È stato rilanciato dal ministro Tremonti che invoca “spirito pratico” in tema di commercio internazionale. Ma gli effetti del protezionismo sono noti a tutti: si sussidia l’industria di una nazione e se ne tassano i consumatori. Invece, il nostro sistema industriale dovrebbe liberarsi dai sussidi e non cercarne di nuovi. Quanto alla competitività dei prodotti cinesi, non è dovuta ai bassi salari dei lavoratori, ma alla ricchissima cultura industriale che pervade il Paese asiatico.

Esattamente due secoli fa, in Inghilterra, la discussione sul protezionismo commerciale era accesa. Pensatori e uomini politici come David Ricardo mettevano in guardia il pubblico sul protezionismo dell’impero britannico. Poco prima, Adam Smith aveva scritto che il regime tariffario britannico, che non permetteva alle colonie di vendere liberamente i loro prodotti in Gran Bretagna, era non solo ingiusto, ma anche contrario al buon senso: comperiamo le cose da chi le produce al costo più basso e staremo tutti meglio.

Affidarsi allo spirito pratico non sempre conviene

In Italia, le idee del ministro del Tesoro e del leader della Lega Nord sono ricevute dai mezzi d’informazione non con spirito critico, ma con apparente curiosità. Svegliamoci! Poche cose sono certe come gli effetti del protezionismo: si sussidia l’industria nazionale e si tassano i consumatori nazionali. Il meccanismo funziona perché tipicamente la tassa, pro-capite, è bassa, e quindi facile da nascondere agli occhi del pubblico. È questo il momento di pensare ad altri sussidi? Non è ora che tutti gli industriali capiscano che strategie basate sugli aiuti pubblici sono perdenti?

Il ministro Giulio Tremonti sostiene che bisogna avere spirito pratico, e guardare a ciò che fanno gli Stati Uniti. Con questo ci ricorda l’esperienza di un altro uomo politico di grande spirito pratico, un uomo con una carriera industriale smagliante, ammirato per la sua grande abilità di comunicazione: il presidente americano Herbert Hoover. Anche Hoover permise l’introduzione di drastiche misure protezionistiche, basandosi sulla sua esperienza pratica. Quello che successe dopo, il ministro Tremonti lo sa bene. Ricordiamo che la spirale protezionistica globale provocata dall’iniziativa di Hoover gettò il mondo in una profonda depressione, seguita dalla seconda guerra mondiale.

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Dove nasce la competitività della Cina

Chi pensa che la competitività dei cinesi sia dovuta solo al fatto che i salari in quel Paese sono una frazione dei salari in Europa dimostra profonda ignoranza. Se così fosse, perché non siamo inondati da prodotti africani? La Cina è un Paese con una cultura ricchissima che si riflette in élites economiche e politiche assai sofisticate. È un Paese dove la conoscenza, la creatività e lo spirito imprenditoriale sono incoraggiate e ammirate, e raggiungono livelli superiori a quelli nel nostro Paese. È anche un Paese che sta attraversando una delicata fase di transizione, sia politica che economica. La strategia appropriata verso la Cina è quella che facilita la sua integrazione nella comunità globale. Una comunità faticosamente costruita dopo la seconda guerra mondiale sui principi di coesistenza pacifica e di libero scambio.

Tutti i rischi del protezionismo

Il protezionismo contro i prodotti cinesi è una politica obsoleta verso il nostro sistema industriale, che deve liberarsi di sussidi, e non averne di nuovi. È anche una politica ad altissimo rischio verso un gigante politico ed economico come la Cina, che deve al più presto integrarsi appieno con il resto del mondo. Maggiori scambi commerciali con la Cina arricchiranno gli altri Paesi non solo economicamente, ma anche culturalmente.

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