L’aumento della produzione e dei consumi di merci comporta la diminuzione delle risorse naturali disponibili e della loro qualità, a livello planetario e locale. Nonostante i dati statistici incerti, esiste una correlazione tra attività umane, modificazioni della composizione chimica dell’atmosfera e aumento della temperatura terrestre. Se non ripensiamo un intero modello di sviluppo economico, le calamità naturali e i loro costi sono destinati ad aumentare.

Emilio Gerelli solleva il problema se le attività antropiche (soprattutto il “consumo” di combustibili fossili) sono responsabili della modificazione del clima e, in particolare, di un lento continuo aumento della temperatura media terrestre. Gerelli risponde che i dati statistici meteorologici non consentono di affermare che tale aumento ci sia davvero.

Vorrei porre la domanda diversamente: le attività antropiche, cioè la crescita dei consumi merceologici (prodotti agricoli e forestali, prodotti industriali, costruzioni, mezzi di trasporto e di comunicazione) con le loro inevitabili conseguenti modificazioni della composizione chimica dell’atmosfera, delle acque e della superficie del suolo, comportano alterazioni dell’ambiente tali da compromettere le condizioni di vita della nostra generazione e di quelle future?
In questi termini, il confronto non è fra frazioni di grado Celsius, ma fra valori e diritti: il diritto di alcuni di avere più merci (è la posizione degli studiosi pro-crescita) e il diritto di altri di evitare frane, alluvioni, perdita di salute e della stessa vita (è la posizione degli “ambientalisti”, qualunque cosa questa parola possa significare a trent’anni di distanza dalla “primavera dell’ecologia” che aprì il dibattito sui limiti alla crescita).

I tanti “più” della crescita economica

L’aumento della produzione e dei consumi di merci comporta, inevitabilmente, la diminuzione delle risorse naturali disponibili e della loro qualità, sia a livello planetario sia a livello locale. A cominciare dall’agricoltura. Le pratiche che comportano una crescente produzione per ettaro richiedono un maggiore apporto di acqua e di concimi, quindi un crescente “consumo” di energia per tonnellata di grano o di zucchero o di carne, e una crescente protezione antiparassitaria. Comportano inoltre una modificazione della superficie del suolo rispetto al bilancio dell’energia solare e una modificazione chimica delle acque sotterranee.
E ancora: più edifici, più plastica, più acciaio, più autoveicoli, più telefoni cellulari e computer, significano più estrazione di argilla, sabbia, calcare, minerali di ferro, rame, oro, tantalio. Più produzione di gomma e plastica da petrolio e gas naturale, più richiesta di combustibili fossili e di elettricità, e vari altri “più”.

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Lasciamo da parte l’impoverimento delle riserve di petrolio e gas naturale, che può essere spostato avanti nel tempo con il controllo politico-militare dei paesi petroliferi e (forse) scavando pozzi più profondi. Lasciamo da parte i fermenti politici (spesso all’origine del “terrorismo”) dei popoli e gruppi poveri contro lo sfruttamento delle loro risorse.

Parliamo di acqua

Prendiamo il caso dell’acqua, la più “rinnovabile” delle risorse naturali, che ogni anno, in media, cade su una superficie di terreno e rievapora nella stessa quantità. Possiamo dire che sotto il ponte di Piacenza o di Pontelagoscuro ogni anno scorre la stessa acqua ? La stessa quantità, in media, probabilmente sì, ma la sua composizione chimica peggiora ogni anno per l’immissione, a monte, delle scorie delle crescenti attività agricole, industriali, edilizie. Inoltre, anche a parità di pioggia caduta, la distribuzione nei vari mesi, la velocità e la forza erosiva sono molto diverse: dipendono, per esempio, dalla copertura vegetale (che attenua l’energia di caduta) e dalla superficie coperta da asfalto e cemento (che accelera la velocità delle acque).
Effetto serra a parte, non c’è da meravigliarsi se le calamità “naturali” si fanno più frequenti. Guardate dove hanno costruito le strade, i villaggi e le fabbriche: nelle golene o sui pendii. Guardate quanti pochi soldi si investono nella manutenzione e la pulizia dei torrenti, rispetto a quelli investiti nell’acquisto di merci.

Un buongoverno potrebbe chiedere ai cittadini di accettare di spendere i soldi delle tasse nella manutenzione del territorio e nella regolazione del corso delle acque. Potrebbe imporre vincoli nella maniera di edificare strade e case e quartieri e villaggi turistici. Tutto questo, però, renderebbe disponibili meno soldi per i consumi e avrebbe effetti sulla qualità dell’occupazione: meno addetti nella plastica, nella meccanica, nell’edilizia, nei divanifici e nelle telecomunicazioni e più addetti al rimboschimento e alla difesa del suolo. Lo aveva fatto Roosevelt a suo tempo, ma oggi nessun Governo proporrebbe questo programma, mentre tutti accettano di spendere soldi pubblici per gli “stati di calamità”, ovvero per ricostruire strade e ponti e edifici nei luoghi in cui sono passate e passeranno ancora le acque delle alluvioni.

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Pensiamo all’atmosfera

L’atmosfera gioca, nel nostro pianeta, un ruolo ben più complesso di quello che può essere descritto con i rapporti fra “gas serra”, temperatura planetaria, cicli solari, mutamenti periodici della temperatura superficiale oceanica del tipo “El Niño” e gentile signora.
Lo scambio di calore fra superficie del suolo e atmosfera dipende da numerosi fattori, fra cui la copertura vegetale, la presenza di manufatti. Le azioni per evitare calamità “naturali” devono essere esercitate sia a livello locale sia a livello planetario. Può darsi che i modelli matematici non diano sicure informazioni sui mutamenti climatici dovuti all’effetto serra e che non sia l’aumento delle emissioni da tenere sotto controllo. Per quel poco di conoscenze che ho, sono convinto che esiste una correlazione fra consumi merceologici, modificazioni della composizione chimica dell’atmosfera e aumento della temperatura planetaria. Più in generale, fra aumento dei consumi merceologici e diminuzione della capacità ricettiva del pianeta, e di singoli suoi territori, per le scorie di tali consumi.
Però si tratta di interpretazione di dati statistici incerti per difendere o contestare un valore, la virtù della crescita merceologica, così difficile perfino da misurare in unità monetarie su cui ci sia accordo.

Effetto serra o no, allagamento o no di Venezia nel 2100, pur non essendo competente come Emilio Gerelli, sono certo che le calamità naturali e i relativi costi (monetari e umani e “ecologici”) aumenteranno quanto più intense e imprevidenti saranno l’occupazione del suolo, la presenza e l’intensità (chili di materia usati per persona per anno) delle attività antropiche: in una parola, la crescita dei consumi merceologici. E ciò nel Molise come nel Bangladesh, in Sicilia come in Cina, nel Friuli come nel Messico.

 

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