La politica di razionalizzazione del personale scolastico del Ministro della Pubblica Istruzione Moratti porterà presumibilmente a una riduzione del numero di docenti per studente. Ma nessuno sembra tenere conto del fatto che questa scelta potrebbe avere costi sociali elevati dati i forti squilibri regionali presenti nel nostro Paese e il ruolo da noi giocato dal background familiare nel rendimento dell’istruzione

Si è discusso molto in primavera della riforma scolastica del ministro Moratti, ma forse non è stata altrettanto discussa la politica di razionalizzazione del personale, con la creazione dei docenti soprannumerari e delle cattedre di 18 ore. Tale politica porterà presumibilmente ad un aumento del numero di studenti per docente, in linea con quanto avviene nei paesi a noi vicini.

La situazione attuale

È noto infatti come il numero medio di studenti per docente sia particolarmente basso in Italia rispetto alla media OCSE. Se prendiamo ad esempio l’istruzione elementare, il dato medio nel 2000 era di 11 studenti per docente in Italia rispetto ai 17.7 nell’area OCSE. Nella scuola secondaria superiore, i valori corrispondenti sono 10.2 in Italia e 13.9 nell’OCSE. È anche bene ricordare come il rapporto studenti / docenti non sia sempre stato così basso nel nostro paese. Come illustrato dalla Figura 1, tale rapporto è diminuito in modo significativo per le generazioni di studenti nati tra il 1941 e il 1970, soprattutto nelle scuole di ordine inferiore.

Figura 1 – Dinamica del rapporto studenti/docenti per ordini di scuola – coorti nate tra il 1941 e il 1970

Allo stesso tempo, c’è stata sempre molta variabilità tra le regioni italiane, con un numero medio di studenti per docente decisamente più elevato al Sud e più basso al Centro. La Figura 2 illustra questa diversità per le scuole elementari e per tre coorti di studenti. Questo significa che ad un diritto all’istruzione per tutti formalmente sancito dalla Costituzione ha sempre fatto riscontro una diversità sostanziale di trattamento ricevuto. Ancora oggi circa l’1% degli studenti italiani frequenta la scuola in condizione di doppi turni, ma tale percentuale supera il 4% per la scuola elementare in Campania e arriva all’8% per la scuola superiore in Sardegna.

 Figura 2 – Distribuzione del rapporto studenti/docenti per coorte e macroregione – scuola elementare – Italia

 

 

1

Piemonte+Valle d’Aosta+Liguria

6

Umbria+Marche

2

Lombardia

7

Lazio+Abruzzi+Molise

3

Trentino+Veneto+Friuli

8

Campania

4

Emilia Romagna

9

Puglia+Basilicata+Calabria

5

Toscana

10

Sicilia+Sardegna

 

Al di là delle ragioni che possono contribuire a spiegare questo declino del numero di alunni per insegnante, cui hanno sicuramente contribuito sia il declino della natalità che la scelta di introdurre il secondo insegnante per classe nella scuola elementare, una domanda che dovrebbe interessare il Ministero dell’Istruzione è quanto abbia inciso questo declino nel numero di studenti per docente sulla performance del nostro sistema educativo. Solo in questo modo è possibile valutare in modo equilibrato se i benefici abbiano o meno superato i costi, e decidere quindi se occorra procedere ad un aumento del numero di studenti per docente. Per quanto sorprendente, negli interventi del ministero e nel dibattito sui giornali che ne è seguito non siamo riusciti a trovare una sola analisi che ci aiutasse a rispondere a questa domanda.

