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Dal concordato al condono preventivo

Introdotto in via sperimentale per il biennio 2003-2004, il concordato preventivo fiscale diventa uno strumento di massa. In quest’ultima formulazione, ha perso anche la caratteristica che ne poteva giustificare l’adozione, quella di essere un mezzo per la composizione degli interessi contrapposti di contribuente e Stato, basato sull’analisi delle singole situazioni. È ora un espediente per scambiare un aumento predeterminato del gettito con la tranquillità fiscale. E come tutti i condoni fiscali, premia chi non ha rispettato le regole.

Tradizionalmente, nel mondo giuridico, per “concordato preventivo” si intendeva una procedura utilizzata dall’imprenditore insolvente per tacitare i creditori senza incorrere nel fallimento. Da qualche tempo il nostro ordinamento conosce una nuova nozione di concordato preventivo, il concordato preventivo fiscale.

Si tratta di un istituto del tutto diverso dal primo, nel quale non è più l’imprenditore sull’orlo del fallimento a proporre un accomodamento ai suoi creditori, ma è lo Stato (almeno nello schema iniziale) a proporre all’imprenditore il pagamento di una determinata quantità di imposte sui futuri guadagni.
È un meccanismo teoricamente alquanto ambizioso, nel quale dovrebbero trovare corretta composizione interessi opposti: quello dello Stato di percepire le imposte effettivamente dovute, limitando i costi dell’accertamento e del contenzioso. Quello del contribuente di minimizzare e conoscere preventivamente l’onere tributario relativo ai futuri guadagni. Per sua natura dovrebbe trattarsi di un accordo basato su una precisa analisi della posizione del singolo contribuente, da effettuare sulla base della corretta e veritiera applicazione degli studi di settore e di una dettagliata analisi della struttura organizzativa e produttiva dell’impresa.

Una breve e tormentata vita

Questo, almeno, nell’originaria impostazione. Nella sua breve vita il concordato preventivo fiscale ha infatti già conosciuto tante e tali modifiche da far temere che il legislatore non abbia idee molto chiare sull’argomento.
La prima versione del concordato preventivo si è avuta con l’articolo 6 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (vedi Giannini, Concordato fiscale preventivo: semplificazione o svendita del sistema?).
Veniva prevista la possibilità di un accordo su base triennale ai soli fini dell’Irpef e dell’Irap per i contribuenti titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo che nell’anno precedente al triennio avessero realizzato ricavi o compensi fino a cinque milioni di euro. Si stabiliva, con una formulazione che non brillava per chiarezza, che “gli eventuali maggiori imponibili, rispetto a quelli oggetto del concordato, non sono soggetti ad imposta e quest’ultima non è ridotta per gli imponibili eventualmente minori”.
La norma rinviava poi a un decreto del ministro l’individuazione delle singole categorie di contribuenti ai quali applicare il concordato preventivo e la formulazione delle norme di attuazione.
Dopo poco più di tre mesi dall’introduzione del nuovo istituto, il legislatore è nuovamente tornato sull’argomento prevedendo, nell’ambito della delega per la riforma del sistema fiscale (legge n. 80 del 7 aprile 2003), “l’introduzione del concordato triennale preventivo per l’imposizione sul reddito di impresa e di lavoro autonomo anche in funzione del potenziamento degli studi di settore” (articolo 3, comma 1, lett. e, n.3).
L’approssimativa formulazione del criterio di delega, che prevede l’introduzione di un istituto già esistente e che sembra sintatticamente rovesciare il rapporto logico che esiste tra gli studi di settore e il concordato (dove, evidentemente, è il potenziamento degli studi a essere strumentale all’attuazione del concordato e non certo il contrario), rivela di per sé la scarsa riflessione posta dal legislatore delegante nella materia.
Con l’articolo 33 del Dl n.269/03 (radicalmente riscritto con il maxiemendamento governativo approvato dal Senato) si è giunti ora, “in attesa dell’avvio a regime del concordato preventivo triennale”, al concordato preventivo biennale, che viene introdotto “in forma sperimentale”.

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Il concordato preventivo entra, dunque, nella sua fase concretamente attuativa, ma con modalità molto diverse da quelle tracciate inizialmente dal legislatore.

Tutti i vantaggi del contribuente

Da strumento di composizione di interessi contrapposti basato sull’analisi e sulla conoscenza puntuale delle singole situazioni, il concordato preventivo diviene uno strumento di massa, nel quale si pretende un incremento predeterminato dei ricavi e del reddito precedentemente dichiarati (per il 2003 i ricavi devono essere aumentati del 9 per cento rispetto al 2001 e il reddito del 7 per cento; per il 2004 i ricavi devono aumentare del 4,5 per cento rispetto al 2003 e il reddito del 3,5 per cento).
Nel caso in cui i ricavi dichiarati nel 2001 risultino inferiori a quelli calcolati sulla base degli studi di settore (o dei parametri, per quelle attività per le quali nello stesso anno mancava lo studio di settore), l’ammissione al concordato preventivo biennale 2003-2004 presuppone la loro integrazione e il pagamento delle relative imposte, senza applicazione di sanzioni e interessi.

