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Il risparmio ha bisogno di trasparenza

Con l’Unione bancaria finirà per aumentare il rischio sopportato dai risparmiatori. Perché i risparmi che i privati cittadini affidano alle banche non saranno più tutti ugualmente sicuri. Ma c’è ancora molto da fare per garantire ai clienti una informazione semplice e allo stesso tempo efficace.
NUOVE PROCEDURE PER BANCHE IN CRISI
La lunga e accidentata strada verso l’Unione bancaria finirà per aumentare il rischio sopportato dai risparmiatori. Eppure questo fondamentale passaggio rischia quasi di passare inosservato e soprattutto di non essere accompagnato da un adeguato rafforzamento dei meccanismi di tutela dell’investitore.
La Germania ha dato il suo sì definitivo all’unione bancaria dopo che è stata ridotta al minimo la probabilità che vengano usati soldi tedeschi per mantenere in piedi banche di altri paesi. Infatti, la procedura prevista in caso di crisi di una banca, prevede tre fasi: il bail-in, cioè il coinvolgimento dei creditori; poi il ricorso al fondo nazionale di risoluzione delle crisi; infine l’accesso al fondo europeo (European Stability Mechanism).
La vera novità è il bail-in, cioè una ristrutturazione del debito, praticamente forzosa, che inizierà a essere applicata dal 2016 (dunque quando gran parte delle passività di oggi delle banche saranno giunte a scadenza). Con questa fondamentale innovazione, da oggi le passività delle banche europee si distinguono in due grandi categorie: le passività assicurate (i depositi fino a 100mila euro) e le altre, che possono essere detenute da privati risparmiatori o da investitori qualificati.
Se dovesse scattare la tagliola del bail-in (la prima linea di difesa, si badi, non più i fondi o le garanzie pubbliche finora utilizzate nel momento dell’emergenza) è difficile che si possa distinguere per tipologie di investitori e dunque tutti verrebbero trattati secondo la scala di priorità prevista dalle diverse tipologie di credito, esattamente come succede in una procedura concorsuale tra i creditori privilegiati e quelli chirografari.
Dunque, da oggi i risparmi che i privati cittadini affidano alle banche non sono tutti ugualmente sicuri. Eppure è proprio questo l’obiettivo prioritario del risparmiatore italiano. Lo dicono i sondaggi; lo dice la composizione della ricchezza finanziaria, dominata da depositi, obbligazioni bancarie e titoli di Stato; lo dice il fatto che la quasi totalità dei prodotti è acquistata allo sportello, per la fiducia che si continua a nutrire nella “banca sotto casa” (le cicatrici delle obbligazioni Cirio e Parmalat sembrano guarite miracolosamente).
L’INFORMAZIONE SUI RISCHI
Oggi la ricchezza finanziaria delle famiglie comprende 668 miliardi fra contanti e depositi a vista; 518 di altri depositi e 347 di obbligazioni bancarie. Si badi che questo valore è quasi doppio dei titoli di Stato (166 miliardi) e molto più alto dei fondi comuni (297 miliardi).
Le obbligazioni bancarie, cioè le passività non assicurate, sono quindi una componente importante del risparmio: il 12 per cento circa del totale (3,7 trilioni di euro) depurato dalle azioni (778) in gran parte costituite dal capitale della piccola e media impresa.
Eppure le banche continuano a emettere titoli strutturati, dunque con una forte componente di rischiosità finanziaria, che si aggiunge alla componente di rischiosità dell’emittente che da oggi assume ben diversi contorni rispetto al passato. Abbondano titoli con rendimenti legati a variabili che non riflettono in alcun modo esigenze di copertura di un risparmiatore medio. Un esempio interessante è un titolo che in questi giorni viene commercializzato dalla rete di Banca Intesa: si tratta di un’obbligazione quadriennale che paga una cedola del 3,75 lordo all’anno solo se a quattro date fisse, il dollaro Usa non si sia deprezzato rispetto all’euro. In pratica, una scommessa sull’apprezzamento del dollaro (ma in giorni fissi, non in periodi che possono mediare movimenti casuali).
In tutti gli altri casi, la cedola è pari a zero, ma le condizioni di offerta annunciano con enfasi un “livello di protezione” pari al 100 per cento del prezzo di sottoscrizione e dunque “la perdita potenziale per il sottoscrittore alla data di scadenza è pari a zero”. Il che non è esatto e infatti alla pagina 3 della nota informativa, si aggiunge che “in merito alla corresponsione dell’eventuale ammontare dovuto in relazione al [titolo] gli investitori possono fare affidamento sulla solidità finanziaria dell’emittente senza priorità rispetto agli altri creditori non privilegiati dell’emittente stesso. In caso di insolvenza dell’emittente, l’investitore sarà un mero creditore chirografario e non beneficerà di garanzia alcuna per la soddisfazione del proprio credito nei confronti dell’emittente”.
Va detto che la nota informativa del titolo in questione contiene molti dati che aiutano un investitore esperto a capire che non si tratta di un investimento appetibile: il costo è elevato (2,80 per cento), lo smobilizzo durante i quattro anni può comportare costi ulteriori; il rendimento medio probabile è praticamente uguale a quello del Btp di pari scadenza e il Var addirittura superiore.
