Se si escludono le tecnologie della comunicazione, il ritardo dell’Italia negli investimenti in It è ancora più grave di quello che appare. Non solo perché si dà scarsa importanza alla ricerca e sviluppo, ma anche perché il nostro paese ha da tempo abbandonato la produzione di beni ad alto contenuto tecnologico. Invece, il nostro declino economico può essere superato solo rafforzando questa filiera produttiva. Tra la produzione e l’utilizzo di It esiste infatti una complementarietà troppo spesso trascurata.

Le diagnosi e le terapie sulla fase di declino che attraverserebbe l’economia italiana (tassi di crescita modesti; lenta dinamica della produttività; diminuzione delle quote di export) sono diverse, ma su un punto gli analisti concordano: l’Italia è indietro nell’adozione delle nuove tecnologie dell’informazione (It) rispetto agli Stati Uniti, ma anche rispetto alla maggior parte dei paesi europei. Quanto è grave il ritardo italiano in tema di It, e quali fattori vi contribuiscono?

La misura del ritardo italiano

Alcune risposte le conosciamo già. Un recente rapporto dell’Ocse (“ICT and Economic Growth”, 2003) colloca l’Italia nella fascia bassa tra i paesi avanzati in tema di tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Mentre nella produzione di queste tecnologie il divario è pesantissimo (nel periodo 1996-2001 ci collochiamo all’ultimo posto in termini di contributo dell’industria IT al progresso tecnico aggregato), nell’adozione dell’It le cose sembrerebbero andare un po’ meglio (si veda Daveri e Tabellini su lavoce.info per l’importanza relativa dei due fenomeni). Il tasso di investimento italiano, pur basso rispetto a Stati Uniti, Giappone, Australia e paesi scandinavi, non si discosta molto da quello di Germania, Austria e Finlandia, e supera quello della Francia.
Tuttavia, il ritardo italiano è probabilmente più grave di quello che appare. Proviamo a fare due operazioni.
Primo, guardiamo solo alla spesa per investimenti. Secondo, escludiamo dal computo l’aggregato delle tecnologie della comunicazione (che comprende una componente rilevante di merci di tipo tradizionale, come le valvole o i cavi), e limitiamoci solo all’hardware e al software.
I tassi di investimento medi dell’ultimo decennio, per i paesi Ue e per gli Usa, sono riportati nella tabella. (1)

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L’Italia è agli ultimi posti per l’investimento in hardware e software, ben lontana da Francia e Germania. Nelle classifiche Ocse la collocazione italiana è migliore a ragione dell’investimento in communication equipment. Non è quindi una questione di telefoni cellulari, che sono prevalentemente beni di consumo e non d’investimento (per inciso, l’Italia è largamente in testa alla speciale classifica dei paesi dove il numero dei contratti per linee di cellulari eccede quello di linee fisse: si veda http://www.weforum.org/pdf/Gcr/GITR_2003_2004/Progress_Chapter.pdf).
Anche concentrandosi sui beni d’investimento, siamo meno orientati degli altri grandi paesi europei verso l’hardware e il software.Il legame tra hard e software

Gli studi sugli effetti macroeconomici dell’It, sulla crescita economica o sulla produttività, eccedono di gran lunga quelli sulle determinanti macro dell’investimento in It, che però resta un tema cruciale visto il ritardo italiano.
Il rapporto dell’Ocse menziona una serie di fattori che tenderebbero a scoraggiare l’adozione di information technology: l’eccessiva regolamentazione dei mercati del lavoro e dei prodotti; le incertezze connesse all’utilizzo delle nuove tecnologie, per esempio all’e-commerce; la disponibilità di personale qualificato.
Un’altra determinante della spesa per investimenti sembra essere il differenziale nel costo dei beni, che però dovrebbe pesare meno nei confronti tra paesi del mercato interno, rispetto al confronto tra Europa e Stati Uniti.
Indicazioni importanti si ricavano dall’analisi econometrica dei dati relativi a cinque paesi Ue (i quattro grandi e l’Olanda), rappresentativi tra l’altro di fast, medium e slow adopters.

La prima conclusione è che le determinanti dell’investimento It sono diverse tra hardware e software. Oltre ai fattori “classici” come tassi d’interesse, profitti, tassi di crescita attesa della domanda, nel caso dell’hardware appaiono rilevanti l’intensità nazionale di ricerca e sviluppo e il vantaggio comparato nella produzione di It (approssimato dal grado di copertura, definito come export/import di hardware). Nel caso del software, emerge invece una chiara dipendenza degli investimenti correnti dall’accumulazione pregressa di beni capitali di tipo hardware.
L’Italia è dunque ancor più indietro di quanto appare se consideriamo solo l’investimento in hardware e software, escludendo le tecnologie delle comunicazioni.
Per quanto riguarda l’hardware,questo ritardo è in parte un riflesso della bassa intensità di ricerca e sviluppo, ma anche della performance molto negativa dell’Italia come paese produttore di hardware. A sua volta, l’investimento in software tende a seguire quello in hardware.
Sembra, quindi, illusorio ritenere che il ritardo italiano nell’adozione dell’It si possa colmare senza un rafforzamento di quella filiera produttiva nel nostro paese.
Tra la produzione e l’utilizzo delle It sembra sussistere una complementarietà che talvolta viene trascurata quando si studiano gli effetti delle nuove tecnologie.

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