Possono accedere al concordato tutti i soggetti (imprese individuali, professionisti, società di persone e di capitali, ecc.) che nel 2001 hanno dichiarato ricavi o compensi entro il limite di applicazione degli studi di settore (5.154.569,00 euro), anche se negli anni successivi hanno superato tale limite. Per “concordare” occorrerà darne comunicazione all’amministrazione entro il 16 marzo 2004.
Quale contropartita al “sacrificio” richiesto ai contribuenti, si offre l’applicazione anticipata della riforma fiscale, relativamente alle aliquote dell’imposta personale (se il reddito nel 2001 non ha superato i 100mila euro sull’incremento si applica separatamente l’aliquota del 23 per cento; se il reddito è stato superiore ai 100.mila e in ogni caso per le società di capitale l’aliquota sul maggior reddito è del 33 per cento).
La non rilevanza dei maggiori redditi ai fini previdenziali. La quasi completa sterilizzazione dei poteri di accertamento attribuiti all’amministrazione finanziaria (che non potrà più fare ricorso alla cosiddetta prova logica, cioè basata su presunzioni, anche se gravi, precise e concordanti). La sospensione dell’obbligo (tributario) di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale.

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Un premio per i “più disinvolti”

È evidente come il concordato preventivo abbia perso del tutto le caratteristiche iniziali, che pur con molte perplessità potevano e possono giustificarlo, divenendo un mero espediente per scambiare un aumento predeterminato del gettito con la tranquillità fiscale.
E se può suscitare soltanto il sorriso la qualificazione di “sperimentale” attribuita a una modalità di determinazione degli imponibili che riguarderà per due anni la stragrande maggioranza delle imprese e dei professionisti italiani, senza distinzione di attività o di forma organizzativa, preoccupante sembra essere, invece, l’applicazione di aliquote d’imposta più vantaggiose di quelle che saranno applicate agli incrementi reddituali conseguiti dagli altri contribuenti negli stessi anni.
Occorrerà verificare attentamente se questa soluzione sia effettivamente compatibile con i nostri principi costituzionali e, in particolare, con quanto prevedono gli articolo 3 e 53 della Costituzione.
Quel che è certo e che approfitteranno dell’opportunità coloro che, avendo “aggiustato” i dati dichiarati nel 2001, possono ora determinare, con i meccanismi previsti dall’articolo 33, ricavi, compensi e redditi inferiori a quelli effettivi. Si tratta, in buona misura, di quegli stessi contribuenti disinvolti verso i quali si sarebbe indirizzata in futuro l’azione di controllo fiscale.
Quanto ai contribuenti corretti, nei confronti dei quali le performances produttive pretese dal Governo rischiano di essere molto lontane dalla realtà per la persistente stagnazione economica, non resta loro che adeguarsi, pagando imposte ingiuste, o rischiare un’attività di accertamento e un contenzioso che potrebbero rilevarsi particolarmente ingiusti e onerosi.
Si riproducono, dunque, anche in questo concordato preventivo tutti i difetti tipici dei condoni fiscali: viene penalizzato chi è stato più rispettoso delle regole e viene premiato chi si è comportato in modo meno corretto.

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  1. Anonimo

    Le porto la mia testimonianza sul concordato fiscale perché si veda come chi ha sempre pagato le tasse non solo è stato penalizzato, ma è stato persino beffato. Quando il mio commercialista mi ha chiesto se volevo aderire al concordato, gli ho risposto che non ne vedevo la ragione, visto che ho sempre pagato fino all’ultima lira le imposte, sia sul reddito della mia società, sia su quello personale. La sua risposta è stata che il concordato non riguardava chi non paga le tasse (quello è il condono), ma proprio chi le paga. In sostanza il fisco ti dice: se vuoi che non venga a mettere il naso nei tuoi conti dal 1997 al 2002, pagami una cifra forfettaria e sarai in regola del tutto. Al che io ho obiettato al mio commercialista: ma io ho sempre pagato tutto, secondo i conti che mi ha fatto lei. Ma questo non importa, ha risposto lui: se il fisco decide di fare un accertamento (e le probabilità aumentano di molto proprio per effetto del concordato preventivo) è lei che ha l’onere della prova di essere in regola. Ma io sono in regola, ho obiettato di nuovo io. Certo, ma dimostrarlo le sarà costato nel frattempo un sacco di tempo e di denaro, molto, ma molto di più del concordato preventivo. Ma questo è un ricatto, mi sono indignata io, una vera e propria richiesta di un “pizzo” di stampo mafioso! Proprio così, si è finalmente dimostrato d’accordo lui. Ci pensi e mi faccia sapere. Ci ho pensato, ho sentito altre campane (tra cui alcuni funzionari dell’Agenzia delle entrate) che mi hanno confermato quanto mi aveva detto il commercialista e mi hanno caldamente consigliato di aderire. La conclusione è che mi sento, non solo penalizzata e beffata, come ho scritto all’inizio, ma anche umiliata, come cittadino e contribuente, e mi vergogno anche, perché, aderendo al concordato, mi sento come se avessi commesso un illecito, e non me lo merito proprio.
    Lia Righi

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