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Se abolire il Senato tocca la divisione dei poteri

L’abolizione o la trasformazione del Senato può alleggerire l’iter di approvazione delle leggi, ma fa venir meno quel potere di veto di un’istituzione che è stato un importante presidio della democrazia negli ultimi anni. 

La Costituzione detta le regole fondamentali del nostro stare insieme. È dunque importante che proposte di cambiamento della carta costituzionale non marginali, quali l’abolizione del Senato, siano il più possibile discussi pubblicamente. L’insofferenza per questo dibattito più volte espresso dal nostro Governo non ha molte giustificazioni, soprattutto in un paese con una storia di dittature e rigurgiti autoritari come l’Italia.
Nel merito della proposta di abolire (o meglio, di trasformare) il Senato cercherò in questo articolo di argomentare i seguenti tre punti:
1. Che l’abolizione del Senato come camera elettiva e la cui fiducia è necessaria per l’esecutivo non reca di per sé alcun danno. Molti paesi hanno sistemi monocamerali che funzionano bene.
2. Che il rafforzamento dell’esecutivo e l’abolizione del Senato è invece un problema se nel contempo si introduce una legge elettorale tale per cui i parlamentari sono di fatto nominati dai candidati a guidare l’esecutivo.
3. Che le riforme costituzionali dovrebbero seguire e non anticipare una soluzione al problema del conflitto d’interessi. I nostri mass media non sono in grado di svolgere la funzione di watchdog che dovrebbero svolgere in una democrazia sana. In un simile contesto rafforzare l‘esecutivo significa aumentare il rischio di una deriva autoritaria.

I DUE LATI DELLA MEDAGLIA

Nel discutere questi tre punti è utile partire da un risultato ben noto agli scienziati politici: in un processo di decisione collettiva includere più veto players (ossia più decisori con potere di veto) riduce gli spazi di cambiamento e favorisce la permanenza dello status quo. Ci sono momenti in cui lo status quo può essere fatale e occorre muoversi. Sono d’accordo con quanti sostengono che in questo momento la politica deve essere messa in grado di prendere decisioni. L’abolizione (o la trasformazione) del Senato rientra in questa logica. Questo ci pone di fronte a quello che in inglese si chiama un trade off: si ottiene qualcosa solo rinunciando a qualcos’altro. L’abolizione del Senato per l’appunto presenta un trade off: si abolisce un veto player e dunque si incrementa lo spazio delle decisioni politicamente possibili; si riduce però il controllo sull’esecutivo e dunque aumenta la possibilità di policy drift, ossia la possibilità per l’esecutivo di spingere le politiche più lontano da quelle che sono le preferenze dei cittadini (rappresentati in Parlamento). I termini di questo trade off cambiano nel tempo: alle volte è più importante poter bloccare decisioni dannose, in altre è più importante facilitare il cambiamento. Oggi, probabilmente a ragione, si tende a privilegiare il secondo aspetto.
L’Italia non è un’eccezione: questo è un dibattito in corso in tutti i paesi democratici, incluse le democrazie anglosassoni che hanno una solidità istituzionale ed una storia ben diversa dalla nostra. E tuttavia le riforme costituzionali sono spesso dibattute ma raramente attuate, come mai? Perché cambiare le regole del gioco non è ordinary policy come può esserlo un aumento delle tasse sugli immobili o una riforma delle pensioni: si cambiano le regole dello stare insieme, bisogna andarci cauti ed avere ponderato molto attentamente le possibili conseguenze. Purtroppo non mi pare che questo stia succedendo oggi in Italia.

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SEPARAZIONE DEI POTERI SOTTO ATTACCO

Nelle parole e negli atti di tanti politici della cosiddetta seconda repubblica la decisione democratica è spesso stata confusa con una sorta di dittatura della maggioranza. Ma prima che si possa procedere alla conta la governance democratica si fonda sulla separazione dei poteri. Negli anni della Seconda Repubblica questa separazione ha tremato. I rappresentanti dei cittadini, a partire dal 2006, sono stati scelti dalle segreterie dei partiti, ossia dalle stesse poche persone candidate a posizioni di vertice nell’esecutivo. Non solo: si è ripetutamente affermato pubblicamente da parte di politici di primo piano il principio per cui il ricevere voti porrebbe un cittadino al di sopra della legge. Berlusconi ha più volte esplicitamente contrapposto il consenso che lo circonda al fatto che i giudici “non sono eletti da nessuno”. Abbiamo dunque assistito ad un attacco al principio della separazione dei poteri in nome della maggioranza, un rozzo tentativo di ritorno all’ancien regime, con un monarca assoluto legittimato dalla maggioranza anziché dalla volontà divina. Ciò che ha impedito questa deriva autoritaria è stato per l’appunto la presenza di molti veto players, un sistema di controlli che ha funzionato ed ha salvato, per ora, la nostra democrazia.

