La certificazione della stretta creditizia è nei dati sullo stock di credito alle imprese. Ma uno degli ostacoli al rilancio dell’economia è proprio la dipendenza delle aziende dal settore bancario. Fondamentale che le imprese siano messe in grado di utilizzare forme alternative di finanziamento.
I DATI SUL CREDIT CRUNCH
Le condizioni di accesso al credito da parte delle imprese continuano a rimanere al centro dell’attenzione del dibattito economico. Rispetto al passato, il coro di chi invita le banche a essere più attente verso l’erogazione del credito ai diversi settori economici tende sempre più ad allargarsi. Sia il governatore che il direttore generale della Banca d’Italia, Ignazio Visco e Salvatore Rossi, hanno toccato l’argomento criticando, più o meno apertamente, l’operato degli istituti di credito. (1) A loro si è poi aggiunto l’autorevole richiamo del Presidente della Repubblica, che ha esortato le banche a riaprire i rubinetti del credito.
Grafico 1 – Prestiti alle imprese italiane*
* Sono incluse le società non finanziarie e le famiglie produttrici. La voce “prestiti” comprende, oltre agli impieghi vivi, le sofferenze e le operazioni pronti contro termine attive.
Fonte: Banca d’Italia e Istat. Previsioni Cer per il 2013.
Una delle poche voci fuori dal coro è quella dell’Abi che, per bocca del suo presidente Antonio Patuelli, ha negato l’esistenza del credit crunch, ovvero della restrizione creditizia. Per sostenere la sua tesi, l’Abi ha snocciolato una serie di dati sullo stock di credito complessivamente erogato dalle banche italiane negli ultimi venti anni, sottolineando il fatto che, secondo i dati più recenti, il credito è vicino ai suoi livelli massimi. Questo argomento, però, pecca in due fondamentali aspetti: i) il credito, essendo una grandezza espressa a prezzi correnti, risente degli effetti dell’inflazione, per cui ha avuto una naturale tendenza ad aumentare per il semplice fatto che il costo della vita negli ultimi venti anni è nettamente cresciuto; ii) considerando l’aggregato del credito complessivamente erogato all’economia italiana si includono, oltre alle famiglie e alle imprese, anche le società finanziarie, spesso collegate direttamente o indirettamente all’industria bancaria, e la pubblica amministrazione. Il credit crunch è, invece, una questione rilevante per un’economia quando va a toccare il suo tessuto produttivo, cioè le imprese, perché queste, senza un adeguato flusso di liquidità, non sono in grado né di investire né, nei casi peggiori, di svolgere l’ordinaria attività.
Concentrandoci solo sul dato dei finanziamenti alle imprese, si può riscontrare come il livello nominale raggiunto nel 2012 sia ben più basso di quello del 2011 e inferiore anche allo stock del 2010 (grafico 1). Le proiezioni per il 2013, ottenute sulla base delle stime Cer, segnalano un’ulteriore flessione: lo stock di credito alle imprese dovrebbe attestarsi poco al di sotto del livello osservato nel 2009. Anche in percentuale del Pil, lo stock di finanziamenti alle imprese è diminuito nel 2012, portandosi dal 62,9 per cento del 2011 al 61,4 per cento; le proiezioni per il 2013 vedono l’incidenza del credito continuare a diminuire fino al 60 per cento circa.
FONTI DI FINANZIAMENTI DIVERSE
Il quadro che emerge da questi dati segnala, quindi, uno scenario in cui il credito alle imprese è cresciuto molto nel periodo pre-crisi, per poi subire prima un rallentamento e poi una contrazione più marcata. In altri termini, nel contesto italiano si ritrova quel ciclo del credito che è alla base del fenomeno del credit crunch: dopo un periodo di bolla creditizia si arriva allo scoppio della bolla e all’inevitabile inversione di tendenza. Un aspetto che andrebbe enfatizzato, soprattutto per imparare dagli errori passati, è che il credito è cresciuto troppo nel periodo pre-crisi, anche grazie ai bassi tassi d’interesse nel periodo successivo al lancio dell’euro, drogando il mercato e permettendo a molte imprese di rimandare le necessarie ristrutturazioni. Ciò ha inoltre aumentato la dipendenza delle aziende dal settore bancario, che attualmente costituisce uno dei punti più deboli per il rilancio della crescita economica.
È fondamentale che le imprese si emancipino dalle banche utilizzando forme di finanziamento alternative. Tra i vari strumenti utilizzabili si possono citare il collocamento azionario, il private equity, il crowd funding, le emissioni obbligazionarie, i bond di distretto, le reti d’impresa. Alcuni di questi strumenti risultano difficilmente accessibili alle piccole e medie imprese. Il Governo Monti, per cercare di migliorare l’accesso alle fonti di finanziamento alternative a quelle bancarie, ha rimosso alcuni vincoli normativi e fiscali che rendevano più difficile l’emissione dei cosiddetti mini-bond, cioè delle obbligazioni con un taglio più ridotto rispetto a quelle che generalmente vengono contrattate sui mercati. Tuttavia, questi strumenti faticano ancora a svilupparsi, tant’è che si registra una sola emissione in tutta Italia, da parte di un’impresa del cuneese. Affinché possano decollare è importante che sui mercati si addensi sufficiente massa critica. C’è bisogno, in particolare, che una parte del risparmio delle famiglie, attraverso l’intermediazione professionale delle società di gestione del risparmio, venga indirizzato al sostegno diretto dell’economia reale. Perché ciò avvenga, però, è necessario spezzare proprio il connubio tra banche e società che gestiscono il risparmio. Il problema non è completamente nuovo, tant’è che già un secolo fa si scriveva: “mano a mano che le banche si sviluppano, e si concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli industriali”. A scrivere queste parole era Lenin, quindi forse c’è da attendersi una “rivoluzione finanziaria” per poter cambiare la faccia e la struttura del capitalismo italiano. (2)
(1) Visco I., 2013, Le banche italiane nella prospettiva della supervisione unica europea, intervento del Governatore presso Fondazione Rosselli XVIII Rapporto sul sistema finanziario italiano; Rossi S., 2013, intervento al Festival della scienza di Genova.
(2) Lenin, 1916, “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”. La frase è stata citata da Guido Rossi, nell’ambito della Giornata europea della giustizia civile.
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