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Pa: la missione impossibile del taglio immediato

Il Governo vuole ottenere 2,1 miliardi da tagli immediati ai contratti per l’acquisto di beni e servizi stipulati dalla pubblica amministrazione. Benché non nuova, l’idea di creare un sistema di prezzi di riferimento può essere valida per avere risparmi futuri. Ma non è realizzabile subito.

STRADA GIUSTA, MA PER IL FUTURO

Il risparmio di 2,1 miliardi nel 2014 che si dovrebbe ottenere dal taglio ai costi dei contratti per acquisire beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni rappresenta uno dei punti più critici del decreto legge sulla spending review, meglio noto come “decreto degli 80 euro”.
Il Governo ha indicato una strada in linea di principio corretta: creare un sistema di prezzi “standard”, basato su due strumenti.
Il primo strumento è rappresentato dalle “centrali di committenza”, cioè soggetti come Consip che svolgano le gare al posto delle amministrazioni appaltanti, in modo da stipulare contratti generali con gli appaltatori, ai quali le amministrazioni possano aderire mediante convenzioni. In questo modo, si ottiene il beneficio di un prezziario unico su vasta scala territoriale (che può anche essere regionale, ove operino le centrali di committenza regionali) e un sistema di prezzi di riferimento.
Il secondo strumento è quello della creazione di “prezzi di riferimento”, frutto dell’attività dei soggetti “aggregatori” (sostanzialmente le centrali di committenza autorizzate dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici), i quali fissano i criteri per indicare i prezzi sopra i quali non sarà possibile andare, per beni e categorie di servizi specifici.
È un sistema complesso, ma utile per indurre le amministrazioni a contrattare su basi certe e conoscibili, evitando le bande di oscillazione elevatissime che oggi si ritrovano nei prezzi unitari delle prestazioni contrattuali.

COME TAGLIARE I CONTRATTI DEL 5 PER CENTO

Il problema deriva dalla circostanza che occorre tempo per giungere al risultato di una standardizzazione dei prezzi che consenta di ridurre i costi e il sistema delineato vale, ovviamente, per il futuro. (1) Mentre, il Governo vuole arrivare subito a un taglio della spesa di 2,1 miliardi.
Per ottenerlo, si punta a una riduzione del 5 per cento degli importi dei contratti già in essere. Il decreto “autorizza” infatti le amministrazioni a inviare agli appaltatori una comunicazione per avvalersi di questa facoltà. Che peraltro farebbe scattare, entro i successivi trenta giorni, il diritto degli appaltatori di recedere dai contratti, aprendo vuoti gestionali. Certo, per conseguire risparmi immediati, l’unica strada possibile appare quella della riduzione degli importi contrattuali. Ma l’impronta dirigista o, comunque, poco rispettosa dell’autonomia contrattuale, dei principi di buona fede e correttezza e della continuità gestionale, appare evidente.
Il decreto suggerisce di colmare i possibili vuoti gestionali derivanti da eventuali recessi dei contraenti privati, con l’adesione alle convenzioni Consip. Non tiene conto però del fatto che ancora oggi le convenzioni riguardano poche categorie di beni e quasi nessuna di servizi.
L’altra alternativa suggerita è utilizzare procedure negoziate (una volta si chiamavano trattative private), nelle more dell’indizione delle nuove gare d’appalto. Insomma, si metterebbe in moto un oceanico meccanismo di ricorso ad affidamenti sostanzialmente diretti, approfondendo il vizio di fondo che tutti gli studi in merito alla contrattualistica pubblica confermano: l’utilizzo eccessivo delle procedure negoziate da parte delle pubbliche amministrazioni.
La strada proposta dal Governo presenta anche altri inconvenienti. Sembra suggerire un taglio “trasversale” del 5 per cento per tutti i contratti di beni e servizi. E dunque c’è da chiedersi se, per esempio, debba coinvolgere anche gli appalti dei servizi sociali, nessuna tipologia dei quali è presente nelle convenzioni della Consip, e che certo non dovrebbero essere esposti al rischio di brusche interruzioni.
Vi sono, poi, alcune categorie di appalti già orientati verso i prezzi standard. Moltissime Regioni, per esempio, hanno adottato costi standard per i servizi di formazione e accompagnamento al lavoro. Come potrebbe essere giustificabile la riduzione del 5 per cento di un prezzo fissato come standard da un’autorità pubblica?
E si deve anche tenere conto della norma recentemente reintrodotta che impedisce di incidere sul costo del lavoro. È evidente che una riduzione dei prezzi del 5 per cento potrebbe, per alcune tipologie di servizi ad altissima incidenza di manodopera (si pensi agli appalti di pulizie), rischia di erodere proprio la parte dei prezzi unitari intoccabile, perché posta a salvaguardare il trattamento salariale dei dipendenti dell’appaltatore.
Il sistema escogitato dal decreto può essere valido per il futuro, a patto che dopo decenni si riesca davvero a determinare i prezzi standard e, soprattutto, si riesca a introdurre i controlli esterni preventivi sugli atti di gara (quelli attribuiti dal decreto all’Authority sui contratti appaiono inidonei).
La capacità di incidere immediatamente sulla spesa, riducendola fin da ora di 2,1 miliardi appare, invece, molto difficile da realizzare.