DAL PORCELLUM ALL’ITALICUM CAMBIA POCO

La proposta di legge elettorale battezzata Italicum non risolve nessuno dei problemi introdotti nel 2006 dal Porcellum: le liste chiuse non permetteranno ai cittadini di eleggere i propri rappresentanti che, di fatto, continueranno ad essere nominati dalle segreterie. L’unica vera novità dell’Italicum è l’innalzamento delle soglie per accedere alla rappresentanza. Come l’abolizione del Senato, questa riforma va nella direzione di ridurre il numero dei giocatori in campo e favorire la governabilità. E tuttavia con questa legge si permette che un partito con il 7,99% dei voti (quasi tre milioni di voti, per intenderci) ma che non voglia apparentarsi con nessuno dei partiti maggiori, rimanga un partito extraparlamentare. In questo contesto chi vince si trova a governare senza dover mediare né con i propri parlamentari (in quanto nominati dallo stesso potere esecutivo), né con altre forze politiche (fortemente sottodimensionate o escluse dal parlamento). Non è chiaro in un contesto di questo tipo che significato assumerebbe la separazione di poteri fra esecutivo e legislativo, né quale funzione di controllo l’organo legislativo potrebbe effettivamente svolgere. L’abolizione di un veto player quale il Senato rafforzerebbe ulteriormente un rapporto di sudditanza del potere legislativo verso l’esecutivo.

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QUARTO POTERE

L’ultima considerazione riguarda quello che, non senza motivo, è stato chiamato il quarto potere. Per un corretto funzionamento dei meccanismi democratici è essenziale che l’informazione sia, per quanto possibile, plurale. È utile forse ripetere ancora che nelle attuali circostanze di concentrazione mediatica questo non è possibile. Ridurre il numero di veto players in queste circostanze aumenta il rischio di una deriva autoritaria anche perché buona parte dell’informazione, anch’essa in rapporto di dipendenza con la politica, non svolge il ruolo di cane da guardia (watchdog) che le compete in una democrazia sana. Sarebbe stato ad esempio molto meglio affrontare la questione del conflitto d’interessi prima di mettere mano a riforme costituzionali.

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12 commenti

  1. carlo giulio lorenzetti

    Quello che non si riesce a scorgere nelle diverse iniziative di riforma promosse sinora dal Governo ( legge elettorale, provincie, senato ..) è un disegno coerente di sistema e la consapevolezza dei riflessi che ogni scelta può avere sul complessivo assetto istituzionale. Si affrontano le diverse tematiche in campo senza una logica unitaria lasciandosi guidare da motivazioni incoerenti: la riforma del Senato, ad esempio, deve ubbidire all’imperativo di ridurre i costi
    ( ma allora perché non limitarsi alla riduzione del numero e delle indennità dei senatori), o all’esigenza di semplificare i rapporti tra Esecutivo e Parlamento ( in questo caso basterebbe eliminare la doppia fiducia e l’approvazione del bilancio dello Stato), o, ancora, a semplificare e rendere più spedito il processo legislativo ( la via giusta potrebbe essere quella di restringere le competenze del Senato a determinate materie, come, ad esempio. le leggi costituzionali e quelle comunitarie).
    Un Senato trasformato in una sorta di “club dei sindaci” darebbe forse garanzie di maggiore funzionalità e competenza rispetto all’attuale i cui membri, bene o male, sono eletti dal popolo? E come credere seriamente che un centinaio tra sindaci e consiglieri regionali accorrano periodicamente a Roma dalle località più lontane della penisola a loro spese? E se questo nuovo organismo dovesse lavorare per sessioni ( non potendosi immaginare una presenza continuativa a Roma dei suoi componenti), questo solo fatto non comporterebbe di per sé un rallentamento delle funzioni che si vorrebbero invece rendere più snelle?
    Si attendono risposte.

    • M. Napolitano

      1. No, si vuole abolire il Senato per snellire le procedure di approvazione delle leggi ed evitare che una diversa composizione possa costringere il governo a pagare dazi indebiti, non per risparmiare qualche milione di euro.
      2. Potrebbe essere interessante, per es., affidare al nuovo Senato la competenza, congiunta, sulle leggi costituzionali (oppure rafforzare la maggioranza richiesta alla Camera, oppure rendere obbligatorio il referendum di approvazione con quote minime di validita’).
      3. Se la materia da discutere fosse importante, i membri del nuovo Senato si recherebbero senz’altro a discuterne, per sessioni o sedute che siano; e gli si potrebbe pagare anche il soggiorno.

