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Tre punti per la tutela del risparmio

Un regime di regolamentazione del risparmio dovrebbe essere coerente con il sistema che si intende controllare. Nel caso italiano sono quindi tre le opzioni di intervento: la revisione del nuovo diritto societario, la divaricazione degl’interessi tra amministratori e proprietari e organi di controllo e l’inasprimento delle sanzioni. Solo l’ultimo, però, è rapidamente attuabile. Non serve invece la definizione di nuovi reati, soprattutto se ricordano troppo le grida manzoniane.

Un regime di regolamentazione, composto necessariamente di una pluralità di regole, strumenti e obiettivi, abbisogna di una strategia che lo renda rispondente al sistema che s’intende “controllare”.
Ad esempio, se in un sistema economico prevalgono la quotazione in Borsa e la proprietà diffusa, è efficiente spostare il baricentro delle regole e dei controlli verso il mercato e verso le offerte pubbliche di acquisto o di scambio.
Se, al contrario, sono diffusissime le medie e piccole imprese sostanzialmente avverse alla Borsa, il fulcro della regolamentazione deve rimanere in maggior grado in ambito pubblicistico. E l’Italia, nonostante i progressi degli ultimi quindici anni, continua a esprimere un capitalismo familiare. In qualche caso, come quello Parmalat, anche un familismo amorale.

Le sanzioni nel nuovo diritto societario

La riforma del diritto societario nel nostro paese sarebbe dovuta essere il risultato di un attento studio delle necessità del nostro sistema produttivo.
Invece, quella che è entrata in vigore il 1° gennaio 2004 ha proceduto sulla base di principi teoricamente condivisibili, ma avulsi dalla realtà italiana.
Infatti, si è garantita la massima libertà statutaria alla Spa in grado di emettere un’ampia tipologia di azioni, di ricorrere senza limiti, se quotata, all’indebitamento obbligazionario anche atipico, di scegliere il regime di direzione tra diverse opzioni. Alla maggiore libertà non si è però accompagnata una sanzione proporzionalmente accresciuta nel caso di violazione di obblighi, come il falso in bilancio dimostra.
Poiché tale sistema mal si addice a un capitalismo familiare come il nostro, prima o poi dovrà porsi mano a una sua revisione.

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Per difendersi dalla frode

La stabilità del capitalismo, da noi come negli Stati Uniti e in altri paesi europei, è stata messa in pericolo da tre cause: la frode, l’accumulazione involontaria di rischi e la concessione delle opzioni su azioni, con le connesse modalità di contabilizzazione e di esercizio.
Nella ricerca della miscela di strumenti e incentivi adatta a ogni economia, vanno anche individuati il tipo di pericolo da cui bisogna guardarsi e chi è preposto a vigilare sul medesimo. E in Italia, dopo il caso Parmalat, la frode sembra essere quella che suscita il maggiore allarme sociale.

Se questo è vero, ed essendo la frode un reato contro la fede pubblica, allora non si può prescindere dall’azione delle autorità di supervisione, della Guardia di finanza, che ha compiti di polizia economica, e delle procure della Repubblica. Ma questo non basta: per evitare che il potere pubblico arrivi quando il danno è stato arrecato, è necessario che vi siano dei filtri efficaci al livello dell’organizzazione aziendale, con obblighi sanzionabili. E affinché questi filtri funzionino, è necessario aumentare la loro distanza da proprietari e amministratori attraverso la divaricazione degli interessi.

Quali filtri sono previsti? Vediamone alcuni.In primo luogo, i revisori esterni, che hanno oggi l’obbligo di certificare la contabilità. Perché questi siano utili sentinelle dovrebbero essere privati di ogni capacità di consulenza; bisogna eliminare il potenziale conflitto d’interessi che potrebbe insorgere domani e/o in un altro ordinamento. Ma per ottenere questo è necessaria una forte e coordinata pressione internazionale.

Abbiamo poi i sindaci, ma anch’essi sono espressione della maggioranza, mentre sarebbe opportuno che fossero scelti dalla minoranza o, almeno, dai fondi comuni d’investimento che hanno nel proprio portafoglio titoli della società e/o del gruppo.
I consiglieri d’amministrazione indipendenti, quando esistono in società dalla forte impronta familiare, non sono affatto indipendenti, poiché sono scelti dal capo effettivo dell’azienda, che spesso è il presidente del gruppo, e restano in carica sino a quando sono a lui graditi.
Per i capi uffici della contabilità e della finanza vanno previste specifiche responsabilità fortemente sanzionabili, poiché per essi non è immaginabile una diversificazione degli interessi da quelli degli amministratori e dei proprietari. Particolari incentivi per chiunque voglia fare il whistleblower sono chiaramente poco efficaci, poiché sarebbe oggetto di ritorsioni prima e di discriminazioni poi.

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Quanto alle sanzioni abbiamo diverse possibilità, con efficacia differente.
Quelle restrittive della libertà dovrebbero essere riservate ai comportamenti più gravi, mentre sono da preferire quelle sospensive o interdittive dalla professione o dalla carica.
In fondo, a un regime capitalistico interessa estromettere, temporaneamente o definitivamente, persone che si sono dimostrate incapaci di osservare le regole del gioco. Va da sé che questo tipo di misure deve essere pienamente appellabile.

Tornano le grida manzoniane?

Abbiamo quindi tre opzioni di intervento: la revisione del nuovo diritto societario, la divaricazione degl’interessi tra amministratori e proprietari e organi di controllo e infine l’inasprimento delle sanzioni.
Purtroppo, solo quest’ultimo è rapidamente attuabile, come del resto è avvenuto negli Stati Uniti.
Purché non si tenti di configurare un improbabile reato di “nocumento al risparmio” (da 3 a 12 anni di galera) per chi causa un danno superiore all’1 per mille del Pil, (come è noto, il Pil è frutto di stime soggette a molteplici revisioni), o colpisca un numero di risparmiatori superiore all’1 per mille della popolazione (la cui entità è accertata dal censimento ogni dieci anni). Le grida manzoniane sono ancora di moda?

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Sommario 12 marzo 2004

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Deficit e conflitti

  1. Filippo Zanella

    L’interessante articolo di Sarcinelli spiega in dettaglio una strategia per uscire dal “baratro” in cui i casi Cirio, Parmalat etc. hanno gettato il risparmio in Italia negli ultimi mesi. Le argomentazioni di Sarcinelli sono tutte condivisibili ma mancano di una conclusione operativa che dovrebbe essere la premessa fondamentale al ripristino della fiducia tra i risparmiatori per farli tornare ad essere anche investitori. Detto principio e’<< chi sbaglia paga>>. Fino a che i vertici di Bankitalia e Consob non verranno licenziati (le “onorevoli dimissioni” non le meritano) non mi assolutamente chiaro come si possa avere fiducia in un sistema, quello finanziario. Ancora meno chiaro e’ il ruolo di un governatore “sbugiardato” dai fatti. A chi serve un governatore debole? Al paese no perche’ la sua funzione di controllo e’ viziata dal pregiudizio sul suo operato e dalla consapevolezza che tutto cio’ che dice o fa e’ strumentale a salvarsi (scusate) il culo e la poltrona. Parmalat e’ “l’8 settembre” del sistema finanziario/bancario italiano, quindi, “tutti a casa”.
    Cordiali Saluti
    FZ

    • La redazione

      La ghigliottina non ha mai risolto nessun problema, anche se ha dato qualche soddisfazione a sanculotti e tricoteuses…
      Mario Sarcinelli

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