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Caccia al Tesoro su Terna

Nell’operazione di privatizzazione di Terna la posta in gioco non è tanto la struttura proprietaria ottimale dell’impresa che gestirà la trasmissione di energia elettrica, quanto i ricavi che il Tesoro otterrà dalla sua vendita, anche a costo di impedire la diminuzione delle tariffe elettriche e di tradire il principio dell’indipendenza dell’Autorità di regolamentazione. Potrebbero così essere gli utenti a finanziare in modo poco trasparente una parte di riduzione del debito pubblico.

Caccia al Tesoro su Terna

Il contributo di Giorgio Ragazzi sulla privatizzazione della società Terna, attualmente controllata da Enel, ribadisce il principio per cui la trasmissione di energia elettrica dovrebbe essere completamente controllata dallo Stato, trattandosi di un monopolio naturale.
Su tale principio si potrebbe concordare, anche se non si può escludere che il controllo di una società privata da parte di un’Autorità di regolamentazione potrebbe costituire comunque una soluzione rispetto ai problemi posti dal monopolio naturale.

Tariffe e privatizzazione

Il punto però è un altro: nell’operazione di privatizzazione di Terna la posta in gioco non è tanto la struttura proprietaria ottimale dell’impresa che gestirà la trasmissione di energia elettrica, quanto i ricavi che il Tesoro otterrà dalla sua vendita, anche a costo di impedire la riduzione delle tariffe elettriche e di tradire il principio dell’indipendenza dell’Autorità di regolamentazione. Questo è quanto emerge esaminando il nesso tra la privatizzazione parziale di Terna e la regolamentazione delle tariffe di trasmissione.

È vero che formalmente sarà l’Autorità per l’energia a determinare le tariffe di trasmissione, ovvero i ricavi di Terna. Tuttavia, in pratica, non è così poiché la Legge 27 ottobre 2003, n. 290 detta direttamente all’Autorità di regolamentazione i criteri di formazione delle tariffe.
Infatti pur confermando che l’Autorità per l’energia definisce le tariffe per il trasporto e la distribuzione dell’elettricità, la legge impone disposizioni specifiche sulla rivalutazione delle reti, sul valore del tasso di rendimento garantito e sull’applicazione del price-cap (comma 7, articolo 1-quinquies).
I criteri dettati rivelano la preoccupazione del Governo di mantenere elevati ricavi per la società di trasmissione. Si prevede infatti che il tasso di rendimento privo di rischio non possa essere inferiore a quello dei titoli di Stato a lungo termine e, per quanto riguarda il price-cap, che la verifica dei guadagni di efficienza ottenuti grazie all’applicazione di tale meccanismo nel periodo regolatorio trascorso, porti a una ripartizione dei benefici tale da assegnarne esattamente la metà a Terna come extra-profitto e metà ai suoi clienti in termini di riduzione delle tariffe future. Soprattutto, si prevede per il prossimo periodo di regolamentazione l’applicazione del price-cap soltanto a quelle componenti della tariffa di trasmissione che coprono i costi operativi e gli ammortamenti, escludendo così la componente relativa alla remunerazione del capitale investito, che è dunque destinata a mantenersi costante per tutto il prossimo periodo di regolazione.

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Dunque con la Legge 290 si assicura a Terna un rendimento tale da non tradire i suoi futuri azionisti e soprattutto Enel, e quindi il Tesoro, che procederà alla privatizzazione di Terna dopo che saranno approvate le nuove tariffe di trasmissione. Come riconosce Ragazzi, non abbiamo elementi sufficienti per sostenere che una Terna privata sia meglio di una Terna pubblica sotto il profilo dell’efficienza. Tuttavia non sembra essere questa la posta in gioco, bensì il ricavo atteso dalla vendita di Terna, per l’opportunità di ridurre il debito pubblico con gli introiti delle privatizzazioni.

