La riduzione di gas serra prodotti nei paesi che aderiscono al Protocollo di Kyoto potrebbe essere indebolita dall’aumento di emissioni in quelli che non hanno firmato l’accordo. Perché il calo della domanda e quindi dei prezzi dei combustibili fossili ne renderebbe più conveniente l’uso nelle nazioni fuori dal Protocollo. Il parametro fondamentale che determina questi effetti è l’elasticità di prezzo dell’offerta di carbone e petrolio. Sfortunatamente, esistono pochi studi in proposito.

Negli ultimi anni, l’accordo nella comunità scientifica sull’influenza delle emissioni di gas serra prodotti dall’uomo (Ghg) sul clima ha continuato ad aumentare. Con la firma del protocollo di Kyoto nel dicembre 1997, alcuni paesi industrializzati (il cosiddetto Annex 1) si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra.
Tuttavia, nel marzo 2001 gli Stati Uniti hanno deciso di non ratificare il Protocollo. La decisione è stata giustificata (o scusata) con il fatto che il Protocollo non è nell’interesse economico degli Stati Uniti dal momento che i paesi in via di sviluppo principali responsabili delle emissioni sono esentati da qualsiasi riduzione. Gli sforzi per abbattere le emissioni di anidride carbonica aumenterebbero infatti i costi di produzione e minerebbero la competitività delle aziende americane. Anche il già scarso impatto del Protocollo potrebbe ridursi, proprio perché in conseguenza dei tentativi di limitare le emissioni nei paesi Annex 1, queste stesse potrebbero aumentare nei paesi che non hanno firmato l’accordo. Un effetto che è stato definito “carbon leakage”.

Emissioni di gas serra e competitività

Il ruolo della competitività internazionale nel generare il fenomeno del “carbon leakage” è stato enfatizzato in molti studi, ma anche i mercati dell’energia potrebbero giocare un ruolo importante. Quando un abbattimento unilaterale di emissioni di anidride carbonica avviene in un gruppo ampio di paesi, la riduzione della domanda mondiale provoca una pressione al ribasso sui prezzi dei combustibili fossili. La riduzione dei prezzi, a sua volta, fa crescere la domanda di energia (e le emissioni di anidride carbonica) nei paesi che non partecipano alla riduzione. Lo stesso può accadere per la riallocazione degli investimenti diretti esteri nei paesi che non aderiscono al Protocollo, generandovi una maggiore crescita economica e un conseguente aumento delle emissioni di gas serra.
Lo strumento più appropriato per tenere conto di questi effetti e quantificare il carbon leakage sono i modelli applicati di equilibrio generale. Benché questi modelli siano utilizzati da tempo, divergono ampiamente nelle stime, con leakage rate (“tassi di fuoriuscita”, calcolati come emissioni aggiuntive nei paesi non Annex 1 dovute alla riduzione di emissioni nei paesi Annex 1) che variano da percentuali trascurabili al 20 per cento o più.

Spiegare queste divergenze richiede una esaustiva analisi di sensibilità. Ma trarre conclusioni definitive in questi campi è difficile per la necessità di prendere in considerazione le interazioni tra diversi parametri su una vasta gamma di valori. In altre parole, l’analisi di sensibilità non può essere fatta soltanto parametro per parametro. D’altra parte, effettuare una ampia multidimensionale analisi di sensibilità con un modello di equilibrio generale su larga scala può diventare impossibile. Perciò, con Oliveira Martins (2002), ho elaborato un modello statico di equilibrio generale con due paesi e una pluralità di beni, che cattura in modo sintetico tutte le principali interazioni tra i mercati energetici e gli altri, a livello mondiale.
Ne risulta che gli effetti di competitività (in mercati non energetici) sul carbon leakage sono molto minori di quanto generalmente si sostenga nella letteratura.
Il parametro di gran lunga più critico per la dimensione del carbon leakage è l’elasticità dell’offerta di carbone. Quando questa elasticità è uguale o inferiore all’unità, il leakage rate può crescere fino al 40 per cento. Se l’offerta mondiale di carbone fosse totalmente rigida, sarebbe impossibile ridurre le emissioni di anidride carbonica. In questo ipotetico caso, ogni abbattimento unilaterale sarebbe compensato da un equivalente incremento di emissioni in altri paesi (implicando così un leakage rate del 100 per cento). Con un’offerta di carbone relativamente più elastica, come è probabile che sia almeno nel lungo periodo, il leakage rate resta relativamente basso (sotto il 10 per cento).
Il grado di integrazione nel mercato del carbone (cioè il valore dell’elasticità di sostituzione commerciale per il carbone) influenza la dimensione del carbon leakage soltanto se l’offerta di carbone è rigida. Di nuovo, la struttura del mercato internazionale del carbone non è rilevante quando l’offerta di carbone è più elastica (e leakage rate più basso).

