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L’identikit del parlamentare italiano

Una banca dati permette di delineare profilo, comportamenti e modi di selezione dei parlamentari italiani delle ultime tre legislature. Chi è stato eletto con il maggioritario ha spesso esperienze amministrative precedenti e presenta un numero maggiore di disegni di legge. L’elezione in Parlamento ha un’influenza positiva sul reddito, soprattutto per alcune professioni. La nuova legge elettorale, che rende meno competitiva la composizione delle liste dei candidati, potrebbe determinare una riduzione del livello medio di competenza ed esperienza.

Per molti cittadini, i parlamentari eletti il 9 aprile con la nuova legge elettorale, resteranno un elenco appeso al muro a cui si è dato un’occhiata fugace prima di entrare nel seggio. Chi sono, invece, i politici che diventano parlamentari? Quali fattori politico-istituzionali influenzano la loro selezione? Possiamo cercare di capirlo analizzando le informazioni di una nostra banca dati, sugli eletti delle ultime tre legislature (quelle dell’era Mattarellum) e sui loro comportamenti una volta in carica. (1)

Le caratteristiche dei parlamentari italiani

Tra i politici, c’è di solito un accordo bipartisan sull’importanza di alcuni obiettivi: maggiore eguaglianza di genere; svecchiamento di una società gerontocratica come quella italiana; valorizzazione del capitale umano; superamento delle ormai anacronistiche famiglie politiche della Prima Repubblica.
Il tasto più dolente riguarda la percentuale di donne tra gli eletti in parlamento: 11 per cento, con un trend in calo dal 13 per cento della XII legislatura al 10 per cento della XIV. Qualsiasi confronto europeo risulta poco lusinghiero: Finlandia 23 per cento; Germania 26 per cento; Gran Bretagna 18 per cento; Olanda 32 per cento; Spagna 36 per cento. (2) Dobbiamo attraversare l’Atlantico per trovare una cifra simile a quella italiana: Usa, 13 per cento. Inutile aggiungere che, ovunque, la tendenza è a un aumento della rappresentanza femminile. Un altro dato illuminante sulle opportunità di genere è che, tra le parlamentari elette, quelle sposate sono soltanto il 48 per cento, contro l’80 per cento dei colleghi maschi.
Il dato sull’età media dei nostri parlamentari, 51 anni, è meno dissonante in un’ottica internazionale, anche se non ci distinguiamo come esempio di svecchiamento della classe dirigente. Nelle ultime legislature, gli under 40 erano il 12 per cento, contro il 20 per cento olandese o il 31 per cento finlandese. Solo la “old” Gran Bretagna ci insegue con il suo 9 per cento.
Il livello d’istruzione è difficilmente comparabile tra paesi diversi. Il 70 per cento dei nostri parlamentari dichiara di avere almeno una laurea. Il 2 per cento possiede un titolo post-laurea, e si arriva al 9 per cento se si considerano le specializzazioni in medicina. Ma se si analizzano i gradini successivi della carriera parlamentare, l’istruzione non è un elemento rilevante. Quando si esaminano le determinanti delle probabilità di ricandidatura, rielezione, nomina a incarichi parlamentari (presidente/segretario d’aula, capogruppo, presidente di commissione) o governativi (ministro, sottosegretario), gli effetti di una laurea o un titolo post-laurea non sono mai significativamente diversi da zero.
I canali di accesso al ruolo di parlamentare sono difficilmente comparabili da paese a paese. In Italia il 57 per cento degli eletti ha precedenti esperienze amministrative, con un trend crescente: dal 52 per cento della XII legislatura al 64 per cento della XIV, influenzato probabilmente dalle innovazioni istituzionali degli anni Novanta in tema di elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di province e regioni.
Ma c’è un tipo di esperienza politica che in alcuni casi si rivela più “eguale” delle altre: la precedente militanza nei partiti della Prima Repubblica. In particolare, l’aver fatto parte del Pci, dell’Msi e della Dc influenza in maniera positiva e significativa le probabilità di ricandidatura e di rielezione, rispettivamente, all’interno dei Ds, di An e della Margherita, anche controllando per una serie di fattori rilevanti come età, anzianità parlamentare, precedenti incarichi politici. L’aver militato in un partito della Prima Repubblica non è mai significativo negli altri casi, Udc e Rifondazione comprese.

