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Il Misery Index per leggere il disagio sociale

Negli ultimi mesi, all’interno di Fed e Bce sono emerse voci contrarie al mantenimento di politiche monetarie accomodanti. È necessario evitare che si generino effetti distorsivi sull’economia reale, ma oggi la priorità è l’occupazione e non l’inflazione. Come mostra l’analisi del Misery Index.
BANCHE CENTRALI E DISAGIO SOCIALE
Dopo anni di crisi e turbolenze economiche le economie dei paesi occidentali, grazie anche al contributo di politiche monetarie espansive, stanno lentamente iniziando a registrare tassi di crescita positivi o, perlomeno, segnali di un’inversione di tendenza.
Così negli ultimi tempi, all’interno dei consigli direttivi della Federal Reserve e della Banca centrale europea si è creata una spaccatura tra chi ritiene che sia giunta l’ora di procedere a una forte stretta agli aiuti per porre fine al cosiddetto “denaro facile” e chi, invece, ritenendo ancora troppo debole l’economia reale, vorrebbe proseguire con politiche accomodanti.
La scelta tra le due opzioni deve confrontarsi con misure attendibili delle conseguenze delle politiche. Il Misery Index, ideato dall’economista americano Arthur Okun e utilizzato come misura del disagio sociale, è dato dalla semplice somma dei tassi di inflazione e disoccupazione.
La letteratura scientifica, però, utilizzando dati Eurobarometro sul benessere dei cittadini europei  ha dimostrato che il costo della disoccupazione in termini di soddisfazione di vita è molto superiore a quello dell’inflazione. (1) Il Misery Index tradizionale, quindi, assegnando pesi identici ai due mali, tende a sottostimare i costi economici, psicologici e sociali – diretti e indiretti – della disoccupazione.
Per correggere la distorsione il Misery Index Confcommercio (Mic) assegna pesi diversi alle due componenti, disoccupazione e inflazione, rispettivamente 1,2647 e 0,7353. Il Mic, inoltre, è calcolato in modo da leggere con maggiore precisione la dinamica del disagio sociale utilizzando, al posto della disoccupazione e dell’inflazione, rispettivamente la disoccupazione estesa e la variazione dei prezzi dei beni e servizi ad alta frequenza d’acquisto.
La disoccupazione estesa comprende anche i cassaintegrati e gli scoraggiati, mentre le dinamiche di prezzo dei beni e servizi ad alta frequenza d’acquisto dovrebbero influenzare in modo più diretto la percezione dell’inflazione da parte delle famiglie, correlandosi direttamente con le preoccupazioni (disagio) in merito al proprio potere d’acquisto. (2)
La figura 1 mostra l’andamento del disagio sociale in Italia da gennaio 2007 a giugno 2013 scomposto nei contributi dati dalle due componenti (in rosso l’inflazione dei beni e servizi ad alta frequenza d’acquisto e in blu la disoccupazione estesa). Dal grafico emerge che negli ultimi cinque anni il disagio sociale è cresciuto enormemente. Inoltre, il peso relativo dell’inflazione ad alta frequenza d’acquisto rispetto alla disoccupazione estesa è trascurabile – essendo il disagio quasi completamente determinato dalla seconda – e, comunque, è diminuito. Quest’ultimo punto risulta ancor più evidente guardando la figura 2 che riporta la quota di disagio sociale imputabile alla disoccupazione estesa, mai scesa sotto il 70 per cento e oggi prossima al 95 per cento.
Analizzando il Misery Index semplice (con inflazione e disoccupazione standard e pesi identici, figura 3) nei principali paesi dell’Europa occidentale, l’Italia si colloca al quarto posto dopo Portogallo, Grecia e Spagna, subito prima dell’Irlanda. Anche a livello europeo esistono marcati squilibri territoriali, ma ciò che più colpisce è il ruolo preponderante della disoccupazione in tutti i paesi, soprattutto quelli che hanno accusato maggiormente il colpo della crisi economica degli ultimi cinque anni.
ADATTARE LE POLITICHE MONETARIE ALLE ESIGENZE ATTUALI
La situazione macroeconomica in cui versa l’Italia (e l’Europa in generale) è molto diversa oggi rispetto agli anni Ottanta, quando la disoccupazione era più bassa e l’inflazione più sostenuta. Alla luce dell’evidenza mostrata, dunque, appare necessario calibrare gli obiettivi di politica monetaria in modo da incidere efficacemente sui fattori che di volta in volta creano maggiore disagio sociale. Da questo punto di vista, l’approccio adottato dalla Fed appare migliore, dal momento che il Federal Reserve Act attribuisce la stessa importanza al contenimento dell’inflazione e alla lotta alla disoccupazione, con una evidente strategia monetaria finalizzata alla crescita della produzione in base al potenziale di lungo periodo. Lo statuto della Banca centrale europea, invece, afferma che l’obiettivo primario è la stabilità dei prezzi: gli altri obiettivi hanno natura subordinata e condizionale e possono essere perseguiti solo se non pregiudicano il primo.
In questo momento, tanto in America quanto in Europa, la priorità deve essere la creazione di condizioni favorevoli alla crescita del prodotto potenziale, con la conseguenza di creare posti di lavoro; il contenimento di una già bassa inflazione deve diventare un obiettivo subordinato e condizionale. Anche il Fondo monetario internazionale invita alla prudenza, non avendo la ripresa ancora raggiunto un vigore sufficiente a giustificare un rallentamento delle politiche monetarie espansive. Il tutto, ovviamente, compatibilmente con l’esigenza di non destabilizzare il sistema con politiche che finiscano per drogare artificialmente i mercati finanziari, generando rischi di ulteriori bolle.
Figura 1: Misery Index Confcommercio (Mic), scomposto per contributo delle due componenti
 misery index
Fonte: Elaborazioni ufficio studi Confcommercio-Imprese per l’Italia su dati Istat e Inps. I dati degli ultimi tre mesi sono frutto di stime.
Figura 2: Quota del Mic imputabile alla disoccupazione estesa
mis index
Fonte: Elaborazioni ufficio studi Confcommercio-Imprese per l’Italia su dati Istat e Inps. I dati degli ultimi tre mesi sono frutto di stime.
Figura 3:Misery Index (semplice) in Europa, 1° trimestre 2013