Nonostante questo sforzo di trasparenza, sorgono almeno tre problemi. Primo: si tratta di informazioni che vengono fornite volontariamente dall’emittente perché il livello minimo di informazione è molto più basso. Secondo: proprio per questo motivo, le informazioni in questione possono essere apprezzate solo da chi ha un livello di conoscenza finanziaria molto elevato, di gran lunga superiore a quello mediamente espresso dalla stessa rete di vendita delle banche. Ne deriva il terzo problema: si apre una voragine fra la rischiosità di un titolo come viene rappresentata nel documento informativo e la rischiosità come viene presentata agli sportelli dai dipendenti della banca. Questi ultimi, fra l’altro, vengono sempre più valutati in base all’importo complessivo dei prodotti collocati, senza alcuna distinzione per i livelli di rischio, con i migliori saluti alla customer satifaction, di cui tanto si disquisisce nei convegni in cui il buonismo bancario scorre a fiumi. Ma nella realtà, le esigenze del budget impongono tali pressioni alla rete di vendita, da far passare assolutamente in secondo piano la protezione del risparmiatore.
Tutto questo significa che [tweetability]gli sforzi delle autorità internazionali per coniugare semplicità ed efficacia dell’informazione fornita al cliente sono ancora ben lungi dall’aver raggiunto risultati accettabili.[/tweetability] Si è discusso per anni di cosa inserire nel Kiid (Key Investor Information Document) e cioè quali sono le variabili da considerare necessarie (e in qualche modo sufficienti) per comprendere il rischio. La Consob ha escluso che fra queste debbano rientrare gli scenari probabilistici, cioè una rappresentazione in forma tabellare che è in grado di fornire importanti indicazioni sulle probabilità relative al rendimento previsto, al rientro del capitale e all’orizzonte minimo di investimento per recuperare l’esborso iniziale. Inoltre, è possibile attribuire a ciascuno strumento un indicatore di rischio in una scala da uno a sette. I concetti come si vede sono elementari: il rendimento, i tempi di recupero, la classe di rischio.
L’obiezione che viene avanzata dai critici di questo approccio è che il risparmiatore comune non è in grado di comprendere il concetto di probabilità e dunque verrebbe inevitabilmente fuorviato. La motivazione soft è che questo tipo di informazioni potrebbe mettere in cattiva luce anche prodotti finanziari a grado di rischio relativamente basso e dunque sarebbe controproducente. L’interpretazione più maliziosa (che Giulio Andreotti avrebbe sposato immediatamente) è che non bisogna disturbare troppo le banche in un momento in cui hanno bisogno di emettere titoli a tassi relativamente contenuti e inferiori a quello che il mercato chiederebbe. Dunque, si scambia un po’ di opacità in nome delle superiori esigenze delle banche, sorvolando assai poco elegantemente sul fatto che hanno già beneficiato di quell’autentica pioggia di liquidità dispensata dalla Bce a costi ridottissimi.
A parte ogni questione di equità, non sembra affatto il caso di abbassare la guardia: non solo la crisi rende ancora più importante proteggere la ricchezza finanziaria delle famiglie, ma come si è visto, le passività bancarie diverse dai depositi presentano da oggi gradi di rischio del tutto sconosciuti in passato che richiedono tutele rafforzate. Non a caso, varie autorità europee e lo stesso organismo internazionale di coordinamento dei regolatori (Iosco) hanno riaperto il dibattito. E basta vedere quanto è efficace la rappresentazione che si ricava da alcuni siti specializzati (ovviamente sconosciuti ai più) per capire quanto sia opportuno puntare su un altro tipo di informazione e in particolare sulle probabilità annesse a vari scenari futuri.
Ad esempio il sito ci informa che il fair value del prodotto si traduce in tre probabilità-chiave: una del 12,26 per cento di conseguire un risultato negativo e ottenere in media la restituzione di 48,26 euro rispetto a 100 investiti (equivalente a un rendimento medio annuo negativo pari al -16,65 per cento); un’altra del 24,10 per cento di recuperare il capitale investito; una terza del 63,64 per cento di conseguire un risultato positivo ed ottenere in media la restituzione di 109,86 euro rispetto ai 100 euro investiti (equivalente a un rendimento medio annuo positivo pari a 2,38 per cento). Forse in questo modo anche un entomologo distratto capisce che il capitale non è affatto assicurato e che nella maggior parte dei casi si porta a casa il rendimento di un tranquillo Btp.
La Consob non solo tace sull’argomento, ma sembra aver ingaggiato una battaglia ideologica contro gli scenari probabilistici e i funzionari che la sostengono. È possibile che esistano forme ancora più semplici di presentare la distribuzione dei rendimenti attesi, ma è certo che – come dimostra il caso riportato – l’informativa attuale è inadeguata, soprattutto se si guarda al livello minimo oggi richiesto. Lasciare la situazione invariata non è più giustificabile, anche perché, come si è visto, da oggi il risparmio che si rivolge alla banca corre maggiori rischi. L’Unione bancaria comporterà costi elevati, che però non devono essere pagati dal risparmiatore.

