Sul clima i paesi Ocse hanno per lo più provveduto a ridurre il rapporto tra emissioni e Pil, nonostante le emissioni di gas-serra stiano ancora crescendo.
L’indicatore vede l’Italia abbastanza al di sotto della media Ocse sia rapportando le emissioni al Pil che alla popolazione. Ma la tabella qui sotto mostra che il nostro paese se la cava male rispetto all’impegno assunto nel protocollo di Kyoto del 1997 ed agli accordi europei del giugno 1998. Mentre infatti dovrà ridurre (tra il 2008 e il 2012) le proprie emissioni del 6.5% rispetto ai livelli del 1990, ad oggi le emissioni sono cresciute del 7.2%. Lo sforzo complessivo è così del 13.2% e la storia probabilmente non è finita. Tra i paesi europei che hanno ratificato il protocollo, poi, solo Austria, Belgio, Irlanda e Spagna sono messi peggio di noi.
Metà dei paesi Ocse ha introdotto tasse sui consumi energetici o su fonti che producono CO2, ma nel caso dell’Italia, il provvedimento introdotto dal ministro Ronchi nel 1999, di fatto non è mai entrato in vigore. Il nostro paese si affida per il futuro soprattutto al mercato dei permessi negoziabili, che nell’Unione europea partirà a gennaio 2005.
Nel complesso, anche se molti paesi hanno ratificato il protocollo di Kyoto, molto resta da fare per il raggiungimento degli obiettivi previsti.

Leggi anche:  Perché non si può fare a meno delle Cop

 

Le risorse idriche

Quanto alle risorse idriche, la loro gestione è riuscita a soddisfare adeguatamente i bisogni umani nella maggior parte dei paesi Ocse. Le politiche di prezzo tendono ad avvicinarsi al livello di copertura dei costi di fornitura, ma restano ampi i sussidi concessi all’irrigazione per usi agricoli. Le perdite delle reti idriche municipali sono stimate in media pari al 30 per cento, mentre il livello comunemente considerato accettabile è compreso tra il 10 e il 20 per cento.

Sforzi sono in atto per adottare politiche che riflettano la domanda di acqua dolce da parte degli ecosistemi, anche se gli investimenti necessari sono considerevoli.

Nella rigenerazione di aree inquinate e nella riduzione di scarichi di origine industriale e civile sono stati compiuti progressi, ma le cose vanno meno bene nel controllo dell’inquinamento causato da altre fonti (pesticidi, traffico, materiale organico, metalli pesanti). Nel complesso i paesi Ocse non soddisfano i requisiti minimi di qualità per i bacini interni. Quanto alle riserve non di superficie, la tendenza è di un peggioramento della qualità, per i livelli elevati di nitrati e pesticidi.

La biodiversità

Per la biodiversità, il principale strumento usato è lo sviluppo di aree protette. Hanno ormai raggiunto il 14,6 per cento dell’area totale di terra dei paesi Ocse e si è pensato anche di creare corridoi ecologici che connettano le diverse zone. In generale, però, la loro gestione non migliora e resta urgente la necessità di aumentare le aree marine protette.

Così come sono insufficienti gli sforzi per rallentare la perdita di habitat e la loro frammentazione, e quelli di integrazione delle politiche settoriali (agricoltura, pesca, foreste, turismo). La percentuale di specie a rischio di estinzione continua ad aumentare, mentre si riduce il numero di vertebrati allo stato selvaggio.

Infine, nonostante la firma di un paio di importanti accordi internazionali per assicurare la sostenibilità delle attività di pesca, non si vede per il momento alcun rallentamento del sovrasfruttamento dello stock di pesci.

Qualità dell’ambiente e sviluppo economico

Nel complesso, alcuni cambiamenti strutturali e una maggiore efficienza energetica hanno condotto a una certa riduzione della correlazione tra sviluppo economico e deterioramento dell’ambiente, nonostante la crescita continua e sostenuta del settore dei trasporti.

Ciò non toglie però che progressi sostanziali richiedano politiche e misure decisamente più ambiziose.