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 ms index

Fonte: Elaborazioni ufficio studi Confcommercio-Imprese per l’Italia su dati Eurostat.
(1) Di Tella R., MacCulloch R., Oswald A. (2001), “Preferences over Inflation and Unemployment: Evidence from Surveys of Happiness”, American Economic Review, Vol. 91, pp. 335-341.
(2) Becchetti L., Castriota S., Giuntella O. (2010), “The Effects of Age and Job Protection on the Welfare Costs of Inflation and Unemployment”, European Journal of Political Economy, Vol. 26, pp. 137-146.

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10 commenti

  1. marco

    Aver rinunciato alla sovranità sia sulla politica fiscale che su quella monetaria è stato una follia. Ora non abbiamo più alcuno strumento di politica economica per fronteggiare crisi di breve periodo, ci rimane solo l’austerity nella speranza che nel lungo periodo produca dei miglioramenti della competitività. Ma nel lungo periodo – come disse Keynes – siamo tutti morti. O perlomeno lo sono moltissime imprese

  2. andrea

    Concordo pienamente. Visto come sta andando l’economia dopo cinque anni di “cura” basata su austerity credo che la BCE dovrebbe impegnarsi un pò di più. Iniziando col garantire che immissioni di liquidità nel sistema producano un incremento dei prestiti a favore delle imprese, e non solo della liquidità delle banche.

