Una rassegna della stampa estera incentrata sull’Unione Europea (dal 12 al 22 maggio 2003), per meglio orientarsi in previsione del semestre italiano della UE.

FOREIGN PRESS DIGEST

Notizie dalla stampa estera

La BCE, il sistema finanziario e i problemi dell’Europa

Alcune delle difficoltà riscontrate dalle economie del vecchio continente possono essere ricondotte alle seguenti peculiarità:

· Un tasso di interesse unico per l’intera area Euro, che non può essere adatto a rispondere ai bisogni di crescita e stabilità monetaria dei singoli Stati, le cui economie non hanno ancora raggiunto un adeguato livello di convergenza.

· La forte dipendenza delle imprese europee dai prestiti bancari (il 90% del totale delle forme di finanziamento), contrariamente agli USA dove è molto più diffuso il ricorso al mercato delle obbligazioni. Questa situazione non è economicamente stimolante per il Vecchio Continente, perché le banche sono ritenute meno “esigenti” degli investitori privati e quindi le aziende si sentono meno vincolate a migliorare i propri bilanci.

· L’eccessiva enfasi posta dalla BCE sulla stabilità dei prezzi e sul rispetto dei vincoli di Maastricht, che lega le mani a politiche monetarie e fiscali più espansionistiche, perseguite invece oltreoceano.

· L’organo decisionale della Banca Centrale Europea, composto da ben 18 membri, per cui è più probabile decidere di non fare piuttosto che agire.

Da “The Outlook”, Wall Street Journal Europe, 19 maggio 2003, pag.A2

Le aziende europee e la scusa dell’euro forte

Nel Vecchio Continente imprese come Thales SA (difesa), Software AG (information technology), Volkswagen AG (automobili), Beiersdorf AG e Henkel AG (largo consumo) hanno già indicato nel rialzo delle quotazioni dell’euro un motivo determinante del calo di vendite e profitti registrato nel primo trimestre dell’anno. Ma gli investitori non devono farsi ingannare: la gestione dei rischi delle oscillazioni valutarie è uno dei compiti delle aziende, che poi tendono a prendere in considerazione l’effetto cambio come scusa nei momenti difficili, ma non come motivo positivo nei periodi favorevoli (vale a dire durante svalutazioni della moneta nazionale). La morale è: la colpa non sta nella flessibilità dei cambi, ma nell’incapacità del management di gestire i relativi rischi e di dare al mercato la corretta informativa a riguardo.

Da “Firms are quick to blame woes on currencies”, Wall Street Journal Europe, 20 maggio 2003, pag.M1

I Quindici aprono il mercato dei fondi pensione privati

E’ stata approvata la legge che permette ai fondi pensione privati, nel rispetto di un insieme di regole valide per tutta l’UE, di vendere i loro prodotti alle imprese (ma non ai privati cittadini) in ogni Stato dell’Unione. In concreto una multinazionale potrà quindi utilizzare un solo fondo pensione invece di quindici (uno per ogni singolo Stato), risparmiando grazie alla riduzione dei costi fissi. I fondi pensione privati coprono già un quarto della popolazione europea attiva e gestiscono circa 2.500 miliardi di euro, pari al 30% del Pil dell’Unione. La nuova legge ne promuoverà un nuovo sviluppo, alleggerendo quindi l’importanza e il peso relativo della previdenza pubblica, come dimostrano il caso britannico e quello irlandese, che presentano un maggiore ricorso alla capitalizzazione privata e una minore incidenza dei costi pensionistici statali sul Pil.

Da “Les Quinze ouvrent le marché des fonds de pension privés”, Le Monde, 15 maggio 2003, pag.5

La questione pensioni, una bomba ad orologeria

456 miliardi di euro all’anno in ulteriori risparmi: ecco di che cosa ha bisogno l’Unione Europea per preservare in futuro l’attuale livello di erogazioni pensionistiche, secondo uno studio congiunto di diverse aziende operanti nel settore finanziario. Ragionando in termini percentuali, l’incidenza dei costi previdenziali sul Pil per i paesi UE potrebbe passare dal 10% dei nostri giorni al 14% nel 2040 (fonte: Commissione Europea). Con la speranza di vita media in aumento e l’incipiente invecchiamento della generazione dei “baby-boomers”, l’andamento demografico è uno dei punti essenziali del problema; infatti, si stima che nel 2050 più della metà dei cittadini UE avranno un’età superiore ai 65 anni.