Gli effetti del sistema elettorale sulla selezione politica

Ma quali sono i possibili effetti della legge elettorale sulla selezione della classe politica? Concentriamoci su due aspetti: le differenze tra maggioritario o proporzionale; il livello di concorrenza politica.
Vista la maggiore visibilità del candidato nel caso dell’uninominale, potremmo aspettarci che il sistema maggioritario sia associato – ex ante – a caratteristiche personali più “appetibili” per l’elettorato, ed – ex post – a iniziative maggiormente legate al territorio. È anche vero, però, che spesso la nomina dei candidati nei collegi considerati “sicuri” è molto simile a quella per i posti “migliori” delle liste proporzionali.
Se interpretiamo la contestabilità del collegio uninominale come una misura del livello di concorrenza politica, in linea teorica, potremmo aspettarci due effetti: uno di selezione politica, per cui i partiti candidano gli individui più competenti nei collegi più incerti. E uno di “disciplina”, per cui i parlamentari eletti nei collegi più incerti raddoppiano il loro impegno.
Passando dalla teoria ai dati disponibili per l’era Mattarellum, tra i parlamentari in carica, la probabilità relativa di essere stato eletto nel maggioritario (rispetto alla scheda proporzionale della Camera) quasi triplica per gli uomini e più che raddoppia per i laureati (rispetto al possesso della licenza media). Aver ricoperto incarichi amministrativi quasi raddoppia la probabilità di trovarsi in un collegio uninominale. Invece, i politici con incarichi di partito a livello nazionale o regionale e quelli che hanno ricoperto incarichi di Governo hanno una probabilità maggiore di essere inseriti nella lista proporzionale. È interessante anche il fatto che chi è stato eletto con il sistema maggioritario presenta un numero maggiore di disegni di legge in totale, e un numero maggiore di disegni attinenti alla propria Regione di elezione.
Passiamo al secondo aspetto. Come prima misura approssimativa del livello di contestabilità di un collegio nelle ultime due elezioni politiche coperte dai nostri dati (1996 e 2001), si può utilizzare il risultato elettorale in quel collegio nella precedente competizione politica. (3) Per la XIII e XIV legislatura, è così possibile classificare i collegi in “aperti” e “sicuri” a seconda di uno spread precedente tra le due coalizioni, rispettivamente, minore o maggiore del 5 per cento.
La probabilità di essere candidato in un collegio incerto aumenta con l’età, il possesso di una laurea, il fatto di avere esperienze amministrative e il reddito precedente, che può essere interpretato come una proxy del “successo” sul mercato. Diminuisce se si sono ricoperti incarichi di Governo. È altrettanto interessante notare che, ex post, il fatto di essere stato eletto in un collegio sicuro diminuisce la percentuale di disegni di legge attinenti al territorio sul totale di quelli presentati.

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Quale classe politica ci attende?

Un maggiore livello di concorrenza politica sembra dunque associato sia a caratteristiche personali che segnalano maggiori competenze esterne, sia a percorsi politici segnati dalla prova del fuoco di successivi incarichi amministrativi. Inoltre, sistema maggioritario e concorrenza politica aumentano le attività più mirate nei confronti del territorio di provenienza. La nuova legge elettorale tende a rendere meno partecipata e competitiva la composizione delle liste dei candidati, premiando la fedeltà al partito piuttosto che le capacità personali e l’appartenenza al territorio. Ci potremmo quindi aspettare un duplice effetto sulla futura classe parlamentare: una riduzione del livello medio di competenza ed esperienza; e una riduzione delle attività afferenti al territorio di provenienza.


(1)
La banca dati combina fonti diverse: “La Navicella” per le biografie dei parlamentari e per i risultati elettorali; gli archivi patrimoniali di Camera e Senato per le dichiarazioni dei redditi degli eletti; i siti internet per i dettagli dell’attività legislativa e ispettiva dei parlamentari; gli elenchi del Sole-24Ore per il numero di interventi e di assenze durante le votazioni. Le legislature coperte sono la XII (1994-96), la XIII (1996-2001) e la XIV (2001-06).
(2) Dati che si riferiscono o agli anni Novanta (vedi Norris P. 1997, Passages to Power. Legislative Recruitment in Advanced Democracies, Cambridge University Press) o alla legislatura in corso (Spagna, Gran Bretagna).
(3) Per una stima precisa sarebbe opportuno recuperare una misura esogena delle preferenze “ideologiche” degli elettori in ogni collegio: per esempio, sulla base di una disaggregazione per collegio/coalizione dei risultati delle precedenti europee, 1994 e 1999.