    • Dario Maggi

      “Il Senato della Repubblica – ridenominato Senato delle Autonomie – viene configurato come un
      organo rappresentativo delle istituzioni territoriali che concorre, secondo modalità stabilite dalla
      Costituzione, alla funzione legislativa (approvando, insieme alla Camera dei deputati, le leggi
      costituzionali e deliberando, negli altri casi, proposte di modificazione che in alcune materie possono assumere una particolare forza nel procedimento) ed esercita la funzione di raccordo tra lo Stato e le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni. Il nuovo Senato delle Autonomie partecipa, inoltre, alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi dell’Unione europea e, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolge le attività di verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato e di valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche sul territorio.”

      Quanto precede è ricavato dalla Scheda di sintesi del disegno di legge di revisione costituzionale,
      reperibile sul sito del governo.
      Come vede i compiti del ‘nuovo’ senato non sono certo riconducibili a un ritrovo di sindaci, e comprendono già le materie da lei indicate.
      La semplificazione del processo legislativo (che ha ricadute serie sulla situazione economica) è stata da sempre indicata come scopo primario dal governo. La strategìa complessiva è quella di diminuire i livelli ‘intermedi’ di decisione politica, ed è piuttosto chiara. Mi spiace che lei non la veda.

  2. modicarossazzurra

    Quasi per niente d’accordo, prof. Larcinese. Questo è uno dei tipici casi in cui la differenza tra realtà effettuale e teoria politica generica, stridono in maniera clamorosa. perchè il difetto sta nei particolari. Come le può dire chiunque abbia vissuto le vicende politiche italiane dell’ultimo decennio, proprio lo spietato e disinvolto sfruttamento del veto ha fatto si che si prolungasse all’infinito sia la stagnazione completa, nella quale proprio i detentori di quel potere, a qualunque livello fossero, hanno vissuto riccamente di rendita di posizione; sia il fatto che non si riuscisse a debellare il conflitto d’interesse che invece si è esteso ed incancrenito estendendosi anche a soggetti diversi e per diversi motivi. In definitiva, ogni qual volta, e da qualsiasi parte si fosse levata l’intenzione di procedere ad una qualsiasi riforma, si levava dal campo avverso una levata di scudi che conduceva infine ad un appattamento sullo status quo. Un gioco delle parti in cui vengono sventolate riforme solo per ottenere in cambio un vantaggio di altra natura. Questo perchè tutti i giocatori erano ugualmente intenzionati esclusivamente alla detenzione della chiave del cambiamento in modo che le rendite di posizione potessero continuare indisturbate. Veda, il Senato – così come la Camera -non costituiscono, nè potrebbero in alcun modo, vista la base elettorale praticamente identica, una rappresentazione di interessi in potenziale conflitto da cui ne scaturirebbe, ipso facto, un bilanciamento di poteri. No, il Senato ha, semmai, esercitato il diritto all’esazione della gabella, all’imposizione della tassa di passaggio come nelle frontiere dell’Italia del Medioevo. Un potere che ha espropriato il popolo della possibilità di vedere la propria espressione, per il periodo dato tra due elezioni, pienamente espressa. Questo, è, se mi permette, un’espropriazione sostanziale e non formale della sovranità popolare per come si esprime nelle repubbliche moderne. mi permetto inoltre di ricordarle che in nessun paese al mondo la funzione di controllo e vigilanza, è affidata ad una camera elettiva, ma viene, come la costituzione prevede, in un organo di legittimità come la Corte Costituzionale. Possiamo poi analizzare altri tipi di equilibrio, in altri tipi di stati: quello semipresidenziale francese, quello Inglese, quello tedesco, quello americano, ma non troverà mai il fatto che un bicameralismo perfetto conduce al controllo dell’operato di legittimità costituzionale del governo.

