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E se i tassi fossero troppo bassi?

Il costo del denaro non influenza solo l’intensità ciclica della domanda aggregata, ma determina la qualità degli investimenti e delle forme di risparmio. I bassi tassi attuali potrebbero perciò essere un sostegno artificiale a una crescita qualitativamente insufficiente, mentre l’Europa, e l’Italia in particolare, necessita di incentivi a investire capitale di rischio in progetti innovativi ad alta profittabilità attesa. Senza contare che anche per il risparmiatore i tassi bassi hanno svantaggi e possono far danni.

La ripresa economica statunitense sta generando attese di rialzo dei tassi di interesse che la Fed ha mantenuto a lungo bassissimi. Essendo la ripresa europea più fiacca e incerta, nel dibattito congiunturale si suggerisce spesso che la Bce consideri invece una riduzione dei tassi, per incoraggiare il ciclo.
Comunque la si pensi in merito, il livello dei tassi si può giudicare anche prendendo le distanze dalla tattica di breve periodo e pensando in termini strutturali e allocativi di più lungo andare.
Il costo del denaro non influenza solo l’intensità ciclica della domanda aggregata. Determina la qualità degli investimenti e delle forme di risparmio e, per loro tramite, la sostenibilità, la stabilità, l'”efficienza dinamica” della crescita della capacità produttiva.
Da questo punto di vista, vi sono argomenti secondo i quali i tassi attuali che, al netto dell’inflazione, sono minimi anche su medie scadenze, possono essere considerati troppo bassi.

Gli investitori

Cominciamo da chi si indebita, per fare investimenti.
Un tasso reale molto basso non stimola la ricerca di progetti ad alta produttività.
Il singolo investitore non tiene conto dell’intero beneficio sociale di innovazioni e riconversioni produttive che richiedono sforzi speciali per essere individuate e realizzate. È incentivato a esercitare lo sforzo socialmente ottimale solo se deve remunerare capitale costoso.
Semplificando al massimo: fra un investimento che rende 5 per cento finanziato al 2 per cento e uno che rende 10 per cento finanziato al 7 per cento, il singolo potrebbe preferire il primo se la ricerca del secondo richiede uno sforzo superiore. Ma per la competitività del sistema, il secondo risulterebbe molto migliore. E verrà fatto solo se il finanziamento costa il 7 per cento.

Il tasso reale basso permette di sopravvivere con apparati produttivi mediocri o, addirittura, già irrimediabilmente spiazzati dalla concorrenza internazionale. Ci si indebita e si tira avanti: il capitale costa poco, non occorre che prometta di rendere molto. Salvo poi rimanere travolti dalla crisi di competitività del sistema.
I tassi bassi, ad esempio, facilitano il mantenimento di piccole dimensioni inefficienti, soprattutto nel commercio, nei servizi, nell’edilizia turistica e nell’artigianato famigliare.
Ma facilitano anche il guaio opposto: le fusioni e acquisizioni inopportune. Permettono di scegliere tecnologie ad eccessiva intensità di capitale e a basso livello quantitativo e qualitativo di occupazione.

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Il basso costo dei prestiti è associato a sovrabbondanza di liquidità, che disincentiva l’impiego di capitale di rischio mentre può incentivare scommesse speculative azzardate, acquisto a debito di attività mobiliari e immobiliari che hanno prezzi di imprevedibile volatilità: se le attività acquistate a debito si deprezzano, è poco costoso attendere che la roulette giri a favore, perché i tassi passivi sono irrisori.
Ma non è di questo che ha bisogno l’Europa. La globalizzazione ci spiazza nelle produzioni più facili e mature e dobbiamo reagire ristrutturando radicalmente a favore di settori avanzati ad alta produttività. Il nostro tenore di vita e il nostro welfare provocano un costo del lavoro elevato che può essere sopportato solo se la produttività del capitale investito è alta e cresce con continue innovazioni.
Lo stock di capitale europeo è abbondante, forse sovrabbondante. Non occorre stimolarne l’aumento con tassi bassi. Bisogna invece riconvertirne la qualità, concentrare le risorse non in sussidi a imprese fuori mercato, ma in produzioni di punta e di grande scala.

Se inoltre guardiamo al fabbisogno finanziario dei Governi, i tassi bassi e l’elevata liquidità non contribuiscono certo a frenare l’indebitamento pubblico, soprattutto in una vasta area monetaria come quella dell’euro: i Governi non sentono spontaneamente il vincolo di bilancio, hanno l’impressione di poter attingere a un infinito serbatoio di fondi. Perciò, l’imposizione dei vincoli finanziari quantitativi e “stupidi” del Patto di Stabilità diventa insieme più importante e più difficile da far rispettare.