La soluzione? Secondo Aviva (il principale assicuratore britannico) Bruxelles dovrebbe incoraggiare il ricorso al risparmio privato e aumentare la concorrenza nei prodotti finanziari tra i diversi stati dell’Unione. Questo gioverebbe sicuramente ai fondi d’oltremanica, sicuramente più maturi e consolidati rispetto ai concorrenti continentali.

Da “How much will it take to defuse the time bomb?”, Financial Times – Special Report on Pension Fund Management, 21 maggio 2003, pag.2

Il nuovo protezionismo europeo

Le barriere commerciali non si manifestano più solo con dazi alle importazioni, bensì anche tramite il principio della tutela dei consumatori. E’ infatti con questa idea che l’Unione Europea ha sostanzialmente chiuso i propri mercati ai prodotti contenenti organismi geneticamente modificati (OGM), anche se il motivo di base potrebbe essere più “populistico” che scientifico. Le ricadute internazionali sono state le lamentele ufficiali presentate all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) da dodici paesi del Terzo Mondo (che trovano eccessivamente costose le procedure di registrazione delle sostanze chimiche da esportare nell’Unione) e dagli Stati Uniti, grandi produttori di beni a base di OGM. L’Organizzazione Mondiale del Commercio, tuttavia, si occupa principalmente di abolizione dei dazi, mentre le questioni regolatorie di carattere ambientale o sanitario possono essere risolte più efficacemente con trattative dirette tra le parti interessate (soprattutto nel caso USA-UE), senza quindi sovraccaricare l’OMC di compiti per i quali non è pronta e che, nel caso di insuccesso nel risolvere la disputa, potrebbero minarne la credibilità.

Da “Auf die sanfte Tour”, Handelsblatt, 12 maggio 2003, pag.9 e “The transatlantic collision”, Financial Times, 14 maggio 2003, pag.14

IVA più bassa, una lezione francese per la Germania

Nel 1999 Parigi ha ridotto dal 20,6% al 5,5% l’imposta sul valore aggiunto di alcuni servizi ad alta intensità di fattore lavoro. Secondo fonti francesi la riduzione dell’imposta ha comportato nel settore dell’edilizia un incremento dei fatturati di più di un miliardo di euro e la creazione di circa 43.000 nuovi impieghi, un terzo dei quali come regolarizzazione di posizioni di lavoro nero. Se la Germania prendesse esempio dai vicini “d’oltre Reno”, ipotizzando la creazione dello stesso numero di nuovi posti di lavoro, l’economia nazionale vedrebbe nuovi salari per circa un miliardo di euro e quindi nuove entrate statali (imposte e contributi sociali) per 500 milioni di euro, più che compensando la perdita erariale dovuta all’abbassamento delle aliquote IVA.

Da “Mit niedrigeren Steuern die Wirtschaft ankurbeln”, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 13 maggio 2003, pag.19

Per una migliore gestione aziendale

Frits Bolkestein, commissario europeo per il mercato interno, ha presentato ieri il suo programma per portare più chiarezza nella cosiddetta “corporate governance”, termine anglosassone che significa politiche di gestione aziendale. Le priorità del progetto includono un ampliamento dell’informativa fornita dalle imprese e un rafforzamento della funzione di controllo da parte dei revisori (auditor), con l’ulteriore obiettivo di allontanare la minaccia venuta dall’altra parte dell’Atlantico di sottoporre gli auditor europei al controllo delle autorità USA. L’azione di Bolkenstein segue in ogni caso a singoli provvedimenti già adottati dagli Stati dell’Unione per far fronte al problema: in Spagna, Germania, Italia e Francia sono stati introdotti o aggiornati dei codici di “corporate governance” per le società quotate in Borsa, mentre il Regno Unito ha rafforzato i diritti decisionali degli azionisti sui compensi agli amministratori.

Da “Letting light into corporate Europe”, Financial Times, 22 maggio 2003, pag.12

 

 

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