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Tante proposte per il reddito minimo: ecco le differenze

Non c’è solo la differenza di costi tra le diverse proposte di reddito minimo. Per M5S e Sel i beneficiari sono gli adulti potenziali lavoratori. Si sottovalutano così i bisogni specifici dei minori. Ma anche dei giovani adulti senza qualifica. I problemi che nascono dalla titolarità individuale.


MOLTI PROGETTI E UN PO’ DI PRESSAPPOCHISMO
Reddito di cittadinanza, proposto dal Movimento 5 Stelle, reddito minimo garantito proposto da Sel, sostegno di inclusione attiva (Sia), proposto dalla commissione di esperti coordinata dalla vice-ministra Guerra su mandato del ministro Giovannini – che cosa accomuna queste ipotesi e che cosa invece le distingue? Parlo solo di queste perché le prime due sono state depositate in Parlamento sotto forma di proposta di legge e la terza, pur rimanendo ancora allo stato di progetto di una commissione, è stata fatta propria dal ministro del Lavoro. Ce ne sono tuttavia anche altre, tra cui il reddito di inclusione attiva (Reis) proposto dalle Acli e il reddito minimo di inserimento proposto da Irs e Capp, che in qualche misura possono essere fatte confluire, come impianto complessivo, nel modello Sia. Al di là delle etichette, si tratta sempre di proposte di sostegno al reddito per chi si trova in povertà. Né un reddito di cittadinanza garantito a tutti i cittadini a prescindere dal reddito disponibile, quindi, né un sostegno destinato solo a particolari categorie di poveri, come la vecchia e nuova carta acquisti (destinate ad anziani e famiglie con figli), o l’assegno e pensione sociale (destinati rispettivamente a disabili e anziani poveri). (1)
Tito Boeri e Paola Monti su questo sito hanno già evidenziato le differenze, enormi, in termini di costo tra la proposta di M5S e il Sia. Le differenze sarebbero ancora maggiori nel caso della proposta di Sel, che prevede di assegnare l’intero importo e non la differenza tra reddito disponibile e soglia di povertà individuata, creando così disuguaglianze tra gli stessi beneficiari. Ho il sospetto che in parte la lievitazione dei costi non sia voluta intenzionalmente, ma sia l’esito di un pressappochismo nel valutare i complessi meccanismi che occorre mettere a punto per attuare una misura di integrazione del reddito che sia non solo economicamente sostenibile: scale di equivalenza per eguagliare il reddito di famiglie di diversa ampiezza, valutazione del patrimonio e non solo del reddito corrente e così via. Elementi, per altro, cui può venir incontro il nuovo Ise e che sono presenti e documentati nelle diverse stime e nei lavori di accompagnamento del Sia e nelle proposte di Acli e Irs/Capp. Così come va discusso l’importo di base. I 600 euro mensili per una persona sola che diventano velocemente oltre mille con il crescere della numerosità della famiglia proposti sia da Sel che da M5S sono un importo realistico in Italia, dove alcune pensioni minime, ma anche alcuni redditi da lavoro rischiano di essere più bassi? In Germania l’importo base del reddito minimo è di 350 euro, sia pure integrato per affitto e riscaldamento, in Francia è di 425 euro, in Inghilterra dai 300 ai 500 euro. E non si tratta di paesi con il costo della vita più basso del nostro.
I BISOGNI SOTTOVALUTATI
Queste “tecnicalità” sono un aspetto importantissimo della misura che si propone e non possono essere sottovalutate. Ritengo, tuttavia, che vadano affrontate e valutate anche altre differenze.
La prima riguarda l’immagine dei beneficiari – sia nella proposta M5S che in quella di Sel – come tutti adulti e potenzialmente lavoratori. La proposta di Sel (articolo 1 comma 2) parla di “disoccupati, inoccupati, lavoratori precari”. Quella di M5S definisce gli aventi diritto come cittadini italiani (o residenti legalmente in Italia da almeno due anni) “che abbiano compiuto 18 anni di età”. È vero che entrambe le proposte tengono conto di eventuali “famigliari a carico”, in particolare di minori. Ma questi sono visti appunto solo come “a carico”, non come soggetti che, essendo in condizione di povertà, abbisognano di specifici sostegni in termini, ad esempio, di accesso alla formazione, alla salute e così via. Per altro, nella proposta M5S sembra persino ignorato che anche molti giovani maggiorenni abbisognano di sostegni formativi prima di essere spinti nel mercato del lavoro. All’articolo 4, comma 2, infatti, si stabilisce che i giovani tra i 18 e 24 anni in condizione di povertà, per accedere al beneficio debbono possedere già una qualifica professionale riconosciuta o stare per acquisirla, senza che ci si ponga il problema di che cosa fare nei confronti dei Neet (Not in education, employment or training) privi di qualifica.
Vengono ignorati ache altri vincoli alla partecipazione al mercato del lavoro, il cui superamento non può essere lasciato solo alle risorse individuali: gravose responsabilità di cura verso figli piccoli o famigliari non autosufficienti, parziali disabilità, dipendenze e simili. La sottovalutazione dei vincoli alla partecipazione al mercato del lavoro è insieme causa ed effetto dell’affidamento della gestione delle misure di sostegno non monetario pressoché solo ai centri per l’impiego, laddove il Sia prevede che sia la rete dei servizi sociali, eventualmente in collaborazione con i centri per l’impiego, ma anche le scuole e le associazioni di terzo settore, a mettere a punto le azioni di sostegno necessarie nei diversi casi.
Una seconda differenza di impianto riguarda l’enfasi, nelle proposte di Sel e M5S rispetto al Sia, sulla titolarità individuale al beneficio da parte di tutti i maggiorenni in una famiglia. Una titolarità che si esprime anche nella esigenza che non solo ciascuno riceva individualmente la sua quota di beneficio, ma faccia richiesta separatamente. Boeri e Monti hanno giustamente osservato che questo produrrebbe un sovraccarico amministrativo insostenibile. Anche la soluzione di compromesso, di erogare individualmente a ciascuno la propria quota, sulla base di una domanda famigliare, per quanto attraente sul piano della responsabilizzazione individuale, trova, a mio parere, un ostacolo nella vanificazione delle economie di scala che ciò comporterebbe, con il rischio che non rimangano soldi per le spese comuni (affitto, bollette, cibo) che sono la parte più grossa dei bilanci famigliari.
Piuttosto che scontrarsi e lanciarsi pubblici anatemi, sarebbe opportuno confrontarsi su queste e altre questioni, al fine di costruire un sostegno condiviso a una misura di cui si sente l’urgenza a fronte dell’aumento della povertà e della deprivazione.
(1) A differenza dell’emendamento alla Legge di stabilità presentato da quindici senatori del Pd, che invece riserverebbe il sostegno solo a chi non accede alla Cig o al fondo per l’autosufficienza.