I risparmiatori

Guardiamo ora la questione dal punto di vista dei risparmiatori.
Con tassi troppo bassi, il risparmiatore povero non riesce a ricavare reddito dal suo patrimonio.
Si vorrebbe che consumasse di più, ma lui rischia di rimanere un risparmiatore frustrato più che un consumatore convinto. Il cosiddetto “effetto di reddito” (consumo meno perché ho meno reddito) può prevalere su quello “di sostituzione” (consumo di più perché il risparmio rende di meno) facendolo risparmiare troppo e male. Anche il beneficio ciclico del rilancio della domanda viene allora a mancare.
Per i risparmiatori con livelli un poco più alti di ricchezza e maggiore accesso ai servizi finanziari, c’è anche il rischio opposto: di indebitarsi troppo e acquistare beni durevoli in quantità non sostenibili. L’esposizione al rischio che ne consegue può poi ridurre i consumi di beni non durevoli, finendo anche in questo caso per far mancare la spinta ciclica alla domanda aggregata. Ma il danno serio è quello allocativo e fra gli squilibri che possono seguire i tassi troppo bassi c’è anche l’eccesso di domanda di abitazioni con conseguenze macroeconomiche potenzialmente gravi.

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Per uscire dalla prigione dei tassi bassi, il risparmiatore può inoltre trovare ascolto presso gli intermediari finanziari, alcuni dei quali in malafede, nella ricerca di strumenti azzardati per aumentare i rendimenti, fino a cadere in trappole tipo Argentina o Cirio. Ai tassi normali, d’altra parte, per gli intermediari è difficile farsi affidare fondi in forme che non siano molto liquide e mettere a disposizione delle imprese capitali a lunga scadenza. Perciò cresce anche il rischio della trasformazione di scadenze intrinseca al bilancio delle banche. L’innovazione finanziaria è stimolata in tutti i modi, ma fino al punto di diventare esagerata, dannosa per la stabilità e la trasparenza.

Alzare i tassi?

Tutto ciò non vuol dire che la Bce farebbe bene ad aumentare i tassi oggi, prosciugando improvvisamente l’eccessiva liquidità in circolazione.
Ma implica che il tasso di interesse reale che dà gli incentivi giusti per l’evoluzione dinamica strutturale del capitalismo europeo è più alto dell’attuale. E tenere a lungo il tasso effettivo sotto a quello “naturale”, come Wicksell chiamava un concetto analogo, è malsano.
Non è detto che il danno più prossimo, probabile e grave sia l’inflazione dei prezzi al consumo, che la Bce ha il mandato di evitare. Può essere invece il sostegno artificiale a una crescita qualitativamente insufficiente e destinata a soccombere progressivamente alla concorrenza globale, diventando recessione e deflazione.
Alcune di queste argomentazioni riferite all’Europa valgono in modo particolare per l’Italia.
E d’altra parte, anche gli Usa, pur se in modo diverso, sono potenzialmente vittime di un analogo problema di tassi troppo bassi.

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sommario 14 aprile 2004

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L’affare rifiuti

  1. paolo mariti

    Condivido ampiamente le analisi e le considerazioni di Bruni per quanto riguarda gli effetti di lungo periodo o strutturali di tassi di interesse troppo bassi. In particolare l’effetto di permettere alle piccole e piccolissime imprese di sopravvivere e continuare a nascere.
    Ho invece qualche riserva sull’argomento che essi non stimolerebbero progetti di ricerca davvero innovativi. Un tasso di interesse debitore molto basso rende qualunque progetto meno rischioso di per sé. Inoltre, l’imprenditore è incentivato dalla differenza tra il tasso atteso di rendimento del progetto ed il costo per il suo finanziamento, a parità di altre condizioni.

