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Quanto pesa l’Iva sui redditi bassi?

L’Iva è un’imposta regressiva e dunque l’aumento delle aliquote penalizza i meno abbienti? Gli indicatori con i quali se ne misura l’incidenza hanno una grande importanza. E timori del genere possono essere in parte ridimensionati. Architettura fiscale e impositiva del nostro paese da ripensare.


IVA REGRESSIVA?
Negli ultimi tempi, istituzioni internazionali, politici e accademici si sono spesso espressi in favore di un’attenuazione dell’imposizione su lavoro e imprese compensata da forme di tassazione considerate meno dannose per la crescita, come quelle sui consumi e sulla ricchezza. (1)
Tuttavia, la principale obiezione a una riforma fiscale che finanzi una riduzione delle imposte sul reddito con un aumento delle aliquote Iva riguarda i suoi effetti distributivi avversi. (2)
È opinione diffusa, infatti, che l’Iva sia un’imposta fortemente regressiva. Una valutazione dei profili di equità di tali manovre, soprattutto in un contesto statico e uniperiodale, richiede tuttavia una discussione attenta delle ipotesi sottese agli indicatori utilizzati.
Per analizzare la rilevanza di questo aspetto, proponiamo qui una valutazione alternativa basata su opportune procedure di matching statistico, tra l’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia e l’Indagine sui consumi delle famiglie dell’Istat, e sull’impiego di un modello di microsimulazione fiscale (EGaLiTe) che considera congiuntamente l’imposizione diretta sui redditi e indiretta sui consumi. (3)
La figura 1 ricostruisce l’andamento dell’aliquota media dell’Iva rispetto a diversi indicatori: a) il reddito disponibile annuale; b) il reddito disponibile annuale corretto; c) il reddito lordo annuale corretto. (4)
 
Figura 1 – Incidenza media dell’Iva complessiva su reddito familiare disponibile e lordo per decili di reddito equivalente
 
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La linea tratteggiata nera pone in relazione l’onere complessivo dell’Iva con il reddito disponibile annuale. Ne deriva un profilo di regressività molto accentuato, coerentemente con quanto riportato in altri studi. In media, i consumatori del primo decile si troverebbero a sostenere un’aliquota di oltre il 18 per cento del reddito disponibile, contro il 7 per cento circa dei consumatori dell’ultimo decile.
Questo profilo di regressività deriva però da un mero calcolo “statico” delle aliquote, da cui segue una sua possibile sovrastima. L’aliquota è calcolata, infatti, con riferimento ai soli flussi di reddito annuali. Si deve tuttavia osservare che nella parte bassa della distribuzione dei redditi (soprattutto nel primo decile) sono presenti molti casi in cui l’ammontare dei consumi, e all’estremo lo stesso gettito Iva, è maggiore del livello dei redditi.
Questa possibilità può essere determinata da molti fattori: in primo luogo, il consumo di un dato periodo può essere finanziato anche attraverso indebitamento e riduzione del patrimonio. In secondo luogo, i redditi possono essere percepiti in maniera irregolare, a causa del lavoro svolto (scrittori, professionisti, sportivi, manager, eccetera) o delle opportunità di lavoro (occupazione discontinua). Ne deriva che il concetto di reddito da utilizzare debba essere integrato dalle altre componenti. La mancata considerazione di tali risorse addizionali può generare, in presenza di redditi nulli o sufficientemente piccoli, aliquote infinite o estremamente elevate. In entrambi i casi le aliquote non assumono alcun significato economico, in quanto dovute a disallineamenti temporanei tra consumi e redditi, che sarebbero riassorbiti in una prospettiva di medio periodo o di ciclo vitale poiché, nonostante l’esistenza di vincoli di liquidità, gli individui possono continuare a consumare, in una qualche misura, in ragione di un processo di consumption smoothing.
QUALE REDDITO CONSIDERARE
Al solo fine di mettere in luce l’importanza degli indicatori utilizzati, si effettua una correzione molto semplice: si assume, cioè, che per tutte le famiglie per le quali il consumo ecceda il reddito nel periodo corrente, quest’ultimo sia riallineato al primo. Implicitamente, quindi, per tali soggetti si assume che il consumo di quell’anno debba essere stato finanziato con altre entrate che in quel periodo costituiscono a tutti gli effetti “reddito” della famiglia.
Il ricalcolo dell’aliquota media dell’Iva sul reddito disponibile corretto (la linea rossa) mostra come il profilo di regressività, seppur presente, sia in questo caso fortemente ridotto (l’incidenza sul primo decile di reddito equivalente è pari a circa il 9,5 per cento e scende nell’ultimo decile a circa il 7,5 per cento) e sicuramente meno ‘drammatico’ sotto il profilo delle conseguenze sociali, soprattutto nel caso in cui interventi redistributivi compensativi siano operati dal lato delle imposte sui redditi e della spesa pubblica.
Lo stesso profilo di regressività, leggermente accentuato, è poi misurato rispetto al reddito lordo familiare. La distanza crescente tra la linea viola tratteggiata e quella rossa, dipende dal fatto che con un’imposta progressiva, il reddito lordo cresce più velocemente di quello disponibile; di conseguenza, l’onere dell’Iva decresce più che proporzionalmente quando misurato sul reddito lordo rispetto al caso in cui sia misurato sul reddito disponibile.
In sintesi, si ha l’impressione che la regressività dell’Iva sia sensibilmente inferiore rispetto a quanto documentato da indicatori basati su comparazioni uniperiodali tra flussi di consumo e reddito. Quantomeno, immaginando che la correzione operata non necessariamente rappresenti il modo ottimale di riallineare consumi e redditi, il profilo di regressività potrebbe essere compreso tra i due estremi rappresentati dalle linee nera e rossa, il che consente, in ogni caso, di valutare l’uso di questa imposta anche rispetto ad altri vantaggi (o svantaggi) che non siano quelli puramente redistributivi.
 Figura 2Incidenza dell’Iva complessiva su consumi e redditi disponibili per decili di consumo equivalente
 