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20 commenti

  1. Enrico

    Grazie dell’articolo, riassume chiaramente le differenze ed aiuta a comprendere meglio le impostazioni delle diverse proposte.
    A tal proposito, personalmente, darei un’impostazione basata sul contributo alle spese (es. affitto, spese scolastiche, mense, etc) piuttosto che l’erogazione diretta di denaro.

  2. Fabio Garacci

    Gentile Chiara Saraceno, mi piacerebbe leggere qualche approfondimento dal alto copertura costi. Sel ad esempio parla di una tassa dello 0,5% per i patrimoni sopra ai 500mila euro.

    • Chiara Saraceno

      Saraceno
      Nelle diverse proposte ci sono – differenti – indicazioni su come si può trovare la copertura, anche se ho l’impressione che nelle proposte di SEL e M35 ci sia una sottovalutazione del costo e una sopravvalutazione dei cespiti che si potrebbero utilizzare, a partire da una revisione di alcuni degli istituti esistenti che, pur avendo un obiettivo redistributivo, spesso sono disegnati male, inefficienti e lasciano fuori chi avrebbe più bisogno. Ciò detto, l’attuazione, anche per gradi, di un reddito minimo è innanzittutto una scelta politica. Se si decide che è necessario e importante, occorrerà ridefinire le priorità. Temo che sia difficile farlo in un paese che, per esempio, vede l’abolizione dell’IMU sulla prima casa per tutti come una cosa buona e giusta.