Il rischio è che questa operazione contribuisca a ostacolare la riduzione delle tariffe elettriche pagate dagli utenti finali, che dipendono anche dal livello delle tariffe di trasmissione. Potrebbero essere cioè gli utenti a finanziare in modo assai poco trasparente una parte di riduzione del debito pubblico grazie alle modalità con cui vengono condotte le privatizzazioni nei servizi di pubblica utilità.
Non solo, quindi, si esclude la proprietà pubblica della rete, ma si esclude nei fatti anche l’indipendenza del controllo della rete da parte dell’Autorità di regolamentazione, l’unica ad avere le competenze tecniche per bilanciare l’interesse degli investimenti nella rete con gli interessi degli utenti del servizio elettrico. Nei fatti, l’azionista pubblico è attento ai profitti almeno quanto gli azionisti privati, tenuto conto delle condizioni in cui versano le casse dello Stato. Con una differenza però: il proprietario pubblico può anche costruirsi un rendimento su misura per le proprie imprese, evidenziando così un’altra tipologia di conflitto di interessi.

La separazione è una buona idea

Per quanto riguarda invece l’auspicato progresso nella liberalizzazione del mercato elettrico, non si può che approvare l’idea di separare la nuova Terna, società che gestirà la rete di trasmissione di energia elettrica, da Enel, società largamente impegnata anche nella produzione e nella vendita di energia. La separazione proprietaria è la miglior garanzia contro comportamenti discriminatori nei confronti delle imprese nuove entranti sul mercato elettrico: senza separazione proprietaria la neutralità di Terna rispetto alle altre fasi del settore elettrico non è assicurata. Tuttavia il piano del Governo di privatizzare Terna lasciando a Enel una quota di proprietà pari al 20 per cento potrebbe non consentire di raggiungere tale obiettivo: il controllo dell’impresa può ottenersi anche con quote minoritarie del capitale sociale. E poiché il Governo mantiene tuttora il controllo di Enel, il Tesoro è destinato a trarre vantaggio come azionista dalla crescita dei profitti di Enel: tali profitti potrebbero ridursi se la completa separazione proprietaria favorisse più seriamente la crescita della concorrenza sul mercato dell’elettricità.

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Le reazioni negative del Tesoro alla proposta tariffaria dell’Autorità per l’energia, che lascia margini perla diminuzione delle tariffe di distribuzione, dimostrano come nella nuova concezione dell’impresa pubblica ciò che conta sono i dividendi dell’azionista di Stato. (vedi Scarpa)

 

 

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sommario 25 novembre 2003

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I figli del bonus

  1. giorgio ragazzi

    Riconosciamo che il Governo stia gestendo la vendita di Terna con l’obiettivo di massimizzarne il valore per l’ENEL, per contribuire a ridurre il debito pubblico, anche a scapito degli utenti; e che l’intervento del Ministro Tremonti contro le proposte tariffarie dell’Autorità per l’Energia sia criticabile, anche nella forma. Di per sé, l’obiettivo di ridurre il debito pubblico (“debito Maastricht”) con operazioni patrimoniali, piuttosto che accrescendo l’avanzo primario in un periodo di recessione, mi pare comprensibile ed appropriato. Considerando poi che gli utenti di energia sono anche contribuenti fiscali, non mi scandalizzerei nemmeno troppo se venissero fissate tariffe “elevate”, se quanto pagato in più andasse interamente a beneficio della finanza pubblica. E’ questo il punto che mi pare non venga colto da Alberto Cavaliere.
    Solo se la Terna venisse acquistata da una società pubblica (rinvio al mio articolo) avremmo la certezza che gli extraprofitti successivi alla cessione restino nell’ambito del settore pubblico, e possano portare nel tempo ad una riduzione delle tariffe. Se invece la Terna venisse quotata in borsa e “privatizzata”, vi sarebbe il rischio che gli utenti si trovino a pagare nel tempo, oltre al prezzo incassato dall’ENEL, anche l’arricchimento degli investitori privati, come è avvenuto nel caso della Autostrade. Ricordiamo, a questo proposito, che il valore del titolo Autostrade è raddoppiato in tre anni, ed la società, per finanziare l’OPA, ha ottenuto crediti per un importo superiore a quanto incassato dall’IRI con la privatizzazione del 1999/2000. Vogliamo evitare il rischio di una seconda esperienza del genere?