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Il Punto

  1. Giac

    Tale scenario coinvolge anche le passività assicurate (i depositi fino a 100mila euro)? Eventualmente, in che modo? Grazie molte

  2. Il problema grave dell’unione bancaria non e’ su chi paga quando vi è il default della banca, ma sulla regolamentazione del credito, ricordo che le banche sono oltre alla Bce gli altri attori che possono creare moneta, regolamentare tale svolgimento di attività sotto la Merkel vuole dire completare l’unione monetaria a piacimento della stessa Merkel, la quale fino ad oggi è stata contraria ad una politica monetaria espansiva.

  3. Enrico

    Mi associo alla domanda di Giac: le passività assicurate (depositi fino a 100K€) in caso di “fallimento” della banca, come verrebbero trattati?
    In breve: il bail-in garantirebbe ancora di ricevere il proprio deposito in tempi relativamente rapidi, oppure si rischierebbe comunque di perderlo?

  4. L’unione bancaria raggiunta evita che il default di una banca crei una crisi finanziaria: questo può essere anche vero, ma già solo l’accordo raggiunto crea la crisi finanziaria. Infatti tale unione bancaria aumenta il credit crunch alle imprese, limita l’operatività delle banche e quindi la loro possibilità di creare base monetaria.

  5. Sarastro

    Gentile prof. Onado,
    pur condividendo l’obiettivo del suo articolo, non posso non notare alcune inesattezze. Innanzitutto, le informazioni fornite da Intesa Sanpaolo non sono volontarie: è la Consob a richiedere sin dal 2009 (comunicazione n. 9019104) che i prodotti ‘illiquidi’ siano confrontati con “prodotti semplici, noti, liquidi ed a basso rischio”. Il fatto che Intesa Sanpaolo sia una delle poche banche ad adempiere compiutamente a tale obbligo andrebbe quindi adeguatamente considerato. In secondo luogo, sia la Consob sia soprattutto l’ESMA hanno dato indicazioni molto chiare sulle politiche commerciali e di remunerazione delle reti di collocamento di prodotti finanziari. Il fatto che non siano adeguatamente applicate è probabilmente da ascrivere alla mano troppo “leggera” degli ispettori Consob. Infine, l’esclusione degli scenari probabilistici dal Kiid non è certo un’iniziativa della Consob, che anzi aveva imposto questo tipo di valutazione nella documentazione precontrattuale delle polizze assicurative a contenuto finanziario (index linked e unit linked). Si tratta di una decisione maturata in ambito UE, anche se non escludo che l’attuale vertice Consob sia ben felice di aderirvi, purtoppo.
    In generale, credo che sarebbe quanto meno opportuno seguire il modello britannico, separando l’autorità di settore in due entità, una delle quali votata esclusivamente alla protezione degli investitori e con adeguati poteri di ispezione e – soprattutto – di sanzione. Con la direttiva MiFID II si sta cercando di rafforzare l’impianto sanzionatorio, ancora una volta sul modello britannico, ma l’ordinamento italiano richiederà interventi significativi al riguardo.