  3. Michele Esposito

    chiamatelo come volete,basta che lo date a chi tocca ma fate presto non ce la facciamo piu’

  4. Piero

    Sarà la fine dell’economia italiana, inserire un reddito minimo per i giovani, e’ un disincentivo per il lavoro, purtroppo non c’è’ e non vi potrà mai essere un diritto a volere fare il lavoro che piace sotto casa, quindi tale compenso potrà essere erogato quando un cittadino non trova il lavoro, anche lontano da casa, come si potrà fare tale accertamento; naturalmente altra cosa e’ l’aiuto che lo stato deve dare ai poveri e agli indigenti.
    Se aumentiamo le imposte per tale copertura, naturalmente si deve aumentare le tasse sul lavoro e sulle imprese, quindi si va a colpire chi deve creare il lavoro, tassare gli immobili, non è la soluzione, in Italia abbiamo visto che la tassazione del patrimonio immobiliare ha bloccato totalmente l’attività edile, creando disoccupazione, ricordo che il settore edile e’ il settore dove si colloca di solito la manodopera meno qualificata, che ci troveremo sul mercato a chiedere la CIG.
    Lo stato deve spendere per la formazione, non per il reddito di cittadinanza che alla fine e’ solo demagogia, si devono migliorare i centri del lavoro, sono troppo burocratizzati, abbiamo le agenzie per il lavoro interinale che funzionano, e sufficiente eliminare i centri per l’impiego, le agenzie per il lavoro interinale possono svolgere tale ruolo, magari creando un consorzio tra le stesse, si deve fare formazione anche linguistica e cercare su base europea di offrire opportunità lavorative per la classe dei giovani, in fin dei conti si può lavorare anche a Parihi se non trovo il lavoro sotto casa

    • Chiara Saraceno

      Saraceno
      nessuna delle proposte che discuto nel mio articolo parla di un reddito minimo per i giovani. Tutte parlano di reddito minimo per chi – giovane e non giovane – si trova in povertà. E tutte introducono un qualche tipo di condizionalità per chi è abile al lavoro.

      • Ho letto le conclusioni della Commissione del Sia di cui Lei ha fatto parte, vorrei fare due osservazioni, la prima che il sostegno alla povertà vada fatta dall’ente locale più vicino al cittadino, sicuramente sarà più oculato, non vorrei creare un esercito di falsi invalidi, dopo CGE il costo venga rimborsato dallo stato con il trasferimento all’ente territoriale può andare bene, la seconda osservazione consiste nel trasferimento allo stato dell’abitazione di proprietà del povero, ossia se scatta l’obbligo dell’assegno di sostentamento in presenza di proprietà immobiliare, le stesse vanno allo stato, rimane al sostenuto il diritto di abitazione per tutta la vita, mi spiego meglio se i parenti non intervengono nei confronti di un familiare indigente, ma interviene giustamente lo stato, domani con la sua morte non può andare la proprietà agli eredi che in vita gli hanno negato aiuto.
        Sono due osservazioni che a prescindere dalle misure dell’aiuto, servono a destinare effettivamente e concretamente le risorse ai veri poveri.

