La risposta al bisogno di sicurezza dei cittadini continua a privilegiare la quantità sulla qualità. Numero di agenti e spesa in questo settore sono più che adeguati alle necessità italiane. Quello che manca, invece, è la volontà di affrontare i nodi che impediscono un loro utilizzo efficace ed efficiente. A cominciare da una chiara divisione di compiti tra le varie forze dell’ordine. E da stipendi che tengano conto della diversità dei compiti svolti.

Il Consiglio dei ministri del 4 settembre ha deciso di procedere per decreto alla assunzione di mille agenti, recuperandoli dalle graduatorie del concorso dello scorso anno. L’obiettivo dichiarato è avere più pattuglie nelle strade e combattere meglio l’immigrazione clandestina.

Il provvedimento è stato commentato positivamente dalla stampa e anche dall’opposizione. Si è parlato anche di una vittoria di Giuseppe Pisanu su Giulio Tremonti, poco incline ad aumentare la spesa in questo settore. Le poche voci discordanti avrebbero invece preferito più risorse per uffici, utilizzo di mezzi e attrezzature. Dobbiamo però riconoscere che Tremonti ha ragione a opporsi agli aumenti della già cospicua spesa.

Non è una questione di numeri

Che il problema della sicurezza in Italia non sia questione di numeri, si tratti di soldi o di personale, è dimostrato dal fatto che negli ultimi venti anni gli stanziamenti di bilancio sono aumentati in termini reali di oltre l’80 per cento, passando dai 7.200 milioni di euro del 1980 agli oltre 13mila milioni di quest’anno. E si tratta di una stima probabilmente per difetto, dal momento che i non facili calcoli coinvolgono almeno sei ministeri, con sovrapposizioni non solo nel caso delle due forze di polizia principali, ma anche delle altre forze direttamente o indirettamente coinvolte nella sicurezza interna (guardia di finanza, polizia penitenziaria, guardia costiera e corpo forestale).
Resta il fatto, comunque, che già nel 1995 questa spesa risultava pari all’1,28 per cento del Pil, superiore al rapporto di Germania (0,91 per cento), Regno Unito (0,86 per cento) e Francia (0,60 per cento).
Quanto al personale, nello stesso periodo l’aumento è stato superiore al 60 per cento. Cosicché, aggiungendo polizia municipale e polizie provinciali, le forze pubbliche oggi preposte al rispetto della legge in Italia ammontano a 400mila unità. Un numero che ci pone al primo posto tra i paesi europei in rapporto alla popolazione, come mostra un calcolo olandese del 1999:

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Nel gruppo di paesi che hanno un rapporto forze di polizia-popolazione superiore alla media europea, l’Italia precede Spagna, Francia e Grecia. Germania e Regno Unito hanno invece valori inferiori del 15 per cento alla media.
In conclusione, negli ultimi venti anni l’Italia ha adeguato il livello delle forze dell’ordine su un piano prettamente quantitativo, con un aumento della spesa che ha sostanzialmente seguito l’andamento della criminalità.
Tuttavia, a questo non è corrisposto un miglioramento della sicurezza collettiva. Un fatto che non stupisce, perché in nessun paese all’aumento delle forze di polizia segue automaticamente la diminuzione del crimine.
Nel frattempo, però, è nettamente migliorata la tecnologia di produzione di sicurezza (tecniche di controllo, informatizzazione, ecc.), perché allora insistere nell’aumento degli organici?

Dalla quantità alla qualità

La risposta alla richiesta di sicurezza dei cittadini è da cercare piuttosto nei miglioramenti di professionalità, nel proficuo impiego delle tecniche che rendono più produttivo il personale, in remunerazioni che tengano conto della diversità dei compiti svolti (a parità di grado e di anzianità, lo stipendio, inclusi gli straordinari, di un addetto alla mensa oggi è uguale a quello di un agente della squadra mobile). Ma soprattutto, in una chiara divisione di compiti tra le varie forze dell’ordine: il vero nodo della questione, che nessuna forza politica ha mai voluto affrontare seriamente.

Occorre favorire la vocazione specifica dei vari corpi, eliminando duplicazioni e sovrapposizioni. Il fatto che tutti tendono a occuparsi di tutto, con responsabilità che si intersecano sino a paralizzarsi, alimenta la dispersione delle risorse.
Il coordinamento delle varie forze dell’ordine, del resto, ha dimostrato i suoi limiti (la leggenda metropolitana vuole che il controllo elettronico nelle grandi città venga utilizzato anche per “controllarsi” a vicenda negli interventi).
Se non si procede in questo senso, permangono segnali sbagliati che portano a privilegiare la quantità delle singole forze, accentuando l’inefficienza dell’impegno pubblico totale.

Si potrebbe iniziare con i servizi negli stadi. Costano somme folli in termini di personale, straordinari e automezzi (anche nelle piccole città, spesso ancor più impegnative delle grandi). Questo tipo di sorveglianza potrebbe essere contrattato e fatto pagare ai privati, in questo caso le società di calcio.
E lo stesso discorso vale per i servizi prestati alle istituzioni pubbliche e agli stessi organi costituzionali. Chi si avvale di servizi ” senza costo” tende a chiederne più di quanto sarebbe efficiente: paradigmatico il carabiniere-motociclista utilizzato per il recapito della corrispondenza istituzionale. Ma così, ancora una volta, viene privilegiata la quantità e svilita la qualità dell’impegno del personale.

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