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Quanto ci costa l’ex parlamentare

La seconda parte del confronto fra il trattamento economico dei parlamentari italiani e quello dei colleghi di altri paesi europei. Sotto la lente, assegno di fine mandato e pensioni. Per scoprire che, in fondo, gli eletti italiani non sono (più) così privilegiati. I compensi per i collaboratori.
ALLA FINE DEL MANDATO
Nel nostro precedente articolo, abbiamo trattato le remunerazioni e i rimborsi dei parlamentari, individuando alcune criticità e indicando possibili interventi. In questo secondo contributo, completiamo il quadro, occupandoci dei trattamenti pensionistici e di fine mandato per i parlamentari di alcuni paesi europei, e presentando una simulazione della remunerazione complessiva per parlamentare per i quattro più grandi.
Un elemento cruciale di cui tenere conto nell’analisi del trattamento economico dei parlamentari è l’ammontare dell’assegno di fine mandato.
Anche su questo elemento il dibattito è stato molto acceso con la rinuncia da parte del M5S a questa componente. Come nel precedente articolo, ci concentriamo solo sul gruppo dei paesi più popolosi. (1) La tabella 1 riporta il trattamento di fine rapporto nel caso della Camera. (2)
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Come si può notare, vi sono differenze sostanziali tra i paesi considerati. In Germania, Francia e Spagna, questo tipo di trattamento economico si configura come una forma di supporto che mira a sostenere economicamente l’ormai ex-parlamentare nel suo reinserimento nel settore privato. In questi casi, il trasferimento è una sorta di sussidio di disoccupazione, subordinato all’assenza di un lavoro e non cumulabile con altri redditi.
L’assegno di fine mandato italiano assume connotati diversi. Dati i consistenti versamenti mensili che finanziano l’assegno, il trasferimento è più affine a una forma di retribuzione differita. Allo stesso tempo, vale la pena notare che quanto ricevuto è, in ogni caso, inferiore all’ammontare versato dal parlamentare. Nel corso di una legislatura, un onorevole versa, in base alle regole vigenti, circa 47mila euro mentre ne riceve, al termine del proprio mandato, circa 42mila (al lordo di imposta). (3) Il caso più simile all’italiano è quello inglese in cui, tuttavia, l’ammontare è sì più limitato, ma non sembra che siano previsti versamenti per il suo finanziamento.
Alla luce di questi conti, sorgono alcuni dubbi sull’effettiva generosità di questa istituzione per se nel caso italiano. L’eliminazione dell’assegno di fine mandato per i parlamentari italiani, con la creazione di un sistema simile a quello vigente in altri paesi, potrebbe avere senso in un’ottica di riduzione della generosità complessiva del loro trattamento economico.
LA PENSIONE
Sotto l’aspetto pensionistico, il Parlamento italiano ha già adottato una profonda riforma, entrata in vigore il primo gennaio 2012, che ha eliminato il precedente generoso sistema di vitalizio ed esteso ai parlamentari il sistema contributivo nazionale. In particolare, in base alle regole vigenti, i parlamentari versano l’8,8 per cento della loro retribuzione lorda, che sarà poi trasformato nella futura pensione (la tabella 2 presenta i dati per la Camera).
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Il sistema italiano è sostanzialmente in linea con altri Stati europei. Anche la Francia ha riformato il proprio sistema pensionistico in più occasioni: con l’ultimo intervento, nel 2010, è stato rimosso il sistema di doppio conteggio dei contributi nei primi quindici anni di mandato, che permetteva il raggiungimento di pensioni alte anche dopo relativamente pochi anni di permanenza in Parlamento. In ogni caso, in Italia e in Germania, la pensione non è cumulabile con stipendi derivanti da carica politica.
Non sembra, quindi, che ci siano criticità particolari riguardo all’attuale regime pensionistico dei parlamentari italiani. Un discorso diverso meriterebbero le pensioni estremamente generose ottenute in base al precedente sistema. L’imposizione del limite massimo, come suggerito da Tito Boeri e Tommaso Nannicini, potrebbe in parte mitigarne l’iniquità.
UNA SIMULAZIONE A QUATTRO PAESI
La retribuzione degli eletti è composta da voci differenti, spesso difficilmente comparabili fra paesi perché non monetizzabili o basate su criteri eterogenei. Presentiamo quindi una simulazione del monte retributivo totale per le quattro maggiori economie dell’area euro, ovvero Italia, Germania, Francia e Spagna. In particolare, abbiamo tenuto conto di emolumenti, rimborsi e assegni di fine mandato nel caso di una legislatura. (5) Mentre non ci è stato possibile inserire l’elemento pensionistico.