    • La redazione

      La ringrazio della sua attenzione per il mio scritto. Capisco le sue riserve ma credo che solo con tassi reali più alti c’è l’incentivo a mettere l'”effort”, come lo si chiama nei modelli teorici, necessario a cercare i progetti più produttivi e selezionarli al posto di quelli meno buoni e, magari, già “in place”. Se inoltre supponiamo che la produttività sociale
      dell’investimento superi quella privata in misura crescente con quest’ultima, è socialmente conveniente avere costi marginali del capitale più elevati. Lei introduce l’importante concetto di “rischio”. Qui ha completamente ragione: il
      mio ragionamento, data la sede e lo spazio, non ha sviluppato il ragionamento in condizioni di incertezza. Mi riprometto di farlo prossimamente, anche stimolato da commenti come il suo.
      Con i migliori saluti.
      FB

  2. Antonio Pennetta

    Premesso che sono in tutto d’accordo con l’interessante analisi del professor Bruni, mi chiedevo come potrebbero tassi alti agevolare lo sviluppo di una realtà difficile come quella del Sud Italia. Penso, in particolare, a persone con tante buone idee e scarsi(quando non pressoché inesistenti) mezzi per realizzarle. Se a ciò si aggiunge la difficoltà per queste persone di reperire credito e il fatto che per accedere a contributi di qualsiasi tipo occorrano in ogni caso rilevanti mezzi propri, le conseguenze di alti tassi mi sembrano davvero preoccupanti.

    • La redazione

      La ringrazio della sua attenzione al mio pezzo e del suo commento. Per quanto riguarda il sud italiano, e più in generale le zone “sfavorite” d’Europa, ha ragione: ci vogliono politiche speciali che compensino gli svantaggi ambientali di partenza. Però vanno tenute distinte dalla questione del tasso
      di interesse ottimale dell’euroarea nel suo complesso. Intendo dire che se si rileva l’opportunità di sussidiare gli investimenti si può farlo senza distorcere il tasso di mercato: in parole povere si può aiutare gli imprenditori a pagare il tasso di mercato “alto”. Ma anche nei sussidi occorre fare attenzione a non favorire investimenti di sopravvivenza e non innovativi,
      imprese che partono già fuori mercato, tecnologie e organizzazioni inefficienti e superate…Inoltre bisogna agire soprattutto con politiche generali, strutturali, infrastrutturali, ecc., che rimuovano le condizioni ambientali che sfavoriscono l’area in modo da poter fare a meno poi di doverla sussidiare. Infine, nelle regioni dove c’è più disoccupazione di lavoro, è
      meglio differenziare i salari (verso il basso rispetto a quelli delle regioni più favorite) che non il costo del capitale. Il nostro sud ha sofferto per tanti anni politiche di incentivo sui tassi (accompagnate da salari obbligatoriamente simili a quelli del “nord” per l’opposizione sindacale alla diversificazione) che hanno favorito combinazioni produttive ad alta intensità
      di capitale e bassa intensità di lavoro. Mi dispiace di dover rispondere alla sua importante questione con brevi cenni
      così superficiali, e la ringrazio ancora.
      Franco Bruni

  3. luigi piscirelli

    io non mi intendo dell’argomento e volevo fare una domanda forse ingenua: ho sentito spesso dire che, per capire se il livello dei tassi sia “alto” oppure “basso”, essi debbano essere confrontati con il tasso di crescita (che dovrebbe essere in questo senso un indicatore tendenziale della resa di un investimento di tipo produttivo). In un momento di stagnazione come l’attuale dunque anche tassi cosi’ ridotti rispetto a quelli di qualche anno fa sarebbero da considerarsi troppo elevati.
    Una posizione del genere ha qualche ragione? Lei cosa ne pensa?
    grazie

    • La redazione

      La ringrazio per l’attenzione.
      In teoria c’è una relazione di equilibrio, piuttosto complessa (e diversa a seconda dello scopo che si ha nell’uitilizzarla), fra il tasso REALE (cioè al netto dell’inflazione) di interesse e quello di crescita reale. Che sono piuttosto eguali e attorno allo zero. Negli Usa invece il tasso reale è negativo e la crescita forse “troppo” positiva. Ma la relazione che conta ai fini del ragionamento del mio articolo è quella fra il tasso reale di interesse e la produttività marginale degli investimenti (che non è approssimabile con tasso di crescita dell’economia nel suo complesso): è per questo che ho osservato che tassi reali bassi-nulli permettono di proseguire (e persino incentivano) investimenti troppo poco produttivi.
      Un caro saluto.
      FB

  4. Luca Catena

    Buongiorno Prof. Bruni, nel 2004 ero un giovanissimo studente di economia, estremamente favorevole all’utilizzo della politica monetaria per sostenere l’economia. Il suo articolo minò le basi delle mie certezze, modificando il mio pensiero economico. Oggi a distanza di 5 anni il suo articolo è sempre più attuale. La ringrazio per il suo articolo. La saluto cordialmente Luca Catena

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