  3. Nadia Urbinati

    Ottimo contributo, anche se lo leggeremo in pochi. Sono d’accordo con lei che tra i vari problemi quello del mancato lavoro di controllo critico da parte dei media (carta stampata e non) e’ forse il maggiore perche’ impedisce che la politica sia un’opera di condivisa partecipazione nella discussione. I media sono diventati dei megafoni dell’opinione della maggioranza e del governo, e quindi i cittadini siamo resi o muti o con voce flebile. La trasformazione della nostra democrazia da parlamentare a potenzialmente autoritaria (perche’ sbilanciata verso il potere dell’esecutivo, e perche’ decurtata del potere elettorale sia al centro — Senato– che alla periferia — Province) e’ nelle cose, eppure chi ha voce forte e’ solo chi e’ rappresentativo dell’opinione di maggioranza. Non c’e’ scampo, pare, al dominio della maggioranza che e’ il nocciolo di questa trasformazione anti-parlamentare della nostra costituzione. La mia domanda e’ dunque: che cosa si puo’ fare?
    Nadia Urbinati
    nu15@columbia.edu

  4. Dario Maggi

    Oltre alle riserve del lettore modicarossazzurra, che condivido, aggiungo: “con questa legge si permette che un partito con il 7,99% dei voti (quasi tre milioni di voti, per intenderci) ma che non voglia apparentarsi con nessuno dei partiti maggiori, rimanga un partito extraparlamentare” In un sistema maggioritario come quello inglese qual è il rapporto tra voti e seggi in parlamento ottenuti?

    “una legge elettorale tale per cui i parlamentari sono di fatto nominati dai candidati a guidare l’esecutivo” Però i due partiti che attualmente hanno forti chances di diventare i primi due, prevedono entrambi primarie (beh, i 5 stelle ‘a modo loro’…). Inoltre vorrei capire dove questo non accade: la signora Merkel, il presidente Hollande, il presidente Obama non sono anche capi dei rispettivi partiti? (e quindi di fatto, suppongo, sono in grado di esercitare questo controllo). Inoltre dato che i collegi sono piccoli e il primo indicato da un partito ha le migliori chances di esser eletto, se l’elettore non lo gradisce è in condizione di votare un altro partito (su questo punto la situazione non mi sembra molto dissimile dal collegio uninominale, anche se poi c’è la complicazione del riparto nazionale che complica le cose)

  5. Dario Maggi

    Postilla: alla domanda “qual è il rapporto tra voti e seggi in parlamento ottenuti?” occorre aggiungere “per il partito che arriva secondo o terzo” (sia nei singoli collegi, che a livello nazionale; mi piacerebbe avere qualche dato, grazie)

  6. Carlo Turco

    Qualcosa mi sfugge. Come e perché un Senato eletto secondo un sistema elettorale che disconosce i rapporti di forza a livello nazionale o, addirittura, può ribaltarli, sarebbe presidio democratico verso derive autoritarie? È stata fatta una analisi accurata di come e quanto nell’esperienza della Repubblica il Senato abbia assolto a funzioni di presidio della democrazia e come e quanto abbia invece ritardato i processi legislativi per mere questioni di dissidi di potere e di pressioni di lobby più o meno esplicite?

  7. Massimo Matteoli

    Devo dire con tutta sincerità che non comprendo l’accanimento contro la proposta di Renzi sul Senato.

    Non voglio nemmeno dire più di tanto sulla storica opposizione ( che parte dalla Rivoluzione Francese) della sinistra contro la “Camera Alta”, mi limito a riflettere sui problemi dell’oggi.

    Ma comprendo poco anche la tradizionale eccezione “liberale”, ripresa nell’articolo, che esalta la divisone dei poteri, dimenticando che Il Senato è un’argine contro la dittatura della maggioranza solo se è eletto con norme diverse da quelle della camera bassa, altrimenti al massimo rappresenta solo un intralcio burocratico.

    Il punto è, perciò, quello del sistema elettorale.
    Se partiamo dalla premessa che rimanga maggioritario ( nell’attuale situazione è l’unica possibilità per evitare la condanna dei governi di “larghe intese”.) la proposta Renzi è la base migliore su cui discutere propri per evitare quella dittatura della maggioranza che giustamente si vuole evitare.

    Se infatti per garantire la governabilità del paese è ammissibile che una minoranza qualificata possa esprimere l’indirizzo politico ordinario (votare le leggi ed il Governo per intendersi), bisogna evitare che questa possa minoranza intervenire senza limiti sulla nomina degli organismi di garanzia (Presidente della Repubblica. Corte Cost. e CSM) e sulle leggi di modifica della costituzione.

    Un senato con queste ultime funzioni, più proporzionale nella sua composizione, proprio perché non c’è bisogno che voti la fiducia al Governo e le leggi ordinarie, appare come il correttivo perfetto ad una Camera eletta con il maggioritario.

    Un Senato di questo tipo non ha, però, nessun bisogno di essere eletto direttamente dai cittadini proprio perché non è titolare del potere di indirizzo politico.

    Molto meglio che espressione delle autonomie regionali ed avesse competenze anche in tale campo (il nostro è uno stato regionale non dimentichiamolo, è una delle intuizioni migliori dei nostri costituenti). Ciò servirebbe anche ad mantenere ferma la barra d evitare i pericolosi rigurgiti di neo-centralismo per il ritorno allo Stato dei Ministeri e dei Prefetti che si vedono in giro.