Chi guadagna dall’elezione, di Stefano Gagliarducci, Tommaso Nannicini, Paolo Naticchioni

Come si comportano i parlamentari una volta eletti? La letteratura economica ospita ipotesi diverse. (1) Da una parte, si assume che siano mossi da interessi esclusivamente personali, che possono coincidere sia con la volontà di essere rieletti sia con quella di estrarre reddito e vantaggi da una posizione di potere. Dall’altra, si assume che siano motivati dall’obiettivo di realizzare precise politiche pubbliche, capaci di massimizzare il benessere sociale o quello della propria parte politica. Utilizzando i dati già descritti nell’altro nostro articolo, soffermiamoci su due aspetti: l’attività di proposta legislativa e l’evoluzione del reddito.

L’attività legislativa

La nostra banca dati sui 1.867 parlamentari italiani delle ultime tre legislature contiene informazioni dettagliate sui disegni di legge di prima firma presentati da ogni deputato o senatore. Anche se all’incirca l’80 per cento delle leggi approvate in parlamento è di origine governativa, i Ddl restano un “segnale” importante del ritmo e degli interessi dell’attività del singolo parlamentare. (2) Ebbene, a parità di altri fattori (maggioranza/opposizione; esperienza parlamentare; incarichi governativi; genere; ramo del parlamento; partito; anno e legislatura), i parlamentari più giovani (meno di 40 anni) ne presentano circa 19 per cento in più nel corso di una legislatura, mentre quelli più anziani (più di 60 anni) circa il 33 per cento in meno. Il possesso di un titolo di studio universitario sembra non comportare alcuna differenza sul totale dei disegni di legge proposti. Rispetto al tipo di lavoro svolto prima di entrare in politica, i politici di professione presentano il 19 per cento di Ddl in meno a legislatura, gli imprenditori il 12 per cento in meno, mentre gli avvocati e magistrati il 17 per cento in più, probabilmente in virtù delle maggiori competenze di tecnica legislativa. Chi è stato eletto con il sistema maggioritario presenta il 14 per cento di Ddl in più per legislatura rispetto a chi è stato eletto nelle liste proporzionali, ma questo dato potrebbe essere in parte influenzato dai diversi meccanismi di selezione. (vedi precedente articolo)
Si potrebbe obiettare che quello che conta veramente è la qualità dei Ddl presentati, piuttosto che la loro quantità. Non è facile tuttavia individuare una buona misura di qualità, perché il contenuto dei Ddl non è agevolmente identificabile, e la percentuale di conversione in legge è soggetta a fattori esterni alla volontà del parlamentare, non del tutto prevedibili in fase di presentazione.
Ma alcune caratteristiche delle proposte di legge possono dirci, in ogni caso, qualcosa d’interessante sulle motivazioni dei parlamentari. In linea di principio, il parlamentare dovrebbe svolgere la sua attività senza vincolo di mandato rispetto al territorio di elezione. (3) Le iniziative legate strettamente al proprio collegio sono dunque la spia di un impegno particolarmente orientato verso la volontà di rielezione, oppure di una maggiore “responsabilità” verso i propri elettori locali. Se si considera la percentuale di Ddl afferenti al territorio di elezione sul totale di quelli presentati, a livello geografico è interessante notare come i parlamentari eletti nei collegi del Centro e del Nord-Ovest non sembrino presentare differenze rilevanti in termini di “attenzione” per il proprio collegio. Più significativo invece l’effetto per gli eletti nel Nord-Est, nel Sud e nelle Isole: presentano rispettivamente il 7, il 2 e il 3 per cento in più di Ddl afferenti al proprio collegio. Tuttavia, se si è eletti in una regione diversa da quella di residenza o di nascita (rispettivamente, il 13 e il 23 per cento dei parlamentari) l’attenzione per il territorio diminuisce, a indicazione del fatto che l’effetto è rilevante per i parlamentari già inseriti nei network locali, e non per quelli “paracadutati” da fuori.