I grafici 1.A e 1.B forniscono una rappresentazione grafica dei nostri risultati. Presentiamo tre misure riassuntive. In primis, è presente la misura del salario finale, netta dei contributi straordinari, dei contributi di fine mandato e sanitari, ma non degli oneri previdenziali e delle imposte: si tratta di una aggregazione di emolumento, diaria e rimborsi percepiti dal parlamentare. (6) Italia e Francia presentano i livelli più alti, mentre la Spagna risulta lo Stato meno generoso con i suoi eletti.
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La seconda misura affronta il problema fiscale. Abbiamo applicato le diverse fasce di contribuzione dei paesi in questione alle indennità percepite; per i rimborsi il problema non si pone, essendo in buona parte dei casi esentasse. Se da una parte il “bel Paese” rimane in testa in termini relativi, dall’altra, i valori assoluti sono meno distanti. In particolare, Italia e Francia presentano cifre elevate e molto simili; la Germania è caratterizzata da un valore intermedio, mentre la Spagna presenta livelli decisamente più bassi.
La terza misura, infine, include i rimborsi specifici per lo staff: questa voce porta Germania e Francia in testa in termini di spesa (al Senato il quadro non muta in maniera sostanziale dato il più alto livello di rimborsi per l’Italia).
Questa simulazione sembra suggerire un dato interessante: se l’Italia emerge per la generosità di emolumenti e rimborsi, il suo sistema di tassazione riduce la distanza con gli altri paesi. Inoltre, l’ammontare stanziato per parlamentare (ovvero quanto effettivamente viene speso per un eletto) è molto superiore in Germania e Francia, considerato l’alto plafond previsto per i collaboratori, almeno per la Camera. Tuttavia, qui sono stati considerati i valori massimi dei rimborsi, è dunque possibile che il livello di retribuzione medio sia inferiore a quello riportato e che certe voci di spesa siano monetizzabili per alcuni paesi e liberi per altri, producendo asimmetrie nelle cifre.
DOVE CAMBIARE
Alla luce delle osservazioni formulate quali conclusioni possiamo trarre e in quale direzione si potrebbero muovere le riforme?
Sul versante dei trattamenti di fine mandato, i parlamentari italiani non sembrano dei privilegiati rispetto ai loro colleghi: le pensioni sono sostanzialmente in linea con le altre; e gli assegni di fine mandato prevedono un regime che sembra svantaggiare gli eletti, una volta calcolati gli importi netti. Tuttavia, bisogna notare come un sistema di questo tipo garantisca il recupero dei fondi versati, mentre è raro che un parlamentare si trovi disoccupato al termine del suo mandato. La trasformazione del prelievo in una riduzione dello stipendio e la contingente creazione di un sistema “verso l’Europa” permetterebbe di risparmiare risorse e di aumentare l’efficienza complessiva del sistema.
In secondo luogo, in base alla simulazione, l’Italia mantiene il primato per il livello di generosità, ma la distanza si accorcia e le posizioni mutano notevolmente se si considerano le spese per i collaboratori e le imposte. In tal senso, il problema di quanto spendiamo per gli onorevoli sembra sfumare, mentre rimane cruciale il punto di come li paghiamo.
Rimangono comunque alcune problematicità. Da una parte, infatti, non possiamo garantire che le funzioni e i carichi di lavoro siano paragonabili tra paesi, soprattutto per il Senato. Questi problemi sono stati riconosciuti anche dalla “commissione Giovannini” e rimangono tuttora insoluti. Inoltre, bisogna ricordare che l’analisi non tiene conto del personale del Parlamento, elemento in grado di falsare le nostre stime.
(1) Le informazioni disponibili per gli altri paesi sono riportate nei file allegati.
(2) Il caso del Senato presenta solo marginali differenze.
(3) In termini mensili questo implica una riduzione di circa 80 euro.
(4) Anche qui presentiamo i soli dati della Camera, date le minime differenze.
(5) Ossia il lasso di tempo sarà di cinque anni per Italia e Francia e di quattro per Germania e Spagna.
(6) Per il computo della cifra sono stati inseriti soltanto i rimborsi monetizzati (senza distinguere secondo la natura di questi ultimi) e si sono considerati i valori massimi pubblicati. In particolare, i rimborsi trasporti e comunicazioni sono presenti solamente quando è previsto un rimborso monetario mentre non sono inseriti quando è previsto l’utilizzo gratuito di un mezzo. Allo stesso tempo, i rimborsi sono esclusi quando non viene specificato un massimale. Questa correzione, in ogni caso, cambia solo marginalmente il quadro generale.