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La figura 2 mostra invece l’andamento dell’incidenza media dell’Iva misurata sul reddito disponibile familiare (linea rossa) e sul consumo (linea nera), mantenendo un ordinamento per decili di consumo equivalente. In questo caso, il risultato è piuttosto standard. La struttura stessa delle aliquote e dei consumi (con una quota crescente del consumo di beni soggetti ad aliquota ordinaria al crescere del reddito) determina un profilo crescente, e dunque una progressività rispetto al consumo in entrambi i casi. Proprio la progressività rispetto ai consumi contribuisce a moderare la regressività dell’incidenza dell’Iva misurata rispetto al reddito (figura 1).
 Figura 3 – Incidenza dell’Iva complessiva su consumi e redditi disponibili per decili di ricchezza netta
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La figura 3 mostra infine l’andamento dei medesimi indicatori modificando l’ordinamento delle famiglie, ora distribuite per livelli di ricchezza netta. (5)
Si può notare come l’andamento dell’aliquota misurata sul consumo sia sostanzialmente costante nei primi cinque decili di ricchezza netta per poi crescere rapidamente. La crescita è ridotta, ma comunque presente, anche nel caso in cui l’incidenza dell’Iva sia misurata sul reddito disponibile. L’effetto di progressività sembra essere determinato principalmente da due fattori. Il primo è che famiglie con bassi redditi, che appaiono quindi nei decili più bassi quando l’ordinamento è basato sul reddito disponibile, possono essere associate a livelli elevati di ricchezza netta, e quindi proiettate nei decili più alti quando l’ordinamento è basato su questa grandezza. Di conseguenza, aliquote medie più elevate si trasferiscono verso i decili più alti. Il secondo fattore è che la quota di consumi soggetti all’aliquota del 21 per cento cresce rapidamente dal sesto decile di ricchezza netta, spingendo naturalmente verso l’alto l’aliquota media dell’Iva.
Questi risultati, aperti al confronto e a ulteriori verifiche, suggeriscono due conclusioni. La prima riguarda l’enorme importanza che rivestono gli indicatori con i quali si misura l’incidenza dell’imposta. Dal nostro esercizio risulterebbe che l’ostacolo della regressività dell’Iva possa essere parzialmente ridimensionato e comunque valutabile rispetto ai diversi indicatori di benessere disponibili. La seconda, proprio in ragione di un possibile ridimensionamento della portata regressiva dell’imposta, riguarda la possibilità di ripensare complessivamente l’architettura fiscale e impositiva del nostro paese lungo le linee guida di un alleggerimento dell’imposta personale sui redditi (in particolare su quelli più bassi) compensato – ove necessario – da variazioni dell’imposizione indiretta e delle imposte reali, soprattutto di natura immobiliare.
 