  5. Daniele Pesco

    Grazie per l’analisi critica, siamo Daniele Pesco, Nunzia Catalfo e Marco Baldassarre, tre persone che hanno partecipato alla redazione della proposta di legge, che ci piace definire come proposta.0 in quanto stiamo raccogliendo le osservazioni degli attivisti in rete che saranno utili per redigere la versione definitiva.
    Riassumendo ci sembra che la sua critica focalizzi sui seguenti punti:
    – importo della misura
    – complessità dei meccanismi di valutazione e di erogazione
    – reddito individuale
    – centri per l’impiego
    – maggiori di 18 anni non qualificati
    – partecipazione al mercato del lavoro da parte di tutti
    – servizi sociali dei comuni
    – Importo della misura.
    A prescindere dell’importo massimo del valore del beneficio, che nella versione definitiva potrà anche cambiare, il fatto di considerare la base reddituale dei richiedenti come punto di partenza per la valutazione dell’erogazione, in modo da portare tutti ad uno stesso livello di reddito ci sembra un vero e concreto gesto di uguaglianza verso tutti i cittadini, proprio il contrario della sua affermazione.
    – Complessità dei meccanismi di valutazione e di erogazione
    sinceramente ci sembra che i procedimenti indicati siano certamente nuovi ma non così tanto complessi. Siamo dell’idea che un banale strumento informatico potrà rappresentare un’ausilio ideale per lo svolgimento dei processi di inserimento della domanda; processi che potranno prevedere i seguenti passi di input: analisi e inserimento dei dati riferiti al nucleo familiare, analisi e inserimento dei dati riferiti ai redditi e output: importo dell’erogazione.
    In caso di nucleo familiare la presentazione della domanda da parte di un componente dà avvio al processo riferito all’intero nucleo. L’erogazione può avere luogo solo quando il quadro riferito al nucleo familiare e ai redditi si compone di tutte le sue parti. L’erogazione per ogni familiare maggiorenne avviene solo su richiesta del singolo familiare, si potranno prevedere strumenti per velocizzare la presentazione delle domande da parte di tutti i familiari maggiorenni o alternativi sistemi di delega.
    Il patrimonio non è stato preso in considerazione in quanto siamo dell’idea che i cittadini, in linea generale, non debbano sacrificare i propri beni a causa della mancanza di lavoro causata per lo più da scelte sbagliate eseguite dalla politica e dai governi. Non escludiamo però che il patrimonio individuale possa essere considerato nel momento in cui si renda necessario creare delle graduatorie per eccesso di richieste.
    -Reddito individuale.
    Siamo dell’idea che sia giusto che tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti, siano essi figli maggiorenni, marito, moglie, padre o madre. Non ammettiamo che in una famiglia un qualsiasi componente possa prevaricare appropriandosi del reddito destinato ad altri familiari. La misura individuale seppur ridotta rappresenta sia una possibilità di emancipazione economica per il singolo componente del nucleo familiare, sia un invito alla responsabilità finalizzata al pagamento delle spese comuni familiari. Inoltre il percorso di inserimento lavorativo è individuale e prende avvio con la presa in carico del soggetto al momento dell’iscrizione presso il centro per l’impiego, sempre e comunque nel pieno rispetto della famiglia e non come elemento divisivo della stessa.
    – Centri per l’impiego.
    Si rende necessaria l’attuazione del reddito di cittadinanza essenzialmente perchè nel nostro Paese è scarsa la domanda di lavoro e perchè gli attuali strumenti sociali non sono sufficienti per garantire a tutti un’adeguata dignità di vita. E’ fondamentale quindi che il sostegno al reddito sia inequivocabilmente legato all’attuazione di vere politiche attive del lavoro. Per questo motivo la regia sarà gestita dai centri per l’impiego che non saranno solo il punto d’incontro tra domanda e offerta, ma saranno il fulcro per il miglioramento dell’offerta di lavoro, saranno i luoghi dove chi cerca lavoro sarà accompagnato in modo concreto verso percorsi formativi e di qualificazione professionale, saranno luoghi di scambio e di confronto di esperienze professionali, saranno laboratori finalizzati alla creazione di lavoro e di imprenditoria, saranno centri di incontro tra enti pubblici e anche privati, al fine di sostenere la nascita di nuove realtà imprenditoriali condivise. In questo ambito soprattutto i comuni avranno un ruolo importante per l’interscambio di informazioni con i cpi per lo sviluppo delle attività economiche vocazionali del territorio.
    -Maggiori di 18 anni non qualificati
    Se un giovane non è qualificato deve nel modo più rapido possibile conquistare la dignità di potersi presentare a un colloquio di lavoro. Per questo motivo è stato inserito l’obbligo del possesso o del conseguimento di un qualsiasi titolo professionale. Il reddito in ogni modo verrà erogato anche durante la frequentazione del corso. La ratio della scelta è di stimolare la partecipazione attiva dei giovani alla società ed alla costruzione del “progetto di vita” evitando così che il beneficiario percepisca passivamente il reddito.
    Il reddito di cittadinanza non è una misura di politica passiva, bensì attiva.
    -Partecipazione al mercato del lavoro: nella critica si legge che vengono ignorati i vincoli della partecipazione al mercato del lavoro, il cui superamento non può essere lasciato solo alle risorse individuali: gravose responsabilità di cura verso figli piccoli o famigliari non autosufficienti, parziali disabilità, dipendenze e simili.
    Nella proposta abbiamo indicato che le persone disabili grazie alle attuali norme continueranno a seguire i percorsi riferiti al collocamento obbligatorio, la madre o il genitore che accudisce il figlio sarà escluso dagli obblighi riferiti al lavoro per i primi tre anni di età del figlio, i soggetti più bisognosi di attenzione saranno seguiti dai servizi sociali dei comuni. Nessuna modifica è prevista ai processi di accesso alle pensioni di invalidità, anche se riteniamo che anche in questo caso, sia necessario intraprendere un percorso riformatore, al fine di eliminare ed evitare gli attuali e numerosi abusi.
    – Servizi sociali dei comuni
    I casi più delicati e a rischio di emarginazione sociale. saranno seguiti dai servizi sociali dei comuni che dovranno mettere in atto processi finalizzati al superamento delle difficoltà delle persone svantaggiate per l’ottenimento del reddito di cittadinanza.
    In conclusione riteniamo che le critiche sono sempre ben accette solo quando sono obbiettive e riferite in modo corretto al testo analizzato. In questo caso e anche nel caso delle osservazioni fatte da Boeri (in leggero conflitto di interesse visto che è stato membro del gruppo di studio del SIA) e Monti abbiamo la sensazione che il testo sia stato travisato in molte parti. Inoltre tralasciate un aspetto secondo noi degno di tutto rispetto e importanza, per la prima volta nella storia d’Italia una proposta di legge pensata e redatta in prima battuta da parlamentari eletti dai cittadini viene discussa, implementata, modificata, integrata dai cittadini stessi.
    In ogni modo grazie per le possibilità che puntualmente ci offrite per dimostrare quanto la nostra proposta sia completa e idonea a soddisfare l’urgente necessità di inclusione e di dignità.