    M sembrano motivi più che sufficienti per ragionare sulla proposta Renzi senza pregiudiziali ed in modo costruttivo.

  8. carlogiulio lorenzetti

    La ringrazio delle sue osservazioni. Avevo ben presente la scheda del Governo sul nuovo Senato, ma le mie perplessità non sono fugate. Esiste una stretta correlazione tra la composizione del nuovo organismo e le sue funzioni e non credo che un Senato formato da non eletti direttamente dai cittadini e che dovrebbe per forza di cose riunirsi in sessioni (sindaci e presidenti di Regione sono normalmente occupati a tempo pieno) dia maggiori garanzie di funzionalità e competenza rispetto alla situazione attuale. Inoltre non credo affatto che la trasformazione dell’attuale Senato porti a quel famoso risparmio di un miliardo tanto proclamato. La struttura e il personale rimarrebbero in gran parte in funzione e prima o poi i nuovi componenti reclameranno almeno un rimborso delle spese di trasferta a Roma. Infine, l’espressione “club dei sindaci” era un modo un po’ paradossale e provocatorio di alludere alla nuova composizione. Ho il massimo rispetto e considerazione per i sindaci che con l’elezione diretta introdotta dopo i referendum del ’91 e ’93 costituiscono una delle poche significative novità della nostra democrazia ma li lascerei al loro mestiere. Del resto esiste già la conferenza Stato-Regioni a funzionare da raccordo tra i diversi livelli di governo. Ma il Senato, se deve esistere, è un’altra cosa.

  9. carlo giulio lorenzetti

    Dunque le vere e condivisibili motivazioni sono :1. semplificazione dei rapporti Governo-Parlamento con l’eliminazione della fiducia e del voto sul bilancio, evitando i rischi e le complicazioni di maggioranze diverse tra le due Camere; 2. snellimento delle procedura di approvazione delle leggi, restringendo le competenze del nuovo Senato; 3. riduzione dei costi con l’eliminazione delle indennità dei senatori. Quel che non appare convincente è la trasformazione del Senato in una assemblea di sindaci e di presidenti di Regioni (con la discutibile aggiunta di 21 nominati dal Presidente della Repubblica) che non solo non potrebbero dedicarsi a questo nuovo impegno con la continuità necessaria ma che sarebbero poi chiamati a trattare materie assai delicate (come le leggi costituzionali e comunitarie e quelle elettorali) senza offrire garanzie di maggior competenza rispetto a dei senatori eletti direttamente dai cittadini. Ove poi venissero accolti i suggerimenti del prof.Ainis (dare al nuovo Senato anche la competenza sui conflitti di interesse e sulla eleggibilità e decadenza dei deputati) si assisterebbe al paradosso di non eletti che diverrebbero giudici degli eletti. Inoltre, come possono dei non eletti mettere mano alle modifiche della nostra Costituzione che è la regola base della nostra convivenza e la massima espressione del patto tra cittadini e istituzioni?

  10. asfissss

    Condivido in pieno. Bisognerebbe aggiungere che pubblicizzare una riforma costituzionale così radicale sventolandone i risparmi di spesa, dà il segno di una democrazia, e di un tessuto sociale e culturale, in visibile declino. Viviamo in un paese dove la realtà e la menzogna convivono, tanto che si ha l’impressione che a nessuno interessi puntualizzare. Chi occupa le più alte posizioni nelle istituzioni e negli organi d’informazione può permettersi di dire, quotidianamente, cose verosimili ma non vere, sicuro che pochi se ne accorgeranno, e nessuno gliene chiederà conto. Vorrei che i costituzionalisti si esprimessero a voce un po’ più forte sul tema, e vorrei che lo facessero in maniera lucida e argomentata, sui principali organi d’informazione. Che commentassero la sostanza del problema, senza nemmeno nominare le questioni dell’attualità politica! Invece immancabilmente, anche tra chi si oppone alla riforma, spuntano parole come Berlusconi, berlusconismo, Renzi, renzismo, populismo, etc. E’ un errore, si dovrebbe parlare del funzionamento dello Stato tra dieci, venti, trenta, quaranta anni. I movimenti ed i personaggi politici scorrono, le istituzioni restano. Quando si parla di Costituzione bisogna astrarre dal presente e guardare le cose col cannocchiale. Che in un simile contesto si discuta di una autentica rivoluzione costituzionale, scritta nel segreto dei palazzi, da approvare il più velocemente possibile, sembra un pessimo auspicio.

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