  3. mirella

    La politica europea sta uccidendo la nostra economia. Se avessimo ancora la lira e una politica monetaria autonoma potremmo svalutare per recuperare competitività e comprare debito pubblico con moneta stampata dalla banca d’Italia. Credo che oggi saremmo tutti disposti a barattare 6 punti d’inflazione per 3 punti di crescita e qualche centinaio di migliaia di posti di lavoro. Si dice spesso che uscire dall’euro avrebbe delle conseguenze catastrofiche: in realtà è tutto da dimostrare, come riportato nel libro di Alberto Bagnai “Il tramonto dell’euro”. Perlomeno parliamone serenamente e senza preconcetti

    • Fabio Tamburrini

      E’ tutto da dimostrare anche il recupero di competitività di cui parli. 1) La svalutazione comporterebbe un drastico apprezzamento di energia e materie prime, e ricordiamoci che l’alto costo dell’energia è fra le cause primarie della scarsa competitività italiana. 2) la Banca d’Italia non potrebbe liberamente “comprare debito pubblico” data la sua indipendenza e il mandato di assicurare la stabilità dei prezzi. Con la Lira piuttosto il premio al rischio sui nostri titoli pubblici sarebbe ancora più alto, peggiorando ulteriormente le nostre finanze pubbliche. 3) al momento dell’uscita dall’euro ci sarebbe una fuga di capitali talmente rapida da polverizzare il nostro sistema bancario già in sofferenza. 4) Fingiamo poi di ignorare che le svalutazioni competitive sono deleterie per la competitività nel lungo periodo, poiché eliminano il sano incentivo della competizione alle riforme dal lato dell’offerta.
      Su, siamo seri. Non è uscendo dall’euro che si risolve la crisi italiana.

  4. ken

    Bell’articolo, ma andava fatto leggere ai Tedeschi prima delle elezioni. Ora che ha vinto la Merkel siamo punto e a capo: per minimo altri cinque anni ci aspettano sacrifici e austerità…

  5. Piero

    Solo una politica monetaria espansiva attuata con strumenti non convenzionali può salvare tutto, si è vero che il mandato della Bce e’ la stabilità dei prezzi e non la piena occupazione come la Fed, ma in ogni caso se la Bce vuole salvare l’euro per garantire la stabilità dei prezzi deve fare una politica monetaria diversa, in ogni caso oggi abbiamo un’inflaziine ben al di sotto dell’obbiettivo della Bce che è il 2%.
    Cosa fare quindi?
    La Bce deve annunciare acquisti sul secondario di titoli di stato in % del debito di ogni stato euro per almeno 5000 miliardi, politica di acquisto da attuare in 10 anni, sono 500 mld all’anno, immediatamente con l’annuncio tutti i tassi del debito pubblico si livellano a quelli dei tedeschi e verrà tutto ad un tratto cancellata la crisi del debito pubblico, i valori del debito pubblico che sono nel bilancio delle banche ritorneranno nel loro valore ante crisi, in tale modo il patrimonio netto delle banche aumenterà, crescerà quindi la loro capacità di credito, aumenterà la liquidità ossia la base monetaria, riprenderanno i consumi, di avrà un svalutazione dell’euro, arriverà forse alla parità del dollaro, si avranno i benefici nell’esportazioni, l’inflazione a mio avviso resterà al 2% ( oggi siamo all 1,2%).
    La manovra e’ possibile, la Bce può acquistare sul secondario, lo ha già fatto nel 2010/2011, ha smesso con il genio di Draghi che ha fatto gli inutili Ltro ( l’unico strumento concesso dalla Merkel perché salvava anche le banche tedesche), gli acquisti sul secondario non sono un aiuto agli stati perché sono fatti in proporzione al debito di ogni singolo stato