  6. Enrico

    Buongiorno,
    avrei due domande:
    1) quali mezzi di verifica vengono previsti per eventuali dichiarazioni mendaci? (es.: verifica del reddito, della situazione famigliare, delle proprietà, in breve dei requisiti ad avere diritto a tale reddito)
    2) Non c’è il irschio di incentivare l’evasione ed il lavoro nero al fine di continuare a percepire tale reddito?
    Grazie

    • Sertin

      Non sono Daniele e personalmente preferisco forme di lavoro minimo garantito a tutte le altre proposte (fatti salvi quelli che percepirebbero il sussidio frequntando validi corsi di formazione), ma per rispndere alle tue domande :
      1- ” valutazione del patrimonio e non solo del reddito corrente e così via. Elementi, per altro, cui può venir incontro il nuovo Ise…”
      sta scritto nell’articolo della saraceno;
      2- son convinto che se in cambio di queste misure di inclusione i cittadini non cambiano mentalità, quindi accettando vere forme di repressione del lavoro nero ed evasione fiscale, allora non ci meritiamo nulla!

      • Enrico

        Grazie della risposta.
        1 – Ma l’Ise non è autocertificato? Non voglio essere polemico ma la domanda è legittima: se abbiamo un’evasione imponente (e non è fatta da 2 o 3 grandi evasori, basta vedere quanti rilasciano lo scontrino in negozi, mercati e affini), come si pensa di garantire la correttezza dell’erogazione?
        Capisco che porta piu consenso parlare di erogazione di aiuti che lotta all’evasione, ma nella proposta di cosa fare servirebbe anche esplicitare il come (ripeto, non voglio essere polemico)

        • Chiara Saraceno

          Saraceno
          come ho risposto sopra, sono previsti controlli sulla dichiarazione ISEE. Aggiungo che i grandi evasori difficilmente richiederebbero questo tipo di sostegno, per tema di essere scoperti.

