Destinare una piccola quota dell’Iva a finalità sociali. Lo prevede un articolo del maxi-decreto legato alla Finanziaria. Presentato come una de tax, il provvedimento è invece lontano da quel modello. Infatti è interamente a carico dello Stato senza alcun contributo dell’impresa privata. È un “10 per mille” che produrrà un gettito contenuto. E poco democratico perché una piccola cerchia di grandi consumatori potrebbe decidere la destinazione dell’intera somma a disposizione, mentre il costo ricade sull’intera comunità.

L’articolo 19 del decreto legge 269/2003 introduce in via sperimentale la de tax tra le misure su “società civile, famiglia e solidarietà”.
Il meccanismo è il seguente. Se acquista prodotti per almeno a 50 euro in esercizi commerciali convenzionati con enti che “svolgono attività etiche”, il consumatore può manifestare l’assenso a che lo Stato destini a questi enti una quota pari all’1 per cento dell’Iva dovuta. Potranno beneficiare di questo finanziamento le associazioni di promozione sociale, gli enti di volontariato e le Onlus, nonché gli enti che presentino i requisiti soggettivi e oggettivi che saranno stabiliti con decreto ministeriale.
La misura ha carattere sperimentale e non incide sull’esercizio della legge delega di riforma fiscale, laddove prevede l’introduzione della de tax (articolo 5, lett. h), legge 80/2003).Troverà applicazione nei limiti degli stanziamenti previsti: un milione di euro per il 2003 e cinque milioni per ciascuno degli anni 2004 e 2005.

Perché non è una de tax

L’articolo 19 è presentato come una misura de tax, ma non ha le caratteristiche del modello proposto in origine e riprese nella legge delega per la riforma fiscale. D’altra parte, di alcune disposizioni della legge delega (articolo 5, comma 1, lett. h) non esiste un’interpretazione univoca. Più in generale, poi, si possono nutrire dubbi sulla opportunità ed efficacia di questo strumento, diretto a incentivare la mobilitazione di risorse private da destinare a finalità collettive.
Nel modello de tax originario, se un consumatore accetta di destinare a finalità sociali una quota del prezzo di acquisto di beni di consumo (es. 120 = 1 per cento di 12.000), una pari quota dell’imponibile (100 = 1 per cento di 10.000) non è sottoposta a Iva (20) e alle imposte sui redditi (38,25). La liberalità (pari a 120) è dunque finanziata per il 51,46 per cento (61,75/120) dall’impresa (che rinuncia a una parte del corrispettivo, al netto delle imposte sui redditi, ossia 61,75 = 100-38,25) e per il 48,54 per cento (58,25/120) dallo Stato (minor gettito Iva e imposte sui redditi, ossia 58,25= 20+38,25). In definitiva, per ogni euro di minor gettito si genera un’erogazione privata aggiuntiva all’incirca di pari ammontare.
Al contrario, la misura prevista dall’articolo 19 investe solo l’Iva e non le imposte sui redditi. Ma la principale differenza rispetto al modello de tax è che alle finalità sociali viene destinata solo una quota del gettito Iva, senza nessun corrispettivo di vendita. Manca dunque il concorso dell’impresa venditrice, che non sopporta alcun onere. La liberalità è interamente a carico dello Stato ed è dunque di ammontare più contenuto: il semplice minor gettito. Nel nostro esempio sarebbe pari a 20, invece che a 120.

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Imposizioni di scopo e agevolazioni

Per valutare il significato della misura è necessario prima chiedersi di che cosa si tratta. È un’agevolazione fiscale? Una forma di imposizione di scopo (earmarked taxation)? Oppure qualcosa di analogo all’8 per mille Irpef?
È evidente che non si tratta di un’agevolazione fiscale. Lo è invece la de tax prevista dalla legge delega, perché la quota del corrispettivo destinata a finalità sociali viene esclusa da tassazione in deroga al trattamento fiscale ordinario.
La misura proposta con l’articolo 19 non incide sulla formazione del gettito Iva (che avviene secondo gli usuali meccanismi), bensì sulla sua destinazione da parte dello Stato.

Si potrebbe allora ipotizzare che si tratti di una forma di imposizione di scopo: il gettito prodotto nelle forme usuali viene preventivamente vincolato per essere impiegato in una certa direzione, anziché essere destinato alla fiscalità generale.
Le imposizioni di scopo sono molto diffuse sul piano internazionale. Basta ricordare i prelievi energetici il cui gettito è vincolato a finalità ambientali. Si tratta di strumenti che riflettono la visione normativa propria del costituzionalismo fiscale. Più pragmaticamente, vi si ricorre per giustificare inasprimenti fiscali, politicamente costosi. La tipica earmarked taxation ha però due caratteristiche essenziali: l’addizionalità (comporta un prelievo aggiuntivo) e l’esistenza di un legame tra materia imponibile e settore di destinazione del gettito. Nel nostro caso, esiste solo il vincolo di destinazione del gettito, mentre mancano gli altri due elementi..

Solo un modesto 10 per mille

Non resta che inquadrare la misura in una forma di 8 per mille, o meglio di 10 per mille, con alcune evidenti differenze: l’ammontare del gettito che è prefissato per legge e alquanto contenuto, e il riferimento all’Iva e non all’Irpef.
Merita però di essere sottolineata un’ulteriore differenza, che ha a che vedere con i meccanismi decisionali. L’8 per mille dell’Irpef è destinato alle confessioni religiose che hanno raggiunto un’intesa con lo Stato, o allo Stato stesso per interventi straordinari (fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali). Le proporzioni della suddivisione fra i destinatari sono decise sulla base delle preferenze espresse dai contribuenti, seguendo il principio democratico “una testa. un voto”. Prescindono quindi dal fatto che il singolo contribuente paghi molta o poca Irpef: il singolo non destina una quota della “sua” Irpef, ma concorre insieme agli altri a decidere la destinazione dell’8 per mille dell’Irpef complessiva.
Con il nuovo 10 per mille Iva, invece, il consumatore decide sulla destinazione dell’Iva relativa ai suoi acquisti. Così, la destinazione del milione di euro del 2003 potrebbe finire con l’essere decisa da un insieme relativamente ristretto di grandi consumatori, mentre il costo dell’operazione è a carico dell’intera collettività.

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In conclusione, quella prevista dall’articolo 19 è una misura di scarso rilievo quantitativo, che impropriamente viene presentata come de tax.
Il fatto che non sia un’agevolazione fiscale ha poi implicazioni significative. Le agevolazioni, quando ben congegnate, creano incentivi (stimolano ad esempio un maggior volume di donazioni filantropiche). Con la misura introdotta dall’articolo 19, invece, il volume delle donazioni è pari al gettito devoluto, senza che si determinino risorse private aggiuntive (a meno di sostenere la tesi irrealistica che la misura sia in grado di stimolare consumi aggiuntivi).
A ben vedere, resta un 10 per mille, debole però sul piano dei requisiti di democraticità.

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