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Autostrade: tariffe e redditività

Da anni in estate la rete autostradale italiana è intasata da ingorghi e lunghe code. Tuttavia nelle proposte di revisione delle tariffe autostradali dell’Anas e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non si tiene conto della possibilità di variare il pedaggio per evitare il congestionamento delle autostrade.  L’autorità pubblica non dovrebbe limitarsi a stabilire massimali di prezzo, ma tenere conto dei costi e benefici sociali dell’utilizzo della rete.

Per la revisione delle tariffe autostradali sono state presentate due proposte: una, elaborata dall’ANAS e dal Ministero delle infrastrutture e trasporti (proposta 1) e l’altra elaborata dal Nars (proposta 2). Le differenze nella variazione annua delle tariffe per i prossimi anni sono davvero notevoli:

                        2003        2004       2005        2006       2007

proposta 1         -0,2         2,41         2,18         2,2          2,2

proposta 2         -3,63      -1,06       -1,32       -1,32       -1,32

Il grande divario tra le due proposte (circa il 20% su cinque anni) dimostra chiaramente che i criteri per la revisione delle tariffe previsti nella Convenzione del 1997 con la società Autostrade ed in particolare la formula per il “price cap” indicata nella delibera CIPE 319 sono tutt’altro che precisi. Il fatto che esista un’ampio margine di discrezionalità nell’applicazione del “price cap” è molto preoccupante perché significa che vi è un grave rischio di “rapporti incestuosi” tra politica ed impresa.

Col “price cap” si vorrebbe, almeno in teoria, incentivare l’efficienza del servizio mantenendo al contempo la redditività del gestore-monopolista entro limiti “ragionevoli”. Ma nel settore autostradale la produttività dipende essenzialmente dall’incremento del traffico, che è fuori dal controllo del concessionario, e la qualità del servizio è molto difficile da definire e quantificare. Per controllare la redditività partendo dalle tariffe è necessario tener conto di troppi fattori che inevitabilmente si prestano ad interpretazioni discrezionali, come dimostra l’impasse attuale e come si può desumere dalla generica ed indeterminata definizione del “fattore X” (tasso di produttività attesa) che, secondo la formula CIPE, dev’essere stabilito “in forma specifica per ogni singola impresa, tenendo conto di valutazioni relative ai seguenti aspetti: remunerazione congrua del capitale investito; progetti di investimenti futuri; modificazioni attese della produttività; variazioni attese della domanda”.

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Sembrerebbe invero preferibile, in questo settore, seguire il principio del “cost of service” piuttosto quello del “price cap”. Cioè variare le tariffe in modo da assicurare il tasso di rendimento convenuto con scostamenti in più o in meno collegati solo ai fattori effettivamente sotto il controllo del concessionario, come il costo di specifici servizi.

Mentre in Europa solo il 31% delle autostrade è a pagamento, in Italia l’86% della rete è gestita con pedaggi da concessionarie, e si sta pensando di “privatizzare” anche la rete dell’ANAS attualmente gratuita, oltre che la costruzione di nuove tratte. I pedaggi autostradali incidono notevolmente sul costo complessivo dei trasporti.

Se consideriamo la redditività del gruppo Autostrade (che gestisce il 61% della rete a pagamento), essa è cresciuta ben oltre quanto originariamente previsto nell’ambito della Convenzione, principalmente perché l’aumento del traffico è stato maggiore e gli investimenti sono stati molto minori. Dal 1997 al 2002 i ricavi da pedaggi sono aumentati del 25% in più di quanto originariamente previsto, il risultato corrente ante imposte è aumentato dal 20 al 43 % del fatturato, e il risultato netto dal 9 al 20 % del capitale netto. La redditività del gruppo ha raggiunto un livello tanto elevato da consentirgli di assorbire interamente l’indebitamento contratto nell’ambito dell’OPA con la quale l’azionista di controllo (Schema 28) ha potuto incrementare la sua quota dal 30 al 65% del capitale.

In questo periodo non è stato aggiunto nemmeno un chilometro in più alla rete autostradale oggi esistente. Il 92% della rete della Autostrade spa è stato completato negli anni settanta. In quel periodo, mentre si costruiva il sistema autostradale, le tariffe venivano determinate con l’obiettivo di assicurare il pareggio della gestione, con l’obbligo per le concessionarie di devolvere allo Stato quale canone di concessione gli introiti derivanti da pedaggi, dedotti le spese di esercizio, gli ammortamenti e l’assegnazione di dividendi non superiori all’8% del capitale sociale. Quanto più bassi sarebbero oggi i pedaggi, se si applicassero ancora quei criteri, o si fossero privatizzate le autostrade con modalità meno gravose per gli utenti!

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Vari studi indicano poi che sarebbe socialmente preferibile determinare le tariffe (auto)stradali avendo riguardo alle esternalità (di congestione, ambientali etc) piuttosto che al costo, di breve e lungo periodo, e alla redditività finanziaria del gestore di ciascuna tratta. Anche l’ANAS ha recentemente sollevato il problema dell’introduzione di tariffe orarie differenziate in funzione anticongestione, la cui gestione è resa oggi più facile grazie all’evoluzione della tecnologia . L’applicazione di tariffe commisurate ad esternalità deve essere necessariamente demandata ad un regolatore pubblico, che segua criteri di interesse sociale e non di profitto. Si potrebbero costituire delle Autorità regionali, cui demandare il compito di avvicinare i costi privati ai costi sociali delle varie modalità di trasporto. Nella misura in cui queste scelte vengono sottratte al concessionario, l’applicazione di formule automatiche del tipo “price cap” diviene pressoché impossibile; questo può divenire un’ulteriore motivo per spostare la regolamentazione del settore verso il principio del “cost of service”.

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  1. Alessandro T. - Livorno

    Molto interessante l’articolo, ma perché una volta tanto non se ne può concludere che in determinati servizi pubblici (come anche rientra l’uso delle infrastrutture stradali e autostradali), si debba rivendicare la prerogativa una gestione pubblica (nuova, dinamica ed aziendale quanto si vuole) ma vincolata a precisi obiettivi di carattere sociale ed ambientale che non possono in nessun modo scaturire dalla mera ricerca di redditività dell’impresa privata. Un conto sono le convenienze di mercato, un conto sono le convenienze pubbliche.

    Alessandro T.

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