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(1) L’idea dei prezzi di riferimento non è affatto nuova. Era già stata prevista dall’articolo 6, comma 2, della legge 537/1993 (e sono passati ventuno anni): “Il ministero del Tesoro – Provveditorato generale dello Stato e le altre pubbliche amministrazioni che abitualmente provvedono all’esecuzione dei contratti per l’acquisto di beni e servizi redigono e tengono aggiornati elenchi dei prezzi pagati. I dati relativi sono trasmessi al ministero del Bilancio e della programmazione economica che, avvalendosi dell’Istituto di studi per la programmazione economica (Ispe), degli altri istituti facenti parte del sistema statistico nazionale e del centro di elaborazione dati presso l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, provvede alla comparazione dei prezzi pagati dalle pubbliche amministrazioni e alla pubblicazione trimestrale dei prezzi di riferimento con particolare riguardo alla fornitura di grandi quantità di beni e servizi. Con regolamento da emanare entro 40 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i ministri del Bilancio e della programmazione economica, del Tesoro e per la funzione pubblica stabiliscono responsabilità, tempi, obblighi, criteri e procedure per la rilevazione e la comparazione dei prezzi”. Anche l’idea dell’aggregazione delle amministrazioni non è per nulla originale. Era stata prevista sempre dalla stessa legge e dal medesimo articolo 6, ma al comma 10: “Gli enti di cui alla legge 8-6-1990, n. 142 (si tratta degli enti locali, nda), e successive modificazioni, ai sensi dell’art. 24 della legge stessa, nonché altri enti pubblici appartenenti a categorie omogenee, ai sensi dell’art. 15 della legge 7-8-1990, n. 241, possono costituire uffici unici per l’espletamento delle procedure di acquisto di beni e servizi allo scopo di ottenere condizioni contrattuali più favorevoli e una economia procedimentale”.

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  1. IC

    Peccato che se ne parli da anni. Vi era quindi tutto il tempo per razionalizzare gli acquisti. Questa è la scusa tipica quando non si vuole fare qualcosa. Iniziamo comunque ora senza ulteriori indugi.

  2. Piero Thor

    E non tiene conto che anche la Consip è un magna magna. Per sperare di ridurre il costo degli acquisti.. servirebbe una durissima legge anti-corruzione che né i politici né gli imprenditori (cioè coloro che comandano) vorranno mai perché non gli conviene. Così l’unica cosa che faranno è tagliare altra carta igienica alle scuole.

    • Dario Carta

      La GdF fa indagini da 14 anni e trova ruberie fuori Consip.

  3. Vincesko

    Prima si comincia meglio è, poiché è un lavoro lungo e che comporta (come traspare chiaramente dallo stesso articolo) un investimento di volontà politica, di risorse materiali e di qualità tecniche e soprattutto morali delle persone, in particolare dei responsabili.
    Io sono stato responsabile del controllo di gestione di una grossa azienda ed ho già raccontato una mia esperienza diretta nel campo specifico della riduzione della spesa agendo sui prezzi-costo dei beni e servizi acquistati e mi sono reso conto che le maggiori resistenze non sono tecniche, né esterne, ma interne all’organizzazione (cointeressenze dei responsabili degli approvvigionamenti). Data l’enorme messe di dati (prodotti/servizi e prezzi) e i notevoli divari di prezzo tra gli Stati e le Regioni (altro che un risparmio del 5%), è anche consigliabile accentrare ed operare i controlli apicali (gestiti da personale all’altezza del compito) stabilendo una griglia di selezione del tipo “abc” in termini di movimentazione quali-quantitativa e a valore e adottando il cosiddetto principio di eccezione nel valutare lo scostamento rispetto allo standard. Poiché le malversazioni e in generale le inefficienze possono riguardare anche l’aspetto quantitativo, va tenuto presente che il costo standard equivale o al prezzo standard (nel caso di prodotti utilizzati senza ulteriori trasformazioni) o al prodotto delle quantità standard x i relativi prezzi standard. Ad esempio, a me consta che le tangenti alla ‘ndrangheta versate dalla mia grossa azienda appartenente alle Partecipazioni statali (anni ’80-90) venivano pagate gonfiando le quantità (mc, ore, etc.) e non i prezzi unitari.

  4. Dario Carta

    Veramente le convenzioni Consip riguardano più servizi che beni. Comunque, l’aggregazione degli acquisti importanti (milioni di euro) sulle Centrali di committenza avviene in tutto il mondo, tranne che in Italia. 32.000 uffici acquisti dovrebbero acquistare piccoli importi e ordinare sui contratti stipulati da pochi acquirenti competenti (Consip e Centrali regionali) il resto.

  5. Piero Lisi

    Ma il futuro deve iniziare oggi, altrimenti se inizia sempre da domani non inizierà mai! 32.000 stazioni appaltanti esistono solo in Italia.

  6. Enrico

    Corretto procedere alla riduzione della spesa per beni e servizi esterni, ma ho l’impressione che la PA stia ribaltando indiscriminatamente i risparmi da conseguire nei soli beni e servizi esterni, senza riguardo alla effettiva necessità di tali servizi.

    Comunque la riduzione della spesa la stanno già facendo e ben più del 5% : non pagano

  7. Giovanni

    Ahimè, pensavo che M. Renzi fosse “diverso” da coloro che sono stati al potere fino ad ora. Questa della riduzione del 5% dei contratti pubblici, è una delle pagliacciate più ridicole del 2014! Motivo? Vi porto un semplice esempio: un’impresa che gestisce l’illuminazione pubblica, pagando le bollette della luce (che non sono quelle di casa) , si vede ridotto l’importo del contratto, ma all’Enel,Edison etc … che gli frega? 😀 Inoltre, riducono del 5% ma non pagano ugualmente, mai! Insomma, non so a chi sia venuta questa brillante idea, però posso dirgli che è stato un genio 😉 Mai nessuno ha pensato di far fallire tante imprese in maniera “legale” come questa 😀 Continuate così, che fra qualche anno si vivrà meglio in Africa, che in Italia! Ops … Italia? Oramai ci sono più clandestini che Italiani.

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