        • Sertin

          Perchè, Enrico, quando vai in banca o alla posta e fai un versamento oltre una certa soglia, nemmeno cifre tanto elevate per intenderci (forse per procedure casuali dei loro programmi o obblighi di antiriiclaggio -non so), non ti fanno firmare moduli appositi (quindi autocertificazione)?
          E’ ovvio che se dichiari il falso, come per l’ISEE che normalmente fanno i patronati sindacali, te ne assumi la responsabilità.
          Del resto non è che perchè si scoprono periodicamente alcuni falsi invalidi i cittadini si sollevano minacciosi contro l’istituzione delle pensioni di invalidità (cosa ormai considerata un fatto di civiltà).
          Forse il punto è che non siamo maturi in italia per il reddito minimo g. ed è anche per questo che io supporterei il lavoro minimo garantito, più in linea con la nostra Costituzione e più dignitoso (oltre che molto meno costoso, in quanto cmq i comuni sarebbero tenuti a far fare un qualche lavoro ai beneficiari, si spera di qualche utilità per la comunità).
          Poi come per tutto, una certa percentulae di furberei la si deve mettere sempre in conto, sperando di ridurla il più possibile.

          • Enrico

            Grazie delle risposte.
            Ammetto che il pessimismo, a volte, prevale.

    • Chiara Saraceno

      Saraceno
      1) tutte le proposte avanzate sin qui prevedono una verifica delle dichiarazioni dei richiedenti, ed anche verifiche più puntuali, ad esempio incrociando informazioni sui consumi con le dichiarazioni circa il reddito.
      2) Il rischio c’è, anche se la richiesta di partecipare a corsi di formazione o di essere disponibili ad accettare una offerta di lavoro in parte tiene sotto controllo chi lavora totalmente in nero. Aggiungo che, pur riconoscendo l’esistenza di questo rischio, lavorare in nero presenta molti svantaggi: non dà luogo a contributi a fini pensionistici, accesso alla indennità di disoccupazione e neppure alla indennità per infortuni sul lavoro. Chi è povero è spesso costretto a lavorare in nero per mancanza di alternative. Fornire un reddito perché si possa negoziare migliori condizioni di lavoro non mi sembra un’operazione cattiva.

