Il concorso nazionale per dirigenti scolastici dopo due anni è ancora in alto mare per la sequela di ricorsi e controricorsi presentati in molte Regioni. In Lombardia metà delle scuole non avrà un preside titolare nel prossimo anno scolastico. Se il rispetto delle regole formali prevale sul merito.
TUTTO DA RIFARE
Tutto – o almeno molto – da rifare: così ha stabilito il Consiglio di Stato con la sua sentenza dell’11 luglio 2013 che ha messo la scuola lombarda in una situazione di grave difficoltà. La sentenza sancisce la necessità di ricorreggere gli scritti del concorso per l’assunzione di 355 dirigenti scolastici, rinviando al futuro la possibilità di dare alle scuole un dirigente titolare. E dei nuovi dirigenti ci sarebbe bisogno: circa 500 scuole, quasi la metà di quelle lombarde, da qualche anno vengono gestite da dirigenti in condivisione con un altro istituto e in molti casi con più di uno.
L’ANTEFATTO E IL DISASTRO
Partiamo dall’inizio. I dirigenti scolastici devono essere selezionati per concorso, un concorso che accerti – si presume – le loro competenze per svolgere i compiti loro affidati. Su questa strada si era posto il ministero quando con un regolamento nel 2009 aveva stabilito le nuove modalità di reclutamento dei dirigenti scolastici e della loro formazione successiva. La procedura concorsuale avrebbe dovuto valutare attraverso prove differenziate le conoscenze e le competenze (di natura pedagogica, amministrativa, organizzativa e giuridica) dei futuri dirigenti.
Nel 2011 viene bandito il primo concorso sulla base del nuovo regolamento e secondo le indicazioni si svolgono le quattro prove: una prova preselettiva, due prove scritte e una prova orale. La procedura sembra incepparsi già alla prova preselettiva che si svolge attraverso somministrazione di quiz criticati per la loro correttezza, tanto da indurre il ministero a ritirarne mille tra la rosa dei 5mila da cui poi sarebbero stati estratti i cento da proporre ai candidati. Ciò non sarà comunque sufficiente per neutralizzare la possibilità di far partire catene di ricorsi.
A dicembre 2011 si svolgono le prove scritte su tutto il territorio nazionale: nella stessa data anche se le tracce dei temi d’esame sono differenti da Ragione a Regione perché l’organizzazione delle procedure concorsuali, a partire dalle prove scritte, passa nelle mani degli uffici scolastici regionali. Anche qui il meccanismo si inceppa e man mano che compaiono le graduatorie degli ammessi all’orale in tutte le Regioni fioccano ricorsi di varia natura. Nel frattempo si svolgono gli orali e alla conclusione dei lavori si stilano le graduatorie degli idonei contemporaneamente alle sentenze dei vari Tar che rigettano o accolgono i ricorsi. Il 17 luglio 2012 il Tar della Lombardia annullava le prove successive alla preselettiva. Dopo ricorsi e controricorsi si è poi giunti alla sentenza del Consiglio di Stato dell’11 luglio 2013 che non annulla l’intera procedura, ma impone la ricorrezione degli scritti per tutelare il diritto all’anonimato del compito: in fase di correzione non era stato sufficientemente garantito dalla presenza di buste non adeguate a celare i dati anagrafici dei candidati.
La conseguenza di queste vicende è che in molte Regioni le scuole non avranno nel prossimo anno scolastico dirigenti a tempo pieno. In Lombardia a essere messa a rischio è la stessa funzionalità dell’intero sistema scolastico. Accanto a questo ci saranno centinaia di aspiranti dirigenti che dopo anni di studio e prove concorsuali superate saranno riportati ai blocchi di partenza da sentenze amministrative che – va ricordato – non attribuiscono a nessuno di loro alcuna responsabilità per quanto accaduto.
