Ridurre della metà il numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà entro il 2015: È uno dei punti dei Millennium Development Goals. Difficile raggiungerlo, soprattutto se i Paesi ricchi continueranno a “proteggere” i loro mercati, mentre i più poveri eliminano ogni barriera tariffaria. E per una “globalizzazione non selvaggia” sono necessarie anche regole su mercati finanziari e investimenti di lungo periodo.

Non è bastata la buona volontà di Jacques Chirac di mettere in agenda la discussione sui problemi della povertà e dell’instabilità a livello globale all’ultimo vertice G8 di Evian. Gli argomenti che più stavano a cuore ai presidenti dei vari Paesi in via di sviluppo (aumento degli aiuti, cancellazione del debito estero, riduzione di barriere commerciali nei Paesi sviluppati) sono passati in secondo piano rispetto alla necessità di ricucire gli strappi diplomatici Usa-Francia sulla guerra in Iraq. Olosegun Obasanjo, il presidente nigeriano, ha commentato che gli accordi raggiunti e gli impegni presi sui temi più importanti, particolarmente per i Paesi africani, sono “too little, too late”.

I Millennium Development Goals

Il punto è che la comunità internazionale si è impegnata a rispettare i Millennium Development Goals (Mdgs), obiettivi multi-settoriali che prevedono tra l’altro la riduzione della metà del numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà a livello mondiale entro il 2015. Recenti studi mostrano che in pochissimi casi ciò sarà possibile, principalmente nei Paesi dell’Africa sub-sahariana. La mancanza di risorse sufficienti è una delle cause più citate (affatto sorprendentemente) dai rappresentanti dei paesi poveri. Di conseguenza le richieste rivolte al G8 riguardano varie possibilità di aumentare le risorse disponibili per fare fronte alla sfida posta dal raggiungimento dei Mdgs. 
In particolare, anche per le pressioni delle grandi Ong internazionali (Oxfam, in prima linea), sta prendendo quota l’idea che la maniera migliore per generare le risorse necessarie alla riduzione della povertà nei Paesi in via di sviluppo sia semplicemente quella di garantirgli un accesso adeguato ai mercati internazionali, in particolare ai mercati dei Paesi ricchi, fino a oggi altamente protetti. L’argomentazione non fa una grinza: dall’instaurazione dell’agenda economica neo-liberista come motore della crescita e della globalizzazione, moltissimi Paesi poveri, che seguono programmi di aggiustamento strutturale finanziati da Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale, hanno ridotto o eliminato le barriere esistenti al commercio internazionale, aprendo le loro frontiere al passaggio di beni e capitali provenienti dall’estero, spesso da Paesi ricchi. Al contrario, in molti Paesi ricchi queste barriere esistono ancora, principalmente in settori la cui apertura potrebbe maggiormente beneficiare quelli più poveri attraverso un aumento delle esportazioni, come agricoltura e tessile.

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Politiche incongruenti

Oxfam stima che i Paesi poveri stiano perdendo circa 100 miliardi di dollari all’anno grazie al sistema vigente di protezionismo nelle nazioni sviluppate, ovvero il doppio di quanto ricevono sotto forma di aiuti. Quando un Paese povero entra nel mercato globale per commerciare con un Paese ricco, in media si trova davanti a tariffe quattro volte più alte di quelle che trova un altro Paese ricco. L’incongruenza di queste politiche, sussidi al settore agricolo in primo luogo, ha portato anche la Banca Mondiale a riconoscere che il prossimo round di negoziazioni sotto l’egida del Wto dovrà affrontare questo tema, se vorrà rimanere fedele al suo nome di “Development Round” nel riformare il sistema di regole del commercio internazionale in favore dei paesi poveri. Il summit di Evian, in questo senso, è stato un chiaro fallimento. Nella dichiarazione finale non si fa nemmeno menzione del problema della riduzione dei sussidi agricoli.
La vera partita per una “globalizzazione non selvaggia” si giocherà innanzitutto sul campo delle politiche commerciali, e in secondo luogo su quello dei movimenti di capitale, sia quelli di breve periodo sui mercati finanziari, sia quelli di lungo, legati a progetti d’investimento che possono aumentare le capacità produttive e di creazione di impiego delle economie dei Paesi poveri.
La regolazione dei flussi finanziari speculativi di breve periodo, la cui volatilità ha creato enormi problemi nel Sud-Est Asiatico e in Argentina, per esempio, sarà una delle chiavi per ridurre la vulnerabilità delle loro economie a crisi e shocks internazionali. Ma anche le regole su indotto locale, gestione ambientale e diritti dei lavoratori imposte a investitori stranieri che promuovono attività produttive in Paesi poveri, saranno determinanti per decidere quale sarà l’impatto della globalizzazione sui livelli di povertà.

Per saperne di più

http://www.worldbank.org/trade
http://www.maketradefair.com/
http://www.undp.org/mdg/
http://www.nepad.org/

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