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Aspettando la riforma del Senato e degli enti locali

Revisione del Titolo V, trasformazione del Senato in Camera territoriale e abolizione delle province: forse questa volta si fa sul serio. Ecco alcuni nostri contributi sull’argomento.

La finanza territoriale è di nuovo al centro del dibattito. Dopo l’ubriacatura federalista e gli scandali delle regioni, si moltiplicano le spinte per una revisione del funzionamento dei governi locali.  Il titolo V verrà rivisto, il Senato trasformato in camera territoriale, le province abolite. Se ne parla da molto, d’accordo, ma forse questa volta si fa davvero, anche perché la nuova legge elettorale, su cui si sta coalizzando un’ampia maggioranza, non può funzionare con il bicameralismo perfetto. Avremo due premi di maggioranza assegnati potenzialmente a due coalizioni di partiti diversi, un ossimoro istituzionale. E gli interventi sulle province, già previsti in un disegno di legge approvato alla Camera e in discussione al Senato, avranno vita breve senza un intervento costituzionale. Bene dunque ricominciare a rifletterci. Anche per evitare di buttar via il bambino con l’acqua sporca; interventi pasticciati sul funzionamento dei governi rischiano di creare più danni che benefici, e non tutte le amministrazioni locali hanno demeritato in questi anni. Riportare tutto in mano allo stato può non essere la migliore delle soluzioni.

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Il Punto

  1. Filippo Crescentini

    Perché nessuno, che si sappia, pensa di eliminare le Provincias in Spagna, i Départements in Francia, le Counties in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, i Bezirk in Germania? Perché, insomma, a livello territoriale esistono dappertutto tre livelli di governo? Sicuri di essere noi i più furbi? Aggiungo il finanziamento pubblico ai partiti. Perché, dove esiste, nessuno pensa di sopprimerlo e, dove non c’è, se non in misura minima (Stati Uniti), pensano di aumentarne l’importanza? E ancora, legge elettorale, revisione del Titolo V, trasformazione del Senato, soppressione delle Province e del finanziamento pubblico non sono tutte questioni puramente sovrastrutturali, che non hanno nessuna incidenza sulle condizioni materiali di vita della gente e sulla struttura economica e sociale di questo paese?

    • JOSHUA63

      Perfettamente d’accordo Tutte le argomentazioni utilizzate per giustificare la priorità delle riforme elettorali/istituzionali sono puro oppio per il popolino. La legge elettorale palesemente incostituzionale è quella del voto degli italiani all’estero, una vera anomalia a livello mondiale.
      Con liste bloccate e senza soglia per premio di maggioranza si vota da sempre in Spagna e Germania (qui per il 50% dei seggi). In Inghilterra Blair prese la maggioranza assoluta con il 34% dei voti. A proposito di province, da una ricerca Cergas/Bocconi sui livelli di governo negli stati europei è emerso che le province italiane sono quante quelle inglesi e francesi e meno di quelle tedesche. Se poi si guarda all’organizzazione dello Stato, si scopre che le nostre 110 Province (più che mai nel mirino in questi mesi), sono quantitativamente vicine alle 98 dell’Inghilterra e alle 101 della Francia, ma decisamente meno delle 402 della Germania. E anche circa la dimensione dei Comuni, meglio di noi fa l’Inghilterra (la popolazione media di un Comune è 13.900 abitanti), mentre peggio fanno Francia (1.815 abitanti per Comune) e Germania (6.844) essendo noi a 7.488 abitanti di media. Dunque più che mai, il tema sembra essere quello dell’efficienza dei soggetti amministrativi più che quello della loro
      dimensione.

    • Francesco Crispino

      E’ un problema di scala per cosi dire. La dimensione del livello locale del comune, è assolutamente incongrua. Abbiamo più di ottomila comuni e un territorio che è assolutamente ridotto. Le stesse regioni riproducono una inutile frammentazione: il Molise ha la dimensione demografica di una città media e l’estensione di una piccola provincia. Ed infine il “terzo livello” deve tener conto che il primo deve essere collocato in corrispondenza dello stato federale d’Europa.

  2. Francesco Crispino

    La riforma dell’organizzazione dello stato è il vero cuore della riflessione. Essa non è riconducibile ad una mera questione di risparmio dei costi della politica, bensì ad un più ampio disegno di efficientamento delle funzioni pubbliche a diretto beneficio di cittadini ed imprese. Ridefinire gli enti locali (i comuni e le regioni) è ormai indifferibile. Tale riforma va correlata necessariamente alla revisione del titolo V della costituzione, che superate le derive neocentralistiche, approdi ad una riarticolazione delle funzioni amministrative adeguando la dimensione territoriale delle nuove regioni e dei nuovi comuni, coerente con la prospettiva che vede l’Europa come federazione di stati. Non può sfuggire che il ridisegno dell’organizzazione territoriale non è cosa disgiunta dall’organizzazione della rappresentanza e quindi anche della formazione dei collegi e delle circoscrizioni elettorali, ovvero dell’altro tema forse non adeguatamente presente nella discussione relegato a questione tecnicistica.