    • La redazione

      Ringrazio Giorgio Ragazzi per il suo commento. Non dubito affatto che le privatizzazioni costituiscano una buona soluzione per ridurre il Debito Pubblico e condivido tale strategia. Il problema è fino a che punto si può sorvolare sui problemi di regolamentazione al fine di massimizzare gli introiti finanziari, visto che Terna è una società operante in monopolio naturale. La questione sollevata in particolare da Ragazzi (gli utenti sono anche contribuenti) è certamente fondata. Anche volendo essere molto pragmatici, la realtà dei fatti dimostra tuttavia che gli aumenti tariffari ed i guadagni per gli azionisti risulterebbero certi, mentre i vantaggi per i contribuenti appaiono più incerti all’orizzonte. A meno che non si voglia affermare che gli incrementi tariffari sono il prezzo da pagare per non aumentare ulteriormente la pressione fiscale. Inoltre lo “scambio” tra incrementi delle tariffe e riduzioni delle imposte nasconderebbe comunque effetti redistributivi importanti tra varie categorie di contribuenti e varie categorie di utenti.
      Non vorrei però che si valutassero solo gli effetti di tipo distributivo. L’attività di regolamentazione nel settore energetico è infatti molto indirizzata ad incentivare l’efficienza produttiva ed allocativa. Un governo attento alla crescita economica non dovrebbe trascurare gli effetti di efficienza allocativa indotti da prezzi ben più elevati dei costi (rendite di monopolio): i privati corrono ad investire, trascurando altre opportunità presenti in settori maggiormente esposti alla concorrenza, ma più rilevanti dal punto di vista dello sviluppo dell’economia nazionale.
      In base all’esperienza passata non sarei poi così certo che il mantenimento di extra-profitti in seno al settore pubblico si tradurrebbe prima o poi in un beneficio per gli utenti. Personalmente ritengo che solo un’Autorità di regolamentazione indipendente (non solo dalle imprese private ma anche dal Governo) sia una garanzia della tutela degli interessi dei consumatori, visto che si tratta di interessi diffusi. Pur non conoscendo bene il caso di Autostrade, di cui invece Ragazzi é molto esperto, penso che l’assenza di un’Autorità di regolamentazione indipendente abbia contribuito agli effetti del processo di privatizzazione. A mio parere la presenza di monopoli pubblici in questi settori eviterebbe con certezza un solo effetto negativo delle privatizzazioni abbinate a debole regolamentazione e cioé l’ingresso nel settore di capitali privati attirati da cospicue rendite di monopolio. Questo è quanto mi pare di osservare sia nel caso di Autostrade che nel caso delle imprese di servizio pubblico locale: settori in tutto o in parte privatizzati ma non regolati da un’Autorità indipendente.

  2. Franco Debenedetti

    Lasciare la proprietà (mera, si direbbe oggi) della rete ad Enel, é stato un cedimento di Bersani alle pressioni violentissime dell’ex monopolista, forse necessario per mandare in porto la parziale liberalizzazione.
    Ma se c’è un’azienda che dovrebbe restare pubblica questa é proprio Terna. Invece vogliono farci entrare pro quota tutti i propduttori! Piuttosto é Enel che, una volta venduta Terna, non ha più ragione di restare pubblica. Possederebbe solo più centrali, come Edison, e distribuzioni locali, come le municipalizzate.
    Saluti
    Franco Debenedetti

    • La redazione

      Immaginavo che la decisione di lasciare ad ENEL la proprietà di una “essential facility” come la rete di trasmissione fosse necessariamente il frutto di forti pressioni dell’ex-monopolista. Visto che si sta procedendo alla privatizzazione di Terna, ENEL non ha sicuramente più ragione di restare in mano pubblica. Ciò che preoccupa a questo punto sono le modalità con cui saranno condotte le privatizzazioni. Il caso di Terna e la controversia sulle tariffe elettriche evidenzia una strategia che tiene in alta considerazione i mercati finanziari ma trascura l’economia reale. Poiché la liberalizzazione resta a metà del guado e la concorrenza sul mercato elettrico è ancora debole, in assenza di una forte regolamentazione si passa da monopoli pubblici a imprese parzialmente privatizzate che conservano potere di mercato e rendite. Il sistema industriale italiano è penalizzato in maniera duplice. Primo perché le tariffe pagate dai consumatori industriali non calano, secondo perché i capitali nazionali saranno attratti più dalle rendite dei servizi di pubblica utilità che dai profitti realizzabili in settori più rischiosi.
      Cordiali saluti
      Alberto Cavaliere

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