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Con il nuovo Isee un aiuto alle famiglie più fragili

La riforma dell’Isee è stata completata. Il nuovo indicatore dovrebbe avvantaggiare le famiglie numerose e quelle in cui sono presenti i disabili più gravi e più poveri. Se i controlli saranno effettivi, dovrebbe contribuire a migliorare la scarsa efficacia redistributiva del welfare italiano.

L’ISEE PRIMA E DOPO LA RIFORMA

Il Governo ha ridefinito le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee). Il nuovo regolamento, contenuto nel Dpcm del 3 dicembre 2013, è la sintesi più avanzata del confronto tecnico-politico che il ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha pazientemente condotto con le altre amministrazioni e le parti sociali interessate nell’ultimo biennio. Ma che bisogno c’era di riformare l’Isee? Per rispondere, è opportuno fare qualche passo indietro.
Introdotto nel 1998, l’Isee consiste in una combinazione di reddito e patrimonio, valutata a livello familiare mediante una scala di equivalenza, ossia un insieme di coefficienti che tiene conto della diversa composizione familiare. Si applica soprattutto a prestazioni di welfare locali (come asili nido, mense scolastiche, servizi socio-sanitari domiciliari e residenziali) e interessa in media il 30 per cento della popolazione.
L’Isee ha migliorato i criteri di selettività preesistenti, sia perché questi erano fondati su di un metro di misura poco affidabile (il reddito imponibile Irpef), sia perché ha ricondotto all’interno di una norma nazionale la miriade di criteri impiegati localmente fino ad allora. La sua applicazione ha tuttavia fatto emergere alcuni problemi, sia per le modalità di calcolo dell’indicatore (la non inclusione dei redditi esenti Irpef, l’eccessivo importo delle franchigie patrimoniali), sia per la definizione adottata di famiglia (quella anagrafica), che ha impedito una sua corretta differenziazione per le diverse tipologie di prestazioni e favorito l’insorgere di comportamenti opportunistici. Un ulteriore punto debole, forse il più grave, ha riguardato il sistema dei controlli, rivelatosi insufficiente a contrastare il fenomeno delle false dichiarazioni.
La legge n. 214/2011 aveva fissato alcuni criteri di riforma, che andavano nella giusta direzione: 1) l’inclusione dei redditi fiscalmente esenti nel calcolo dell’Isee; 2) il miglioramento della sua capacità selettiva tramite una maggiore valorizzazione del patrimonio; 3) la differenziazione dell’Isee a seconda del tipo di intervento per renderne più flessibile l’applicazione; 4) il potenziamento dei controlli.
Il Dpcm del 3 dicembre 2013 recepisce quanto disposto dalla legge n. 214/2011. Vediamone quindi i contenuti principali.
Il primo aspetto positivo è che la riforma attribuisce all’Isee lo stato di “livello essenziale delle prestazioni”, ossia di metro unificato, sull’intero territorio nazionale, di valutazione della condizione economica dei richiedenti prestazioni sociali agevolate, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione.
Un secondo aspetto è che il calcolo dell’indicatore è differenziato a seconda del tipo di prestazione ed è previsto che in particolari condizioni, come quelle che comportano una significativa riduzione del suo valore (a causa, ad esempio, della perdita del lavoro), si possa definire un “Isee corrente”, riferito a un periodo più ravvicinato al momento della richiesta della prestazione.
Il nuovo Dpcm stabilisce anche che i redditi esenti Irpef concorrono al calcolo dell’Isee, pur concedendo alle famiglie in cui siano presenti disabili di godere di una franchigia. Per le persone non autosufficienti è inoltre ammessa la deduzione dei trasferimenti esenti d’imposta, se questi coincidono con le spese sostenute per l’impiego di badanti o per pagare la retta del ricovero in struttura residenziali.
Ai fini del calcolo dell’Isee degli anziani non autosufficienti che chiedono servizi residenziali di cura, il decreto tiene conto della presenza dei figli non più appartenenti al nucleo familiare dell’assistito, mentre per le prestazioni non residenziali il nucleo viene definito in senso strettamente individuale.
Per quanto riguarda il calcolo del patrimonio, viene aggiornato per tenere conto delle valorizzazioni introdotte ai fini Imu e vengono ridotte le franchigie patrimoniali.
Il Dpcm prevede anche nuove maggiorazioni della scala di equivalenza per dare più peso alle famiglie numerose con almeno tre minori o ai nuclei in cui entrambi i genitori lavoratori hanno figli con meno di tre anni.
Infine, viene potenziata l’attività di controllo, sia ex-ante sia ex-post, e si dispone che l’Agenzia delle Entrate effettui controlli sostanziali, secondo liste selettive. Per contrastare più efficacemente il fenomeno delle dichiarazioni non veritiere, è prevista inoltre la riduzione delle aree di autodichiarazione (non solo per il reddito ma anche per il patrimonio), l’incrocio delle diverse banche dati fiscali e contributive (Inps, Agenzia delle Entrate, eccetera), e l’integrazione di informazioni a livello nazionale e locale.