(1) Si veda il documento Tax reforms in EU memberstates del 2012 redatto dalla Commissione europea (Dg Taxud e EcFin) e Mirrlees Review del 2010-2011.
(2) In Italia, il dibattito verte sul solo aumento dell’Iva, previsto in assenza di misure che preservino la sostenibilità del bilancio pubblico.
(3) Questa procedura ha reso possibile la costruzione di una base dati integrata che, per ciascuna famiglia, fornisce simultaneamente informazioni sui redditi, sulla ricchezza e sull’intera struttura dei consumi familiari.
(4) Il reddito lordo è definito come la somma dei redditi soggetti a Irpef, dei redditi esenti, di quelli soggetti a tassazione separata o prelievo alla fonte e dei fitti imputati ed effettivi. Il reddito disponibile è definito come il reddito lordo al netto dell’Irpef. La correzione consiste nell’imporre ai soggetti con ammontare di consumi superiore al reddito disponibile, un livello di quest’ultimo pari almeno ai consumi stessi. I decili di reddito in base al quale le famiglie sono ordinate (asse delle ascisse) sono coerenti con le tre definizioni, previa applicazione di una scala di equivalenza (Oecd) al fine di tenere conto delle economie di scala legate alla struttura familiare.
(5) Attività finanziarie e reali al netto delle passività finanziarie.

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  1. Massimo Matteoli

    Nulla da dire sull’accuratezza dell’articolo, ma manca una consapevolezza di fondo.
    Per chi “campa” – per modo di dire – con poche centinaia di euro al mese anche un aumento minimo è un fardello pesantissimo e la statistica non riesce certo a farlo apparire meno grave.
    Quanto agli “interventi redistributivi compensativi”, qui ormai siamo nel campo della fantascienza, tanto che gli autori giustamente si sono ben guardati dal fare esempi concreti.
    Del resto, se non sbaglio, con l’eccezione della “cassa integrazione” tutti gli altri finanziamenti sociali sono da anni in drammatica diminuzione.
    Che almeno La Voce non presti argomenti teorici all’aumento dell’IVA , anzi mi parrebbe necessario proprio il contrario.

  2. paolo

    Egregi proff. cosa costa ad utilizzare il reddito “consumato” come base imponibile per l’applicazione delle imposte personali? Un sistema siffatto consentirebbe, in uno con l’utilizzo spinto di pagamenti elettronici, il prelievo fiscale simultaneo all’atto di spesa, su una base forfettaria (es. il 5% di quanto speso che si aggiungerebbe all’aliquota IVA) conguagliabile a chiusura di esercizio in base al livello di spesa personale consuntivata.

  3. Gabriele

    Sono d’accordo nello scambio tra aumenti delle aliquote Iva soprattutto quelle più basse e riduzione delle aliquote Irpef sui redditi medio-bassi. Si ridurrebbe così il cuneo fiscale e si realizzerebbe una forma di “svalutazione fiscale” che darebbe impulso alla ripresa.

  4. Roberto P.

    Contributo interessante ed accurato, molto utile dato il livello di confusione e le tentazioni populistiche che caratterizzano il dibattito sul sistema impositivo nel nostro paese. Tuttavia, per poterne trarre indicazioni utili in termini di policy making sarebbe importante chiedersi anche quali potrebbero essere le conseguenze macroeconomiche degli scenari alternativi. In che modo un alleggerimento della tassazione sui redditi ovvero delle imposte sugli immobili andrebbe ad alterare la propensione marginale al consumo dei contribuenti? Visto che la ripresa stenta a manifestarsi è imprescindibile interrogarsi su come offrire un forte stimolo ai consumi, oltre che garantire l’equità dell’architettura fiscale complessiva.

  5. Romeo

    Va sottolineato come sia necessario che una riforma in tal senso vada realizzata in maniera integrata e sincronizzata; se si cominciasse dall’incremento dell’IVA si rischierebbe di penalizzare i consumi, con effetti particolarmente acuti per gli individui soggetti a vincoli di liquidità, e possibili ricadute negative anche sulla crescita.
    Inoltre rimane da affrontare la questione dell’incapienza, sempre tenendo presente però come in tale area ricadano anche fenomeni evasivi cui, in caso di trasferimenti compensativi, andrebbero benefici indebiti. Infine, io credo che debba essere approfondito il tema degli effetti sul mercato del lavoro, e cioè in che misura una riduzione del cuneo fiscale possa incoraggiare un miglior incontro tra domanda e offerta di lavoro.

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