Il Web Index esprime il grado di sviluppo di Internet e i sui riflessi sull’economia e sulla vita politica e sociale di un campione di sessanta paesi sviluppati e in via di sviluppo: l’Italia è al ventitreesimo posto. Una classifica certamente poco lusinghiera, che peggiora se l’indicatore è messo in relazione con il Pil pro-capite. Ma buona parte della modesta crescita italiana si basa sulle esportazioni. Dunque è cruciale per le nostre aziende utilizzare un canale di vendita come il web. Tanto più se la tecnologia avanza inesorabilmente.

All’epoca dell’insediamento, il governo Monti aveva inserito l’agenda digitale tra le sue priorità, assegnandole un ruolo importante. Si avvicina la scadenza della legislatura, ma il varo del cosiddetto decreto Digitalia, che dovrebbe istituire una cabina di regia volta ad attuare l’agenda nel rispetto dei dettami della Commissione europea e dell’Agcom, tarda ad arrivare.

LA MISURA DEI NOSTRI RITARDI

Nel frattempo, i ritardi che stiamo accumulando rispetto alle altre potenze economiche mondiali si fanno via via più ampi. Nel recente rapporto diffuso dalla World Wide Web Foundation, in cui è elaborato il Web Index che esprime sinteticamente il grado di sviluppo del web e i sui riflessi sull’economia e sulla vita politica e sociale di un campione di sessanta paesi sviluppati e in via di sviluppo, emerge come il nostro paese si attesti alventitreesimo posto, contro la quattordicesima posizione della Francia, sedicesima della Germania e diciottesima della Spagna (grafico 1). L’Italia è il penultimo tra i paesi del continente europeo considerati (la Russia si attesta al trentunesimo posto); paesi come il Cile, il Qatar e il Messico ci precedono in questa graduatoria.

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LA RILEVANZA ECONOMICA DEL WEB

Scendendo nel dettaglio delle componenti del Web Index, è utile considerare l’indicatore che sintetizza i riflessi economici del web. (1)
Rispetto a questo indice che riassume la rilevanza del web per l’economia, la posizione dell’Italia è ancora più arretrata: trentottesimo posto. Se lo si mette in relazione con il Pil pro-capite si osserva che nel nostro paese il web ha un impatto economico più equiparabile a quello dei paesi in via di sviluppo piuttosto che a quello dei paesi avanzati (grafico 2). Si può inoltre rilevare come tra il reddito pro-capite e l’indice di impatto economico del web vi sia una relazione positiva (correlazione dell’80 per cento) sia nei paesi avanzati che soprattutto in quelli in via di sviluppo.

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Per un paese come l’Italia, che basa una buona parte della sua modesta crescita sulle esportazioni, agganciare le altre principali economie nell’utilizzo di un fondamentale canale di vendita quale è il web non è più procrastinabile. Il ritardo è imputabile, oltre che a fattori legati agli scarsi investimenti pubblici e privati nelle infrastrutture tecnologiche, quali la banda larga, anche al problema culturale di riuscire a far comprendere ai piccoli imprenditori italiani quanto sia importante, se non vitale, avere una vetrina virtuale che si affacci sul mondo intero.
Si pensi che oggi la presenza del sito web aziendale è data per scontata dagli utenti (potenziali clienti) e questo si traduce in: “se non hai un sito web vuol dire che non esisti”. Per gli utenti trovare – e quindi acquistare – un prodotto online sta diventando la norma.
Ma la tecnologia avanza inesorabilmente e mentre in Italia si parla ancora di aziende che devono investire nell’e-commerce (e l’ipotizzato contributo di mille euro appare piuttosto esiguo), in altri paesi che ne hanno compreso da tempo l’importanza si parla ormai di mobile commerce, o m-commerce. Come riportato nella Relazione annuale dell’Agcom aumenta notevolmente l’accesso al web tramite mobile, tablet e smartphone, dispositivi mobili sui quali visualizzare correttamente i vecchi e obsoleti siti web “classe 2000” è pressoché impossibile.
(1) 
L’indice di impatto economico è ottenuto ponderando i dati circa la diffusione sul web, da parte degli uffici pubblici, di informazioni utili per l’attività imprenditoriale, il livello di sviluppo dell’e-commerce e il grado di fiducia dei consumatori e delle imprese rispetto agli acquisti e alle vendite online.

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