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UNA RIFORMA POSITIVA

Chi beneficerà della riforma? Il nuovo Isee dovrebbe avvantaggiare le famiglie numerose e quelle in cui sono presenti i disabili più gravi e più poveri. È bene tuttavia ricordare che l’indicatore è solo un metro di misura della condizione economica, mentre la determinazione delle soglie di accesso alle prestazioni o la compartecipazione ai costi è di competenza degli enti erogatori. Non saranno quindi tanto le nuove modalità di calcolo dell’Isee, quanto piuttosto l’individuazione di nuove soglie o di nuovi profili tariffari da parte di chi eroga le prestazioni, a dettare vantaggi e svantaggi rispetto al sistema vigente.
Si poteva fare di più? Forse sì, perché la riforma perfetta non esiste. L’Isee non è stato esteso a prestazioni means-tested che non lo utilizzavano in precedenza. Ciò significa che continueranno a non essere assoggettate all’Isee le pensioni sociali, le integrazioni al minimo delle pensioni o gli assegni familiari: prestazioni che, per i criteri di selettività con cui sono attualmente erogate (il reddito a fini Irpef), non vanno solo alle famiglie povere ma si estendono a fasce della popolazione con Isee medio o medio-alto. La riforma lascia anche inalterata la scala di equivalenza originaria, che rimane una delle più generose tra quelle utilizzate a livello internazionale e nazionale. Si sarebbe invece potuto procedere alla costruzione di una nuova scala, stimata a partire dallo studio dei comportamenti di consumo delle famiglie. La stima di una scala di equivalenza “osservata” permetterebbe, tra l’altro, di tenere conto delle differenze nel tenore di vita medio delle famiglie residenti in aree geografiche diverse, una cosa che la scala di equivalenza dell’Isee (anche con le nuove maggiorazioni) non fa.
Nonostante questi rilievi, i punti di forza della riforma sono così numerosi che essa va giudicata positivamente. Il nuovo Isee, se i controlli non faranno cilecca, dovrebbe contribuire a migliorare la scarsa efficacia redistributiva del welfare italiano, mitigandone gli aspetti di categorialità esistenti e potenziando l’equità del sistema.

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  1. Giuseppe Borzì

    Ma per capire che bisogna dare un aiuto a tutti i disoccupati non pensate sia esagerato interpellare un grande studioso ……….non e meglio iniziare da domani a dare una mano a tutti i cittadini Italiani che ormai non trovano lavoro e nessuno più fa niente per aiutarli.

  2. Rodolfo

    L’Isee è un formidabile, magnifico strumento se applicato in un Paese normale. Applicarlo, anche se modificato, in Italia dove c’è un’evasione fiscale spaventosa, è velleitario ed ingiusto! Come sempre dichiareranno tutto i lavoratori dipendenti, mentre gli evasori continueranno bellamente a sghignazzare alle spalle degli onesti che, come sempre, pagheranno anche per loro tutti i servizi forniti dalle Pubbliche Amministrazioni.

  3. Leonardo

    Non vedo perché dovrei dichiarare cose che la Pubblica Amministrazione conosce già perfettamente. Conosce il mio reddito familiare, le mie proprietà meglio di me, i movimenti di conto corrente, la mia situazione lavorativa e di salute, sanno quando vado in un albergo, quale cellulare uso, quando passo in autostrada o in città mi leggono la targa, sanno se ho contratti di affitto, conoscono i titoli depositati in Monte Titoli e le mie rendite finanziarie, in ogni cosa che faccio devo dichiarare il mio codice fiscale. Perché devo dichiarare una cosa che poi lo stato deve controllare accedendo comunque a dati di cui dispone già? E poi, crediamo davvero che per definire criteri di esenzione dal pagamento dei servizi la strada corretta da percorrere sia quella di usare il bilancino del farmacista per valutare le numerose variabili che definiscono lo stato di bisogno di una famiglia? Siamo sicuri che il costo operativo di questi sistemi non superi i benefici? La semplice (si fa per dire) dichiarazione dei redditi come riferimento comporterebbe inefficienze così rilevanti?

  4. roberto

    La base di calcolo dell’ ISEE, essendo il reddito, è tutta falsa. I titolari dei redditi dei modelli UNICI, essendo falsi e l’evasione fiscale è lì a dimostrarlo, avranno accesso al NIDO prima di un titolare di un modello 730. Così per i vari ticket e per le tasse universitarie. Siamo in presenza del regime fiscale del vecchio statuto Albertino che i Costituenti,approvando l’articolo 53 della Costituzione,misero in soffitta. I legislatori ordinari si sono ben guardati dall’applicarlo, l’articolo 53, e la situazione attuale ( 2014 miliardi di debito pubblico e 260 miliardi di mancato gettito erariale per 450/500 miliardi di sommerso) è lì a dimostrarlo. La capacità contributiva ( redditi globali comunque conseguiti e deduzioni delle spese sociali e primarie certificate dalle ricevute fiscali) e progressività del sistema tributario ( nel suo complesso, tributi diretti ed indiretti sui consumi), è l’arma assegnata al legislatore ordinario per evitare l’evasione fiscale! Ma si vuole? No! Si preferisce mandare in malora il paese.

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