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Poste italiane: meglio privatizzarle così

Date le condizioni di bilancio pubblico, difficilmente il Governo potrà rinunciare alla privatizzazione di Poste italiane e alle risorse che ne potranno derivare. Potrebbe però rivedere la scelta di non separare i servizi postali da quelli finanziari. E perché mantenere il controllo pubblico?

POSTE ITALIANE TRA INTEGRAZIONE E SEPARAZIONE

In un’audizione davanti alla commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera, il viceministro dell’Economia e delle Finanze Enrico Morando ha dichiarato che è intenzione del Governo di procedere alla parziale privatizzazione di Poste italiane Spa, dando seguito alla decisione del precedente esecutivo Letta e facendone propria l’impostazione. Difficilmente, date le condizioni del bilancio pubblico italiano, il Governo potrebbe rinunciare alla privatizzazione e alle risorse finanziarie da essa derivabili, tuttavia potrebbe rivederne l’impostazione, in entrambi i suoi principali aspetti, del mantenimento dell’integrità e del controllo pubblico dell’azienda. (1)
La convenienza dell’integrazione o invece della separazione di un’azienda diversificata, qual è Poste italiane, non sembra potersi stabilire in linea generale, poiché sono molto numerose le circostanze la cui assenza o presenza e interazione possono spingere in una direzione o nell’altra: dalla natura (e interconnessione tecnica) delle produzioni alla disponibilità di talento manageriale generale, alla funzionalità del mercato interno del capitale, solo per fare qualche esempio. Di questo c’è del resto un riflesso nelle incertezze della ricerca empirica condotta in materia: se è adesso meno sicura che in passato della tendenziale esistenza di un conglomerate discount, non può però, dirsi sicura che questo non vi sia, o che vi sia invece un conglomerate premium. (2)
Ma se, allora, si deve guardare alle situazioni specifiche, nel caso di Poste italiane due aspetti assumono speciale rilievo ed entrambi corroborano, in modo convergente, una convenienza della separazione. Riguardano entrambi il segmento dei servizi postali: da un lato, è strutturalmente in perdita e declinante in termini di volumi e fatturato perché colpito dalla contrazione del recapito della corrispondenza, ma anche scarsamente beneficiato dalla crescita del recapito di pacchi. (3) Dall’altro, è oggetto di misure di intervento e regolazione pubblica di sostegno finanziario diretto e di sostegno indiretto (protezione dalla concorrenza): le perdite sono coperte in parte a carico della finanza pubblica e in parte a carico dei servizi finanziari; l’azienda beneficia dell’esclusiva del servizio universale, dell’esclusiva del recapito delle notificazioni inerenti ai procedimenti giudiziari e alle infrazioni al codice della strada, e dell’esenzione dall’Iva delle prestazioni incluse nel servizio universale. (4)
Vista da questa prospettiva, la separazione dei servizi postali, anche nella forma molto blanda della separazione funzionale, renderebbe trasparenti ai potenziali azionisti privati e al regolatore Agcom (e all’azionista storico Mef) le relazioni organizzative, e non solo contabili, interne all’azienda, tra i servizi, regolati, in perdita e plausibilmente da ristrutturare a fondo, e gli altri servizi. Tuttavia, la separazione potrebbe essere molto più incisiva e spingersi fino alla separazione legale (societaria); questa, infatti, non solo stabilirebbe tra le attività separate veri rapporti commerciali, ma soprattutto le avvierebbe su strade e verso destini diversi, così producendo, in vista della privatizzazione, anche un maggiore valore per il segmento economicamente vitale dei servizi finanziari. Non sembrerebbe invece convenire una separazione strutturale, che produce benefici di poco superiori alla separazione funzionale, ma ha costi molto più alti e vicini a quelli della separazione legale.
Se si decide per la separazione, qualunque ne sia la forma, si pone naturalmente la questione del che cosa separare, precisamente, da che cosa: la risposta sembrerebbe abbastanza immediata, visto che i servizi finanziari assorbono la parte maggiore dell’attività degli uffici postali, e d’altra parte proprio dagli uffici postali – dalla loro capillarità, accessibilità, tradizione e brand – deriva la capacità di produrre profitti. Questo suggerisce la convenienza del ricorso a una linea di separazione che lasci assieme, da una parte, i servizi finanziari e gli uffici postali, e dall’altra isoli, enucleandoli dal resto, i servizi postali in senso stretto.
Sul lato dei servizi finanziari, verrebbe così a formarsi un’azienda di credito, che da una parte potrebbe essere sollevata dai vincoli che oggi limitano il campo di attività di Poste italiane (non le è permesso di esercitare attività di finanziamento al pubblico e perciò fornisce alla propria clientela prodotti originanti da altre istituzioni bancarie-finanziarie); e dall’altra potrebbe essere riportata agli obblighi conseguenti alla normale regolamentazione bancaria (in particolare sui requisiti patrimoniali minimi) – dandosi luogo, alla fine, in questo modo, a un level playing field per la concorrenza tra aziende.
Sul lato dei servizi postali, l’azienda risultante dalla separazione potrebbe continuare ad appoggiarsi agli stessi uffici postali, trasferiti alla società creditizia, per le attività di raccolta della corrispondenza (in particolare assicurata e raccomandata) e dei pacchi, sulla base di relazioni contrattuali pluriennali (non molto diversamente da quanto fa, nel Regno Unito, la rete degli uffici postali, gestita da Post Office Ltd, in favore di Royal Mail Group plc). E nel contempo, l’azienda postale potrebbe estendere la propria rete includendovi punti di raccolta diversi dagli ex uffici postali (magari sull’esempio di Usps, che sta sviluppando la propria rete di raccolta appoggiandosi alla rete di negozi di articoli per ufficio Staples).