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La tabella 1 riporta i risultati ottenuti con un modello di equilibrio generale completo, il modello Green dell’Ocse, che convalida l’analisi ottenuta con il nostro prototipo analitico.

S0: specificazione del caso centrale con elasticità dell’offerta di carbone infinita (decrescente), elasticità dell’offerta di petrolio = 2 , elasticità di sostituzione commerciale per il carbone = 4-5 e il petrolio è trattato come una merce omogenea.
S1: elasticità dell’offerta di carbone a 0,1. Tutti gli altri parametri come in S0.
S2: elasticità dell’offerta di carbone a 0,1 e elasticità di sostituzione commerciale del carbone = 0.5. Tutti gli altri parametri come in S0.
S3: elasticità dell’offerta di carbone a 0,1, elasticità dell’offerta di petrolio a 0,5. Tutti gli altri parametri come in S0.
S4: elasticità di sostituzione commerciale per il carbone = 0.5. Tutti gli altri parametri come in S0.
S5: elasticità di sostituzione commerciale per il carbone =10. Tutti gli altri parametri come in S0.

Fonte: Ocse

La mobilità dei capitali

Molte analisi del carbon leakage non considerano l’impatto della mobilità internazionale dei capitali. Alcuni hanno sostenuto che questa omissione porta a previsioni sbagliate sulla sua dimensione (vedi per esempio Springer, 2002). In un altro mio lavoro (Burniuax 2001), confronto i risultati ottenuti in assenza di mobilità internazionale di capitali con quelli generati da un modello dinamico di equilibrio generale con un trattamento piuttosto elaborato del mercato internazionale dei capitali. Sotto assunzioni “ragionevoli” e entro il lasso di tempo previsto dal protocollo di Kyoto, la mobilità internazionale dei capitali fa crescere il carbon leakage solo di una piccola quantità, in linea con i risultati di numerosi altri studi (1). Tuttavia, ci sono condizioni sotto le quali una riallocazione degli investimenti internazionali può generare un sostanziale aumento del carbon leakage aggiuntivo. Per esempio, una offerta mondiale di carbone molto inelastica o una struttura di produzione rigida (2).

Tutto ciò significa che un elemento fondamentale del dibattito sull’abbattimento dei gas serra, è la reazione dei produttori di carbone e, in misura minore, di petrolio. Sfortunatamente, finora nella letteratura econometrica c’è una evidenza relativamente scarsa su queste elasticità (3). Perciò, senza un maggior lavoro empirico sulla risposta dell’offerta dei produttori di carbone e petrolio, possiamo dire ben poco sulla dimensione del carbon leakage.

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Per saperne di più

Babiker M., “Subglobal climate-change actions and carbon leakage: the implication of international capital flows”, Energy Economics 23 (2001) 121-139.
Burniaux JM., J. Oliveira-Martins, “Is Kyoto flawed because of carbon leakages ? A General Equilibrium View”, mimeo, versione rivista, settembre 2002.
Burniaux JM., “International Trade and Investment Leakage Associated with Climate Change Mitigation”, Fourth Annual Conference on Global Economic Analysis, 2001 disponibile su www.gtap.agecon.purdue.edu .
McKibbin W., M.T. Ross, R.Shackleton and P.J. Wilcoxen, “Emissions trading, capital flows and the Kyoto Protocol”, IPCC Working Group III Expert Meeting, May 27-28, 1999 The Hague.
Springer K., “Climate Policy in a Globalizing World: A CGE Model with Capital Mobility and Trade”, Springer-Verlag, 2002, Berlin, Heidelberg.

 

(1) McKibbin e altri (19999, Babiker (2001). Springer (2002) sebbene sostenga ripetutamente che l’omissione della mobilità internazionale dei capitali dovrebbe portare a stime sbagliate del carbon leakage, dimostra che una piena mobilità dei capitali incrementa il tasso di fuoriuscita di circa un punto percentuale (da 18 a 19 per cento) rispetto a quanto accade con nessuna mobilità di capitali.

(2) Implicando un alto grado di complementarietà tra capitale e energia e bassa sostituzione tra combustibili.

(3) Vedi Burniaux e Oliveira Martins, 2002, per una rassegna delle stime econometriche del valore dell’elasticità dell’offerta di carbone

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