Nonostante la liquidità fornita al settore bancario con le aste a lungo termine della Bce, nell’area euro il credito al settore privato continua a contrarsi. Da ripensare gli strumenti della politica monetaria. Eliminando gli incentivi delle banche a investire in titoli di Stato.
DUE STRUMENTI PER LE BANCHE CENTRALI
Nell’attuale fase congiunturale, le politiche monetarie di tutti i principali paesi avanzati sono fortemente espansive e volte a offrire ampia liquidità al sistema finanziario. Per farlo, le banche centrali hanno a disposizione fondamentalmente due strumenti. Il primo è rappresentato dalle operazioni di mercato aperto, cioè dall’acquisto o vendita di valute estere o titoli di Stato sul mercato secondario. Il secondo, invece, è rappresentato da operazioni creditizie in contropartita con istituzioni finanziarie, ossia prestiti alle banche garantiti da titoli di Stato o altre attività finanziarie.
Le banche centrali di molti paesi avanzati utilizzano quasi esclusivamente le operazioni di mercato aperto aventi a oggetto titoli di Stato (Usa, Giappone, Regno Unito, Canada e Australia), mentre la Bce utilizza prevalentemente operazioni creditizie. La figura 1 mostra la composizione percentuale delle tre voci dell’attivo delle banche centrali legate alla gestione della politica monetaria, ossia titoli, prestiti a istituzioni finanziarie e riserve valutarie (escluso l’oro). (1)
Perché esiste questa forte differenza fra paesi nella scelta degli strumenti di regolazione delle liquidità? La ragione non è da attribuire a vincoli di natura istituzionale, perché in passato le banche centrali dei paesi citati hanno fatto ricorso a entrambi gli strumenti, né esistono dichiarazioni recenti dei rispettivi governatori che indichino esplicitamente i motivi alla base della scelta di uno strumento piuttosto che dell’altro. Proviamo di seguito a elencarne pro e contro.
In primo luogo, le operazioni creditizie in contropartita con istituzioni finanziarie possono costituire una forma di sussidio al sistema bancario che avvantaggia quelle meno solide, nella misura in cui il tasso delle operazioni è indipendente dalla qualità delle garanzie fornite. In secondo luogo, le operazioni creditizie non assicurano che la liquidità immessa nel sistema di trasformi necessariamente in nuovo credito al settore privato, poiché le banche potrebbero trattenerla a scopo precauzionale o impiegarla in investimenti in titoli a basso rischio. Viceversa, le operazioni di mercato aperto non alterano la concorrenza sul mercato della raccolta bancaria e rendono più efficiente il canale di trasmissione degli impulsi monetari. Infatti, la banca centrale entra in possesso dei titoli meno rischiosi e ne abbassa i rendimenti; così facendo, rende meno conveniente per le banche detenere titoli di Stato e le incentiva a espandere gli impieghi al settore privato. Le operazioni di mercato aperto, tuttavia, possono portare i rendimenti dei titoli di Stato al di sotto di quanto giustificato dai fondamentali, disincentivando così l’adozione di misure di consolidamento fiscale da parte dei governi.
MOLTA LIQUIDITÀ E POCO CREDITO
Queste considerazioni dovrebbero portare a riflettere sulle implicazioni dell’approccio alla scelta degli strumenti di politica monetaria nell’area euro. Infatti, nonostante l’enorme liquidità fornita al settore bancario con le aste a lungo termine della Bce (cosiddette Ltro), il credito al settore privato continua a contrarsi. Gli ultimi dati disponibili (a luglio) indicano che le banche italiane hanno un’esposizione verso la Bce per circa 235 miliardi di euro, pari a circa il 15 per cento dei depositi da clientela privata (escluso l’interbancario); le banche spagnole, invece, hanno un’esposizione pari a circa 250 miliardi di euro, pari al 17 per cento circa dei depositi da privati. I dati disponibili ad agosto indicano che, rispetto ai dodici mesi precedenti, il credito al settore privato non finanziario si è ridotto del 5 per cento circa in Italia e al 15 per cento circa in Spagna. Le incertezze sulla fase ciclica e la rischiosità degli impieghi al settore privato inducono le banche dei paesi periferici a preferire investimenti in titoli di Stato, che non assorbono patrimonio di vigilanza e i cui rendimenti sono ancora elevati e superiori rispetto a quanto implicato dai fondamentali di finanza pubblica (come mostrato da una ricerca della Consob del 2012), piuttosto che prestiti a imprese e famiglie. (2) Infatti, in Italia i titoli di Stato domestici pesano per circa il 23 per cento degli impieghi alla clientela privata non finanziaria, mentre in Spagna il dato è pari al 20 per cento circa.