  3. Walter

    E’ vero che abbiamo bisogno di riforme, ma dobbiamo capire di quali riforme. Spiace osservare che anche l’autorevole vs parere affronta il problema in maniera generica e senza approfondire i difetti sia di democrazia che nel rispetto del principi della nostra costituzione che è fondata sulle autonomie locali. Il disastro è avvenuto con le regioni, non certamente con gli altri enti locali, in particolare sono ancora i comuni che tengono l’argine della deriva democratica. Sull’abolizione delle province, mi aspettavo che “la Voce” si differenziasse dal coro e dimostrasse con le cifre la verità dei risparmi e dei nuovi costi sulle funzioni che verranno esercitate dalle Prefetture che hanno già ora un costo esorbitante e degli sprechi ingiustificabili. Perchè nessuno prova ad indagare quanto ci costano tali uffici dello Stato e cosa effettivamente fanno e perchè non è possibile adeguarci a quanto esistente in Europa accorpando le Province alle Questure? E’ una questione di democrazia e di competenze, non di costi! Perchè non pubblicate il numero dei comuni e l’organizzazione degli enti locali esistente negli altri stati europei, per avere una comparazione ?

  4. rob

    “Dopo l’ubriacatura federalista”: Bordignon ma lei non è lo stesso che su questo giornale per 15 anni ci ha parlato della panacea del federalismo? Certo, ricredersi a mio parere è da persone con intelligenza e spirito di critica e osservazione, ma questo Paese ha bisogno di dinamicità e di una drastica riduzione dei livelli di potere e quindi di un’enorme sforbiciata a coloro che tra i meandri di mille poteri locali tirano a campare. Non vogliamo federare l’Abruzzo con il Molise che in due fanno gli stessi abitanti di un quartiere di Roma?

  5. ezio

    Sono molto dubbioso sul fatto che la riforma delle Province porti un miglioramento all’Italia. Nessun dubbio che la politica di area vasta sia del tutto carente in Italia (basta vedere i risultati in materia di rifiuti, assetto del territorio, trasporti, etc.) ma temo che trasformare le Province in un organo gestionale dell’assemblea dei sindaci di un territorio sia solo la certificazione e l’istituzionalizzazione del modello iper-campanilistico che già sta distruggendo l’italia. Le regioni (quelle vere ovvero quelle grandi, perché le altre sono solo delle province supercostose), fanno finta di essere dei governi semistatali e sono lontani dal territorio e dal quotidiano di cittadini e imprese tanto quanto o anche più dello Stato, i comuni sono necessariamente impegnati a sopravvivere contro tutto e tutti e il territorio va al diavolo. Non eleggere nessuno per guardare e gestire l’area vasta significa rinunciare al turismo (che ha bisogno di paesaggio), alla sicurezza (che ha bisogno di assetto del territorio) e ai servizi di qualità (che sono sempre più sovracomunali). Le province fanno tantissima attività di controllo sulle imprese, il che le rende impopolari. Passare questi compiti sotto il controllo dei sindaci amplierà a dismisura i clientelismi e gli scambi perversi. Vi immaginate il titolare di una grande cava o di una azienda inquinante trattare direttamente gli aspetti ambientali con il sindaco di un paesino di 1000 abitanti? E’ che in italia si preferisce promettere continue riforme invece che rimboccarsi le maniche a far funzionare l’esistente. La storica e continua promessa delle riforme è il mantra che ha permesso ad una classe politica incapace di governare e di restare al potere senza sentirsi responsabile di nulla.

  6. henricobourg

    Che cosa deve o può essere il Senato non più doppione inutile della Camera? 1) La rappresentanza delle autonomie? Quali autonomie? Per fare che cosa? Meglio costituzionalizzare le Conferenze Stato-Regioni-Comuni (come sostengono i prof. Ciarlo e Pitruzzella). 2) Una seconda camera moderatrice? Sì, a condizione di rinunciare ai poteri di votare la fiducia al governo e l’approvazione delle leggi. Il Senato potrebbe avere un ruolo di ripensamento e di riordino (delle leggi, dei testi unici, delle normative UE), con il diritto di esprimere un parere su tutto e un potere di veto sospensivo sulle leggi (insieme al diritto di chiedere un rinvio preventivo alla Corte Costituzionale). Potrebbe avere inoltre un potere di nomina delle funzioni indipendenti e di garanzia. Se fosse accettata quest’idea, si dovrebbero ripensare le modalità elettorali, soprattutto le condizioni di elettorato passivo: può essere eletto solo chi ha una certa età, una certa esperienza politica (essere stato eletto direttamente e non nominato: mancheranno i candidati) o certi titoli di studio. Si voterebbe con un sistema di selezione individuale che però tenga conto anche degli schieramenti politici. Per salvare qualcosa dell’esistente si potrebbero mantenere i criteri territoriali dell’art. 57, ma sarebbe puro window dressing, niente di sostanziale.

  7. maurizio

    Il disegno di legge Del Rio as1212 nella stesura attuale che si può consultare sul sito del Senato è un mostro che se vedrà la luce si risolverà in un cambiamento nominale gattopardesco con l’aggravante della possibilità di moltiplicazione degli enti laddove possono coesistere città metropolitane e province. Il risparmio sui costi si limiterebbe alla mancata corresponsione delle indennità a consiglieri assessori e presidenti.Le nuove cariche sono eserciate a titolo gratuito ma i rimborsi per gli oneri derivanti per i permessi retribuiti previsti dal Testo Unico per gli enti locali non vengono toccati: vuoi vedere che quello che esce dalla porta rientra dalla finestra con qualche regolamento locale sui rimborsi?

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