I ragazzi italiani vivono in famiglia più a lungo dei loro coetanei europei perché non hanno la sicurezza del posto di lavoro. Colpa di un sistema che protegge i lavoratori più anziani, facendo ricadere sui più giovani tutto lonere della flessibilità. Mantenere il generoso sistema pensionistico per permettere ai padri di mantenere figli trentenni è una soluzione sbagliata e costosa. Vanno invece rimosse le rigidità del mercato del lavoro. I figli italiani, si sa, sono attaccati alla mamma. Infatti, secondo dati della Comunità europea (per il 1995) il 56 per cento degli italiani in età compresa tra i 25 ed i 29 anni vive ancora con i propri genitori, contro il 21 per cento dei tedeschi e il 5 per cento degli svedesi. Solo gli spagnoli, con il 60 per cento, fanno meglio. Perché i ragazzi italiani vivono con i genitori Questo fenomeno è stato recentemente evidenziato da Eugenio Scalfari su “la Repubblica” per asserire che le pensioni sono in realtà a favore dei giovani, poiché in molti casi aumentano il reddito dell’unità familiare in cui vivono e da cui traggono sostegno economico. Ha dunque ragione Scalfari: le pensioni proteggono i nostri giovani più bisognosi, i non emancipati? Ma anche i generosi benefici pensionistici hanno un costo: l’elevata aliquota contributiva necessaria a finanziare la spesa pensionistica aumenta il costo del lavoro e riduce la domanda di occupati da parte delle imprese, in special modo di lavoratori giovani e con scarsa esperienza. Pensioni e emancipazione dei giovani A differenza di quanto sostiene Scalfari, dunque, rigidità del mercato del lavoro e generosità delle pensioni rischiano di creare una spirale negativa che si traduce in incertezza, disoccupazione e mancata emancipazione per i più giovani. Inoltre, la famiglia come ammortizzatore sociale introduce ulteriori distorsioni nel sistema economico, specialmente in un Paese con forti divari territoriali come il nostro. Infatti, i figli che vivono in famiglie in cui qualcuno riceve una pensione, hanno una minore propensione alla mobilità territoriale, rinunciando quindi a opportunità di impiego che li costringano a lasciare le mura familiari. Evidentemente la risposta non può essere un inasprimento delle cause che hanno prodotto tali fenomeni. Per aiutare i nostri figli a trovare il loro cammino, non dobbiamo dare una pensione ai padri che consenta di mantenere i figli, bensì rimuovere quei fattori, quali la rigidità e l’elevato costo del lavoro, che ritardano il loro inserimento nel mercato del lavoro. Per saperne di più Becker, S., Bentolila S., Fernandes, A. e Ichino, A. (2002) “Job Insecurity and Children’s Emancipation: the Italian Puzzle”, http://www.iue.it/Personal/Ichino/daddy11.pdf Boeri, T. e Perotti, R. (2002) Meno Pensioni, Più Welfare, Il Mulino. Brugiavini, A. Conde-Ruiz e Galasso, V. (2003) “Social Security, Private Transfers and Voting Behaviour: the Italian case”
In effetti, un recente studio mostra che i giovani non emancipati, ovvero coloro che vivono ancora con i propri genitori, sono meno favorevoli a una riforma che riduca i benefici pensionistici di quanto lo siano i loro coetanei emancipati. Tale riforma ridurrebbe il peso del sistema pensionistico sui giovani lavoratori, ma diminuirebbe anche i benefici pensionistici e dunque i redditi nelle unità familiari dei giovani non emancipati.
Non esattamente. In primo luogo è utile chiedersi perché i nostri figli siano così legati alla casa dei genitori. Secondo uno studio condotto da Becker, Bentolila, Fernandes e Ichino, ciò che spinge i giovani italiani a vivere con i genitori è l’insicurezza del proprio posto di lavoro, o addirittura la condizione di disoccupazione, a cui fa fronte la sicurezza del lavoro dei genitori. Eventuali redditi pensionistici nel nucleo familiare aumentano poi le risorse familiari complessive aiutando i genitori a sostenere i figli non emancipati.
La scarsa emancipazione dei nostri figli è da attribuire dunque alla rigidità del nostro mercato del lavoro che produce una dicotomia tra i lavoratori che hanno maturato una lunga esperienza e sono protetti dalla legislazione sul mercato del lavoro (gli insiders) e i giovani, spesso occupati in lavori temporanei, su cui ricade l’intero onere della flessibilità.
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