  7. lavoceinfo

    di Chiara Saraceno:
    Grazie dell’attenzione con cui avete letto il mio commento. Rispondo per punti.
    – mi è chiaro che nella vostra proposta verrebbe erogata la differenza tra il reddito disponibile e la soglia. Il mio appunto, come detto chiaramente, riguarda la proposta di SEL, non la vostra.
    – Confermo la mia valutazione che la procedura delle richieste è inutilmente macchinosa (necessità che ciascun adulto maggiorenne faccia domanda individuale). Inoltre,nel ribadire l’opportunità di dare a ciascun maggiorenne la propria quota (una posizione che io stessa trovo idealmente attraente) non rispondete al quesito su come tener conto del fatto che molte spese, le principali (connesse all’abitazione, in larga misura anche al cibo)
    sono di tipo famigliare, non individuale. Se c’è il rischio che uno si appropri
    del denaro destinato a tutti (ma si possono mettere a punto strumenti per controllare e negoziare) c’è anche il rischio speculare che qualcuno non si consideri compartecipe delle spese comuni.
    Stiamo/state parlando di sostegno ai bisogni di consumo di base di chi è
    povero, non di poket money e neppure di reddito di cittadinanza a prescindere dalle condizioni di reddito.
    – Non tener conto del patrimonio introduce disuguaglianze gravi tra chi, a parità di reddito, ha un patrimonio (ad esempio la casa di abitazione, risparmi) e chi non lo ha. Si può discutere della quota di patrimonio che può essere ignorata, ma non tout court del patrimonio (di cui per altro si tiene conto nell’ISEE). Aggiungo che non si capisce perché vi riferiate all’ISEE per valutare il reddito disponibile, ma poi nel definire gli importi per diversa ampiezza famigliare procedete con altri criteri. Mi sembra contraddittorio e pasticciato.
    – Non è vero che è necessario un sostegno al reddito solo perché in Italia è scarsa la domanda di lavoro. Ci sono anche i lavori poco pagati e/o intermittenti. E c’è chi non può lavorare per il mercato perché non è abbastanza qualificato o perché soffre di qualche handicap psico-sociale o ancora perché ha gravi compiti di cura. Rispetto a quest’ultimo punto, esentare semplicemente dall’obbligo di partecipazione al mercato del lavoro chi ha compiti di cura gravosi (che per altro non riguardano solo i bambini molto piccoli), senza prevedere misure di accompagnamento e servizi che liberino tempo, rischia di innescare un percorso perverso. Le persone non ringiovaniscono e le loro qualifiche non migliorano mentre si dedicano a pieno tempo al lavoro di cura famigliare.
    – I centri per l’impiego non creano certo domanda di lavoro. Nel migliore dei casi, quando funzionano, fanno incontrare domanda e offerta e offrono strumenti per migliorare quest’ultima. Ma non è loro compito occuparsi di tutte le condizioni che possono accompagnarsi alla situazione di povertà e che non riguardano solo il mercato del lavoro, ma neppure solo i “casi più delicati”.
    – Sui giovani non qualificati la vostra risposta mi sembra più aperta di quanto scritto nella proposta di legge, anche se rimane un po’ di confusione tra titolo di studio come requisito (che si deve possedere preliminarmente) per chiedere il sussidio e invece come obiettivo, impegno, che si prende all’atto della richiesta.
    – Non credo proprio di aver travisato il vostro testo, che ho letto con molta attenzione e interesse e con il desiderio di contribuire a costruire uno strumento condiviso di sostegno al reddito per chi si trova in povertà. Tutte le proposte (anche il SIA) possono essere criticate e sono frutto di compromessi non solo a motivo delle risorse scarse ma anche delle priorità che ciascuno ritiene debba avere quella particolare misura. Certo, se le critiche sono ascoltate solo per trovare conferma a quanto si sia nel giusto e nel vero, non si va molto avanti. Oltre agli “attivisti in rete” non sarebbe male ascoltare e confrontarsi anche con chi su questi temi lavora da anni, pur senza possedere la verità, con altre proposte, con le diverse esperienze in atto in altri paesi, sui dibattiti di cui sono oggetto.
    Chiara Saraceno

  8. Eretico

    Prof.ssa Saraceno, mi permetta alcune riflessioni:
    1. Articoli come questo aiutano a riaprire la discussione sulla necessità di introdurre (finalmente) anche in Italia, una misura di contrasto alla povertà di tipo universalistico, discussione che periodicamente si apre quando si analizzano i bisogni e si richiude quando si calcolano i costi.
    2. Il panorama delle proposte in campo è più articolato rispetto a come lei l’ha presentato. Ha richiamato le proposte di SEL e M5S presentate in parlamento a fine ottobre ma ha trascurato la proposta del PD e quella di iniziativa popolare presentate sei mesi prima.
    3. Nessun reddito minimo sarà garantito senza una riforma complessiva del sistema assistenziale, cioè senza recuperare le risorse attualmente distribuite senza la prova dei mezzi o slegate dalla reale condizione di bisogno, provvedimento impopolare che richiede un atto di coraggio, ma che deve essere sostenuto perché va nella direzione di una maggiore equità.
    4. Nessuna riforma può essere realizzata senza un solido ed efficace sistema di controllo che garantisca la veridicità delle dichiarazioni, su questa criticità si gioca la riuscita di qualunque riforma del settore e il consenso dei cittadini.
    5. Mi chiedo come possa questo Governo/Parlamento approvare una riforma così radicale e onerosa se in due anni (DUE) non è riuscito neppure a riformare l’ISEE che richiede un semplice (per modo di dire) decreto attuativo?
    6. Alcune delle proposte presentate richiamano, anche se impropriamente, il reddito di cittadinanza. Probabilmente mentre le scrivevano avevano in mente il reddito minimo garantito ma avevano nel cuore il reddito di cittadinanza. Allora, perchè non aprire un dibattito vero sul Reddito di cittadinanza, proprio nel senso di basic income, un reddito garantito a prescindere, come diritto di cittadinanza al pari del diritto all’istruzione e il diritto alla salute?
    Cordialmente