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Uno studio recente

Pensiamo quindi che sia utile riportare alcuni dati contenuti in una pubblicazione recente della Banca d’Italia (per saperne di più: Banca d’Italia, L’efficienza dei servizi pubblici, Roma, 2003, ed in particolare il nostro capitolo con Simona Comi su “Qualità delle formazione scolastica, scelte formative ed esiti sul mercato del lavoro). Poiché in Italia la valutazione della performance delle scuole sembra essere un optional piuttosto che un momento fondamentale delle vita scolastica (a tutt’oggi partecipano alla valutazione solo le scuole che chiedono di essere valutate), non esistono fonti affidabili sulla performance relativa degli studenti. Siamo quindi costretti a utilizzare misure indirette, quali il livello di istruzione raggiunto nella popolazione. Usando i dati dell’indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia, troviamo come il numero di anni di istruzione completati dagli individui nati tra il 1941 e il 1970 sia aumentato in media di circa 3 anni. Le nostre stime mostrano che circa il 17% di tale aumento può essere attribuito alla riduzione del numero di studenti per docente. Si tratta di un effetto importante, ma decisamente inferiore all’effetto esercitato dal miglioramento del livello di istruzione dei genitori nelle famiglie di provenienza: tale miglioramento spiega infatti circa un terzo dell’incremento osservato negli anni di istruzione dei figli.

Oltre agli effetti sul livello di istruzione raggiunto, un minor numero di studenti per docente ha avuto un effetto anche sul rendimento economico dell’istruzione conseguita, misurato dall’incremento delle retribuzioni dopo il completamento del ciclo scolastico. Abbiamo calcolato che la riduzione di circa il 42.6% nel numero di studenti per docente avvenuta tra la fine della guerra e i primi anni ottanta abbia generato un incremento di cerca il 4.6% nel rendimento di un anno aggiuntivo di istruzione.

L’effetto di una riduzione del numero di studenti per docente non è stata tuttavia eguale in tutta la penisola. Il suo effetto benefico è stato anzi più forte (circa un quarto del totale) nelle regioni meridionali, che scontavano condizioni di partenza peggiori. Poiché il background familiare ha avuto (ed ha tuttora) nel nostro paese un ruolo rilevante nella determinazione degli esiti formativi, la riduzione del numero di studenti per docente in questo contesto ha agito come fattore di compensazione, riducendo l’impatto negativo sul livello di istruzione di un background familiare poco favorevole.

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Costi e benefici

Naturalmente, un elevato numero di docenti comporta sia costi che benefici. In termini di costi, il bilancio pubblico deve sostenere una maggiore spesa, a parità di retribuzioni, per fornire istruzione ad una data popolazione di studenti. In termini di benefici, abbiamo appena visto come una maggiore qualità dell’istruzione, a parità di quantità, migliori la produttività media (ovvero allunghi la carriera scolastica degli studenti) e migliori il rendimento economico dell’istruzione stessa nel mercato del lavoro. Una politica ottimale dal punto di vista economico dovrebbe cercare di determinare il numero di studenti per docente che eguagli, al margine, i costi e i benefici. Naturalmente, nulla ci assicura che tale numero sia lo stesso per ciascun livello di istruzione. Non dimentichiamo, infatti, che l’Italia ha il più basso rapporto studenti/docenti fino alla scuola secondaria, ma registra un valore doppio degli altri paesi quando si considera l’istruzione post-secondaria ed universitaria.

Non è chiaro se la politica di ridimensionamento del numero degli insegnati che l’attuale governo sembra voler perseguire sia ispirata solo da esigenze di bilancio pubblico o se invece si tengano in considerazione non solo i costi ma anche i benefici associati ad un elevato numero di docenti per studente. Il paragone internazionale è utile, ma non è affatto ovvio che il numero di studenti per docenti debba essere eguale a quello di altri paesi OCSE. Può essere, infatti, opportuno mantenere un più basso numero di studenti per docente laddove esistano ancora forti disparità regionali e vi sia un peso notevole del background familiare nella performance del sistema educativo, come avviene nel nostro paese. In sostanza, il dibattito relativo alle politiche governative dovrebbe essere maggiormente informato delle ragioni che inducono alle scelte e delle conseguenze attese, non solo sulle generazioni correnti ma anche su quelle future, perché gli studenti di oggi saranno i genitori di domani.

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