  6. roberto

    Diversamente dall’opinione di Mario Draghi, ritengo sia la Germania il paese che ha guadagnato di più dall’Euro, di fatto una valuta più debole rispetto al vecchio Marco. I bassi tassi di interesse in Italia non li abbiamo più.
    Il debito pubblico italiano è troppo elevato per azioni di salvataggio, è necessario, come diceva Mario Draghi, che l’Italia si salvi da sola. Per uscire dalla crisi in Italia ci vorranno lustri e sono necessarie scelte forti che vanno spiegate al Paese che capirebbe.
    Più aspettiamo e più basso sarà il punto di ripartenza.
    La ricette radicali possono essere due e non sono scelte alternative:
    1. Guidare la disgregazione dell’Euro con gli altri PIGS in modo che ciascuno torni alla propria valuta. Sarebbe la fine del sogno europeo, ma per l’Italia è già finito.
    2. Troppi diritti. Riforme strutturali mediante una drastica riduzione dei servizi dello Stato sociale. La scuola statale non può essere un parcheggio per giovani disoccupati (scuola obbligatoria fino a 15 anni e il resto sul modello USA con borse di studio ai meritevoli). Le cure a spese dello Stato per tutti fino a 75 anni, d’altronde negli USA e in altri Stati occidentali l’assistenza sanitaria statale è limitata.
    La possibilità che chiunque ne abbia interesse possa bloccare o ritardare l’attività amministrativa deve essere drasticamente ridotta.
    Riduzione effettiva dei livelli di governo del Paese con la cancellazione delle Provincie e dei relativi costi della politica. In questo modo si liberano enormi risorse per investimenti in infrastrutture e riduzione delle imposte e tasse.
    Con lo sviluppo lo Stato sociale potrà tornare, ora è al di sopra delle nostre possibilità e struttura per età della popolazione. Dopo lustri di risparmi sugli investimenti potremmo riuscire a ripartire.

  7. L’euro ha diviso i paesi nordici da quelli meridionali perché non vi sono stati i ritrasferimenti tra i paesi, l’unica cosa che ha concesso l’euro ai paesi meridionali di indebitarsi all’inizio con tassi bassi, tale agevolazione è durata 5/6 anni, quando il mercato ha attaccato il debito statale dei paesi più deboli la speculazione ha avuto gioco facile, l’Europa in quel momento non si è trovata, anzi ha detto su direttiva della Merkel che ogni stato deve fare i compitini in casa propria e quindi pagare un debito che non si potrà mai pagare con politiche di bilancio ecco la soluzione Pil -6% in tre anni, + disoccupazione, aumento tasse, e’ stato imposto a tutti il fiscal compact (più esatto chiamarlo mortal combact), Draghi ha interrotto i QE di Trichet e ha fatto gli inutili Ltro sterilizzati (solo per salvare le banche).
    Di cosa ci meravigliamo?
    Basta pensare quando in Italia fu adottata la lira in Italia, fu necessario per il suo mantenimento ingenti ritrasferimenti dal nord al sud, pensate che il sud poteva mantenere la lira senza la politica di solidarietà attuata? Un’altra cosa e’ come sono stati spesi i soldi, naturalmente qui vi è molto da dire.
    Non riesco a vedere un futuro roseo dell’euro con tale politica della Merkel, ma alla fine in Europa se guardiamo nel passato vediamo che la politica del cambio fisso non è mai durata molto, vedi lo SME che fu abbandonato nel 1992.

  8. roberto

    Serve proprio uno studio? Decenni per arrivare a disquisire che forse la disoccupazione ha un peso differente dell’inflazione? E che forse le misure dell’inflazione e della disoccupazione sono a dir poco rozze? In effetti è al limite dell’imbarazzo; da nascondere come una vergogna se uno ha un pò di amor proprio. Ma non viene mai a nessuno il dubbio che il problema sia proprio questo: non l’indice farlocco ma il passare il tempo a far finta che abbia una sua dignità. Solo da perfezionare: assegnare pesi differenti e renderlo un pò più complesso.
    Per essere più diretto: che il problema non sia il geroglifico ma la casta degli scriba?

  9. marcello olivieri

    Gli autori dello studio, Di Tella-MacCUlloch-Oswald, hanno impiegato la bellezza di cinque anni per pubblicare lo studio citato sull’American Economic Review. Cinque anni di ping-pong con i referee stanno a significare che la questione non era nè banale nè scontata

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