SELEZIONE FATTA DAI TRIBUNALI O PER MERITO
Le vicende descritte indicano che l’esigenza di garantire validità formale ai concorsi negli ultimi anni ha avuto la meglio sulla loro efficacia come strumenti di selezione di personale adatto a ricoprire gli incarichi per cui erano stati banditi. Il rispetto delle regole procedurali per evitare comportamenti illeciti ha costituito il vero scoglio da superare per ogni concorso pubblico. I ricorsi sono puntualmente arrivati così come le sentenze dei Tar o del Consiglio di Stato che nella maggior parte dei casi hanno evidenziato, come in Lombardia, l’inadeguatezza e le mancanze della amministrazione nell’organizzare e gestire concorsi con numeri tanto elevati di candidati.
Rimane un punto di fondo: ha ancora senso selezionare attraverso concorso, se poi a stabilirne i tempi e le conclusioni è la giustizia amministrativa, che si esprime sul solo aspetto procedurale senza poter in alcun modo entrare nel merito della valutazione? A peggiorare le cose, accade anche che le regole vengano interpretate in modo differente dai Tar delle varie Regioni che operano in modo autonomo gli uni dagli altri anche quando si tratta di concorsi pubblici con validità nazionale. Le stesse buste che in Lombardia hanno leso astrattamente il diritto all’anonimato, non lo hanno invece leso in Emilia Romagna.
E allora il merito? Sembra la Cenerentola nei nostri concorsi, l’ultima cosa cui si presta attenzione. La sentenza del Consiglio di Stato della Lombardia esplicita con chiarezza questo punto: la commissione ha operato adeguatamente e ha selezionato secondo merito, ma questo scivola in secondo piano di fronte della possibilità astratta di ledere un diritto.
Se l’obiettivo di un concorso è selezionare quanti sembrano rispondere meglio alle esigenze dell’amministrazione che lo bandisce, non ci si spiega per quale motivo la stessa amministrazione non si preoccupi maggiormente di controllare affinché tutto si svolga secondo le regole, allontanando i sospetti che aleggiano sempre, a torto o a ragione, sui concorsi pubblici. Coinvolgere direttamente i direttori regionali nell’organizzazione del concorso, come è accaduto nel caso dei dirigenti scolastici, rispondeva all’esigenza di responsabilizzare maggiormente chi poi si sarebbe trovato a gestire l’inserimento dei nuovi dirigenti nella propria Regione, ma non è stata sempre una scelta felice per l’imperizia dimostrata da parte di alcuni uffici regionali che adottando, come riportato nella sentenza del Consiglio di Stato sul caso lombardo, una condotta non in linea con l’ordinamento, hanno messo in discussione gli esiti di una lunga procedura concorsuale .
E il ministero che cosa ha fatto di fronte a una sequenza di sentenze che come nel gioco del domino annullavano parzialmente o totalmente le prove del concorso? Come ha tutelato i suoi interessi? Per quale motivo non si è preoccupato di controllare che tutto si svolgesse secondo le regole? Sorge spontanea la domanda sulla reale possibilità di controllo del ministero a fronte di concorsi che coinvolgono migliaia di candidati su tutto il territorio nazionale, ma questo era un dato noto sin dall’inizio.
Un controllo più attento e l’osservanza più scrupolosa di alcune norme avrebbero sicuramente messo al riparo l’amministrazione dalla pioggia di ricorsi, o almeno dal loro accoglimento da parte dei Tar. Soprattutto avrebbe messo al riparo le scuole, sicuramente quelle lombarde, dalla situazione di confusione in cui si troveranno a settembre. La vicenda sembra aprire, inoltre, la riflessione sulla possibilità di modificare questa forma di reclutamento intraprendendo altre strade che sempre guardando al merito, alle competenze e all’esperienza, adottino altre forme, differenti dai concorsi cui siamo ultimamente abituati, per verificarne il possesso da parte dei candidati, come accade in mode altre nazioni europee.
Alla luce di quanto accaduto, però, appare necessario un intervento tempestivo da parte di chi, come il Miur, ha interesse a consentire alle scuole di progettare e operare secondo l’autonomia funzionale di cui sono dotate. E senza un dirigente competente ciò non è possibile.
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