  6. Tutti plaudono all’unione bancaria, in sintesi si applicano le regole subito, ma il fondo di 55 mld viene costituito in dieci anni, è una presa in giro, ma chi pensa che si può durare dieci anni? Abbiamo un orizzonte di mesi e non di anni prima che vi sia lo sfascio dell’euro, si deve intervenire subito se si vuole salvare l’euro, l’economia ha bisogno di liquidità, l’unione bancaria sarà un ulteriore freno alla crescita della liquidità, sarà la mazzata finale.
    L’attuale governo e’ concentrato a “non sfasciare l’equilibrio dei conti dello stato”, ciò può andare bene un anno da nulla per puntare i piedi in Europa e fare cambiare il passo alla Bce, anzi ne sposa e plaude alla sua politica monetaria e plaude anche all’unione bancaria raggiunta.
    Questo è il più grande imbroglio raccontato agli italiani, mi auguro che i pubblicisti economici italiani, fino ad oggi al servizio dei padroni diano oggi uno slancio di onestà intellettuale e comincino a puntare i piedi in Europa.
    Economisti fuori dall’Europa, insigni premi nobel, stanno criticando l’operato della Bce ma nessuno dei nostri economisti appoggiano le loro critiche, anzi li ignorano.
    Il paradosso è che noi crediamo che ci sarà nel 2014 più 1% Pil e nel 2015 più 2% ,sono previsioni che vengono fatte da tre anni e sempre puntualmente smentite con un -2% Pil annuo. E nessuno dice nulla! Perché dobbiamo credere a queste favole: invece i paesi come l’Inghilterra e l’America che stanno facendo + 3% hanno economisti non credibili. Questo e’ il più grande imbroglio raccontato agli italiani, che ha fatto più danni di una guerra.

  7. umberto

    La battaglia ideologica l’ha ingaggiata la Consob qualche anno fa, ma in favore degli scenari probabilistici, rimanendo isolata in ambito Esma. La stima dei rendimenti attesi e, soprattutto, l’orizzonte temporale, inteso come recupero dei costi e misurato con la probabilità neutrale al rischio, crea più problemi metodologici di quanti ne risolva per una maggiore trasparenza in favore dell’investitore medio: per questo nel KIID non c’è. Tale impianto da “talebani quantitativi” è rimasto solo nei prospetti dei prodotti finanziari ed assicurativi italiani, mentre, ad esempio, i fondi esteri hanno il vantaggio di non riportarlo. Il livellamento del piano di gioco nel risparmio gestito è senz’altro un motivo di preoccupazione maggiore rispetto ai poveri funzionari dell’Authority italiana che sono caduti in disgrazia nella Consob di Vegas; tra l’altro, a voler essere maliziosi “à la Andreotti”, questi funzionari mi sembrano godere di buone entrature, oltre che nel sindacato, anche in ambito accademico milanese, se sono riusciti a coinvolgere un peso massimo come il prof. Onado.

  8. fabrizio d'ippolito

    qualsiasi concentrazione crea squilibrio. così come la concentrazione bancaria che ha creato mostri così grandi da essere difficilmente abbattibili, ma che una volta caduti trascineranno con se interi sistemi.

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