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  1. Carlo Turco

    Una sola perplessità, sulla quale mi piacerbbe sentire il parere degli autori. Si conclude affermando che il livello della tassazione finisce per diminuire il livello di generosità dei trattamenti per i nostri parlamentari. A me sembra che l’unico confronto corretto debba riguardare i trattamenti al lordo delle imposte, visto che ogni paese ha un proprio sistema tributario e livello di pressione fiscale connessi alle rispettive condizioni economiche e sociali.

    • Vincenzo Scrutinio

      Caro Carlo,
      in origine l’analisi era stata basata su la valutazione degli stipendi al lordo della tassazione. Abbiamo deciso in ultima istanza di sottolineare gli ammontari al netto della tassazion per due motivi:
      – in primo luogo la retribuzione netta è quanto viene percepito dagli individui e quindi l’oggetto della loro contrattazione salariale. Nel caso specifico i parlamentari potrebbero richiedere degli ammontari lordi più alti solo per bilanciare il maggior carico fiscale senza per questo scostarsi dall’ammontare percepito negli altri paesi. Sembra quindi più opportuno confrontare l’ammontare netto delle retribuzioni piuttosto che il lordo.
      – in secondo luogo dal punto di vista delle finanze pubbliche, l’ammontare rilevante è quello netto dato che rappresenta quella parte delle spese di cui si deve fare carico la fiscalità generale.
      Entrambe queste considerazioni ci hanno portato a considerare sia l’ammontare lordo che l’ammontare netto.
      Cordiali saluti
      Vincenzo Scrutinio

  2. Maurizio

    la differenza non è sui trattamenti economici ma sul numero “esorbitante, eccessivo” dei parlamentari italiani

    • Vincenzo Scrutinio

      Caro Maurizio,
      il numero dei parlamentari in Italia è stato oggetto di una nostra breve analisi descrittiva in un precedente articolo (http://www.lavoce.info/parlamento-quanto-mi-costi/). Se si considera il numero di parlamentari rispetto alla popolazione si può notare che questo rapporto non è troppo distante da quello degli altri paesi: in particolare è praticamente identico a quello francese (per vari motivi sono stati esclusi dalla nostra analisi il Bundesrat e la camera dei Lord, cosa che aumenta sensibilmente la distanza con la Germania ed il Regno Unito).
      Al contrario, si osservano delle sensibili differenze in termini di retribuzione, in primo luogo, e di rimborsi. Questi sono probabilmente gli elementi su cui vi è maggior margine di manovra anche se non può escludere totalmente la possibilità di una riduzione del numero dei nostri parlamentari.
      Cordialmente
      Vincenzo Scrutnio.

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