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PROPRIETÀ, INCENTIVI E CORPORATE GOVERNANCE

La separazione dai servizi postali, oltre che permettere una più agevole e remunerativa privatizzazione dei servizi finanziari, consentirebbe di stabilire per la nuova società condizioni migliori di governance, allineando e concentrando l’attenzione degli azionisti e del management sulla profittabilità aziendale ed evitando i conflitti che vi sarebbero prevedibilmente tra azionista pubblico e azionisti privati nella gestione di un’azienda integrata che includa un segmento postale strutturalmente in perdita.
Ma sulla questione della governance, c’è un secondo aspetto da considerare: la scelta di collocare sul mercato una quota del 40 per cento del capitale della società, una quota molto consistente, ma comunque di minoranza. Questa scelta trascura, da una parte, la pessima prova di sé che hanno dato in genere, in Italia, la proprietà pubblica e la gestione da parte di burocrati – e politici – in business. (5)
E in ogni caso trascura la divergenza tra gli incentivi attivati dalla proprietà pubblica e da quella privata, e la loro difficile componibilità all’interno di una medesima compagine azionaria. (6)
Da questo punto di vista, sembrerebbe raccomandarsi una privatizzazione completa, magari da realizzarsi a tappe, come può darsi che alla fine venga imposta dalle necessità di bilancio, ma che sarebbe preferibile venisse preventivamente annunciata e pianificata.

 

(1) Sul mantenimento, in vista della privatizzazione, dell’integrità dell’azienda Poste italiane Spa, nella sua attuale configurazione che affianca all’offerta più tradizionale di servizi postali, quella di servizi bancari, finanziari e assicurativi, si vedano su lavoce.info gli articoli di Vincenzo Perrone e Michele Polo.
(2) Si veda, riassuntiva di una discussione prolungata, la rassegna di V. Maksimovic-G. M. Phillips, “Conglomerate Firms, Internal Capital Markets, and the Theory of the Firm”, Annual Review of Financial Economics, vol. 5, 2013, p. 225-44.
(3) Tra il 2011 e il 2012 le quote di Poste italiane sono passate nel servizio universale dal 90 all’88 per cento, in un mercato in contrazione dell’8 per cento; nella posta massiva, dall’85 all’83 per cento, in un mercato in contrazione del 4 per cento; nel corriere espresso, la quota è rimasta stabileall’8 per cento, in un mercato in espansione del 3 per cento. Vedi Agcom, Relazione annuale, Roma, 2013, p. 182 s.
(4) Ulteriori elementi in D. Piacentino, “Il futuro della regolazione postale”, Letter@gicom, n. 3, 2011.
(5) Parafrasando il titolo di un volume della World Bank, Bureaucrats in Business: The Economics and Politics of Government Ownership, Washington, D.C., 1996.
(6) Questa divergenza è ben nota fin dall’inizio della discussione sulle privatizzazioni: vedi, per esempio, J. Vickers-G. Yarrow, Privatization: An Economic Analysis, Cambridge, Ma, Mit Pr, 1997, cap. 2.

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  1. Fabrizio

    Pessima idea separare i prodotti finanziari da quelli postali e attribuire la rete di distribuzione alla società che si occupa di prodotti finanziari. Per competere con le altre banche quest’ultima dovrà necessariamente ridimensionare la capillare rete di uffici postali (che sostiene grandemente e in vario modo il benessere collettivo), rendendo molto difficile per la società che si occupa di prodotti postali garantire il servizio universale.

  2. bellavita

    La separazione è un’idea astratta e teorica:la forza della parte finanziaria delle poste è la capillarità degli sportelli postali, e anche , suppongo, che gli addetti non sono pagati come bancari ma come postini

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