Ci si può allora attendere che nuove aste a lungo termine e un’ulteriore riduzione dei tassi possano frenare la contrazione del credito, che è all’origine della crisi dell’economia reale che stiamo vivendo? Per quanto prima detto, è difficile che ciò possa accadere. Bisogna, invece, andare alla radice del problema ed eliminare gli incentivi delle banche a investire in titoli di Stato ad alto rendimento, piuttosto che in prestiti alle imprese, sfruttando la liquidità a basso costo fornita dalla Bce. Le operazioni di mercato aperto (cioè l’acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario) sono lo strumento giusto in questa fase ciclica per ripristinare il canale di trasmissione della politica monetaria e per uscire il più in fretta possibile dalla più grave recessione dal dopoguerra. Il dibattito su questo tema deve essere aperto e senza preclusioni di natura politica: le operazioni di mercato aperto sono perfettamente compatibili con il Trattato dell’Unione Europea e con lo statuto del Sistema europeo di banche centrali (Sebc) e della Banca centrale europea. (3) E potrebbero sostituire, o quanto meno affiancare, le operazioni creditizie come strumento di politica monetaria, senza imporre condizionalità agli Stati membri, come invece previsto dal programma cosiddetto Outright monetary transactions (Omt) annunciato circa un anno fa. Una previsione, questa, che finirebbe per snaturare il ruolo della Bce, perché non è alla banca centrale che compete il ruolo di sorveglianza sui conti pubblici e sugli equilibri macroeconomici degli Stati membri. La rischiosità dell’attivo della Bce sarebbe minore o al più invariata, poiché all’esposizione verso le banche di uno dato Stato membro, garantita da asset di qualità normalmente pari al massimo a quella dei titoli di Stato, si sostituirebbe un’esposizione diretta verso lo stesso Stato membro. Spetterà alla Commissione europea il compito di rafforzare la vigilanza sulla possibilità che ciò non indebolisca gli incentivi a rispettare gli impegni al consolidamento fiscale assunti dagli Stati membri. Ma se le operazioni di mercato aperto facilitano la ripresa del credito e il ritorno alla crescita, il rispetto di tali impegni sarà più agevole.
Figura 1 – Ripartizione percentuale degli attivi legati alla gestione della politica monetaria per alcuni paesi avanzati
Fonte: Banche centrali; ultimo dato disponibile al 15 ottobre. Per la Bce i titoli sono quelli detenuti a fronte del “Programma per il mercato dei titoli finanziari” (securities market program) e dei due Programmi per l’acquisto di obbligazioni garantite. Per Regno Unito e Canada i dati includono le riserve valutarie anche se queste sono di proprietà del Governo.
* Le opinioni espresse in questo articolo sono personali e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.
(1) In Canada e Regno Unito le riserve valutarie (e le riserve auree) sono di proprietà del Governo e non della Banca Centrale. Per rendere più confrontabili i dati dei vari paesi, i dati di Canada e Regno Unito riportati nel grafico includono comunque le riserve valutarie.
(2) Il riferimento è a L. Giordano et al. “The determinants of government yield spreads in the euro area”, Quaderni di Finanza Consob, n. 71 (ottobre 2012)
(3) L’art. 18.1 dello statuto del Sebc prevede, infatti, la possibilità per le banche centrali nazionali e per la Bce di effettuare sia operazioni di mercato aperto che operazioni di credito in contropartita con istituzioni finanziarie.
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