  9. Chiara Saraceno

    Ha ragione nel segnalare che non ho considerato anche le proposte di legge del PD e quella di iniziativa popolare. Pur nella loro parziale diversità, tuttavia, anche queste due proposte condividono con quelle di SEL e M5S una attenzione pressoché esclusiva per gli adulti e per l’inserimento lavorativo, trascurando i minori, il come far fronte alle necessità del lavoro di cura e così via. Anche i meccanismi di calcolo tra individuale e famigliare non sono del tutto trasparenti. Ma tutto è migliorabile. Il fatto è che il PD non sembra neppure ricordare di aver avanzato la propria proposta (certo non ne ha fatto un elemento forte di negoziazione entro il governo). Ne è indiretta testimonianza il fatto che il sottosegretario PD Fassina prima ha sparato sulla proposta M5S “a prescindere”, poi ha confuso il modesto allargamento della nuova Carta acquisti approvato nel maxiemendamento alla legge di stabilità come l’avvio del reddito minimo.
    Ha ragione a sostenere che l’introduzione di una forma di reddito minimo dovrebbe avvenire contestualmente ad una riforma complessiva del sistema assistenziale. E’ un tema sottolineato da alcune delle proposte, ma non da tutte. Occorrerebbe anche rivedere le misure di sostegno al costo dei figli, attualmente frammentate e che spesso escludono proprio i più poveri. E, naturalmente, occorrerebbe approvare la riforma dell’ISEE.
    Infine, la persistente confusione tra reddito di cittadinanza universale a prescindere dal reddito e reddito di garanzia per i poveri (qualsiasi nome vogliamo dargli) non aiuta certo il dibattito in un clima politico e culturale così insensibile, quando non ostile, dentro e fuori il parlamento

  10. Giuseppe,

    Gentile Prof.ssa Saraceno,
    scrivo dalla Sicilia. Qui, ma penso anche in altre regioni del sud, i centri per l’impiego non funzionano, la formazione professionale è in mano a gente i cui nomi sono sotto la lente di ingrandimento della magistratura per gli scandali di cui la stampa ha dato spesso notizia, i servizi sociali comunali sono carenti ed inefficienti. Scandali riguardano anche l’elargizione dell’indennità di disoccupazione agricola erogata a falsi braccianti, la politica locale controlla spesso le vite e le speranza di intere comunità, pur di lavorare si è disposti spesso a vendere l’anima al diavolo, manca spesso il controllo del territorio da parte delle istituzioni, lo Stato è spesso percepito come una realtà astratta e si vive ( parlo dei tanti che non hanno le spalle coperte da famiglie benestanti) in una condizione di perenne ricatto morale e materiale. La dignità di tanti è ridotta a zero. Dalla Commissione Onofri ai giorni nostri non è cambiato nulla. Urge una soluzione per liberare dal ricatto non solo i giovani ma intere famiglie di disperati. Il reddito minimo garantito può essere un tentativo per liberare le Esistenze di molti. In Europa esiste da tempo non vedo il perché in Italia non si possa fare altrettanto. Raccomandazioni, Risoluzioni, Carta di Nizza, principi comuni di flexicurity, strategia europea 2020 ect ect. Un’infinità di documenti istituzionali affermano l’importanza di introdurre strumenti che favoriscano la coesione sociale, contrastino la povertà nel rispetto della dignità delle Persone. Non vogliamo la Carità esigiamo il riconoscimento di un Diritto di Libertà. La Libertà di poter sottrarsi al ricatto della politica clientelare. Il reddito minimo garantito può essere uno strumento di Libertà per tanti e credo che si possano trovare anche le risorse per finanziarlo. Non si ha il coraggio di affrontare il tema di una seria riforma degli ammortizzatori sociali, non si ha il coraggio di dire basta ad una miriade di irrazionali strumenti che sulla carta , solo sulla carta, dovrebbe servire ad alleviare il disagio di tanti, non si ha il coraggio di dire basta alle social card una vergogna italiana che non serve a nulla. Scusi lo sfogo.

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