I paesi Ocse hanno conseguito qualche progresso nel ridurre la pressione dell’agricoltura, il primo passo per svincolare l’ambiente dalla crescita economica. L’uso della terra e la perdita di suolo (40 per cento dell’uso totale di terra) sono diminuiti, la riduzione della biodiversità in ambito agricolo è rallentata e le emissioni nocive dovute a questo settore sono leggermente calate. Ma l’uso di acqua (45 per cento del totale delle risorse idriche) e i livelli di pesticidi utilizzati sono rimasti elevati. Restano poi gli interventi massicci di supporto dei prezzi di mercato con i sussidi ai fattori produttivi e l’acquisto di produzione (potenzialmente, i più dannosi per l’ambiente). Tutti i paesi Ocse si sono invece dotati di un sistema di monitoraggio regolamentatorio sugli Ogm.

Leggi anche:  Se l'auto elettrica rallenta

Il trasporto

Il settore trasporto continua a produrre elevate emissioni dei principali inquinanti dell’aria, che pure per qualche tempo si erano ridotte. Le soglie di qualità dell’aria, nonché i livelli critici e i picchi per acidificazione, eutrofizzazione e ozono troposferico sono continuamente superati.

La continua espansione delle reti viarie e delle attività di trasporto non aiuta certo i lenti progressi nella riduzione del rumore e nella prevenzione della frammentazione degli habitat. Salgono anche le emissioni di anidride carbonica, perché l’aumento dei volumi ha sistematicamente più che compensato i miglioramenti nell’efficienza energetica.

Nell’Unione europea i costi esterni del trasporto (compresi gli incidenti e altri impatti) erano stati stimati nel 1995 all’8 per cento del Pil. Alcuni paesi hanno perciò adottato politiche diverse per migliorare la situazione. Comprendono l’adozione di bus elettrici per il trasporto urbano o l’utilizzo di veicoli ibridi e l’introduzione di sistemi di pagamento: da quello svizzero per i trasporti pesanti, basato sulla distanza, peso e emissioni del veicolo, alla tariffa d’ingresso introdotta a Londra e ripresa a Stoccolma. Nel complesso, questi provvedimenti hanno ancora un carattere troppo particolare per incidere in maniera sensibile sul fenomeno.

Infine, nonostante il piano adottato nel 2001 per combattere standard subottimali, resta elevato il rischio di inquinamento connesso al trasporto marittimo di sostanze pericolose. Almeno finché quel piano non diventerà completamente operativo.

L’energia

Nel complesso dei paesi Ocse, il consumo di energia da parte dell’industria si è ridotto. È il risultato della perdita di peso dei settori energivori, delle dinamiche di prezzo e della sostituzione dei combustibili nella produzione di energia. Per contro, i consumi civili hanno continuato ad aumentare, anche se una combinazione di regolamentazione e di approcci volontari è intervenuta sugli standard dei fabbricati residenziali, le apparecchiature e i motori elettrici. Ma il potenziale per accrescere l’efficienza energetica appare ancora largamente inesplorato, a partire da opzioni a basso o zero costo (per esempio gli “stand-by” degli apparecchi domestici).
Mentre i consumi restano governati da un ampio spettro di misure fiscali e amministrative, dal lato dell’offerta forze di mercato e modifiche alla regolamentazione hanno favorito la transizione dal carbone al gas in molti paesi.
La diffusione di energie rinnovabili è cresciuta con tassi a due cifre, anche se i livelli di partenza restano estremamente bassi, grazie a misure fiscali e altri strumenti di mercato.
Sul fronte della ricerca diverse iniziative sono state lanciate per valutare la fattibilità, l’efficacia e i rischi della cattura e immagazzinaggio del carbonio.

Per saperne di più

Il sito Ocse dove ottenere informazioni sull’incontro ministeriale è www.oecd.org/envmin2004-fr.
Il rapporto “OECD Environmental Strategy for the First Decade of the 21st Century” può essere scaricato all’indirizzo:
http://www1.oecd.org/env/min/2001/products/EnvStrategy.pdf. Il rapporto di valutazione dei progressi compiuti non è al momento pubblicamente disponibile.

 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  La transizione ecologica passa dalle catene del valore