L’evoluzione dei redditi

Quanto contano le considerazioni di tipo economico nella scelta di intraprendere la carriera parlamentare? Per la XIII e la XIV legislatura, la crescita del reddito reale complessivo nel primo anno trascorso interamente in Parlamento per i parlamentari alla prima legislatura è rilevante: il reddito medio aumenta di circa il 69 per cento (vedi colonna A della tabella sui redditi). Come prevedibile, l’aumento è ancora più marcato per chi, prima di entrare in Parlamento, svolgeva professioni a basso reddito (165 per cento per gli impiegati e 151 per cento per gli insegnanti), ma è decisamente elevato anche per professioni solitamente considerate a più alto reddito (151 per cento per i professionisti e 77 per cento per gli imprenditori). (4)

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Le dinamiche dei redditi

Professioni

Legislature 13 e 14 –

Aumento medio (%) legato alla entrata in parlamento (A)

Legislature 13 e 14 –

Effetto (%) dell’anzianità

parlamentare (B)

Avvocato

50,8

27,4

Dirigente in PA

62,5

-8,2

Dirigente in azienda

65,6

21,5

Dirigente politico

102,4

8,4

Giornalista

77,0

12,7

Impiegato in PA o azienda

165,1

5,8

Imprenditore

76,7

60,0

Insegnante

150,5

16,5

Libero professionista

150,6

21,6

Magistrato

51,8

27,9

Medico

65,8

16,1

Prof. univ. o ricercatore

25,9

-15,2

Sindacalista

173,1

0,4

Totale

69,3

13,3

(A) tasso di crescita fra redditi medi per professione nell’anno prima di entrare in parlamento (2000) e redditi medi nel primo anno interamente trascorso in parlamento (2002). In termini reali.

(B) tassi di crescita fra il primo anno interamente trascorso il parlamento della 13esima legislatura (1997) e l’ultimo anno disponibile della 14esima legislatura (2003). In termini reali.

 

Un’altra questione riguarda i rendimenti dell’anzianità parlamentare (vedi colonna B della tabella sui redditi). Per avere un periodo di analisi più esteso, è utile concentrarsi su quei parlamentari che sono stati eletti per due legislature, considerando la crescita del reddito reale fra il primo anno interamente in parlamento nella XIII legislatura (1997) e l’ultimo anno al momento disponibile per la XIV (2003). È interessante notare come gli effetti sul reddito reale di una permanenza parlamentare di sei anni siano in media positivi: poco più del 13 per cento. E tale effetto si rivela decisamente superiore proprio per alcune professioni che sono caratterizzate da un reddito di entrata più elevato della media: 60 per cento per gli imprenditori, 28 per cento per i magistrati, 27 per cento per gli avvocati, 22 per cento per i liberi professionisti.
Che cosa determina dinamiche così differenziate a seconda del lavoro di provenienza? Un primo elemento da considerare è la differenza fra il reddito dichiarato dai parlamentari, che include anche i proventi da attività esterne, e l’insieme delle competenze di carica a loro spettanti nello stesso lasso di tempo. (5) L’appartenenza ad alcune categorie professionali è associata a una maggiore crescita del reddito derivante da attività esterne, che in media aumenta del 51 per cento. Più precisamente, i redditi esterni degli avvocati aumentano in media del 73 per cento, quelli dei magistrati del 127 per cento, quelli dei liberi professionisti dell’80 per cento, e quelli degli imprenditori del 102 per cento. Per molte altre categorie (impiegati, dirigenti politici, sindacalisti) si assiste a una crescita inferiore o addirittura a una diminuzione. Sembra quindi che alcune professioni siano in una posizione tale da catturare un consistente vantaggio in termini di crescita del reddito derivante da attività esterne a quella di parlamentare, nel periodo in cui si trovano in carica. Anche se, naturalmente, un’analisi più dettagliata richiederebbe il confronto di questi aumenti con quelli registrati dalle categorie professionali considerate nel corso degli stessi anni.
In conclusione, non è da escludere l’esistenza di diversi, più o meno piccoli, conflitti di interesse che si annidano tra le pieghe dell’attività parlamentare. Qualsiasi iniziativa volta ad aumentarne la trasparenza, come pubblicare il dettaglio dell’attività di ogni singolo deputato o senatore (6), o rendere noti gli andamenti dei redditi di chi ricopre incarichi pubblici (troppo spesso limitata, purtroppo, a qualche classifica sui più famosi), non può che migliorare la qualità del processo di selezione e di controllo degli eletti da parte dei cittadini.


(1)
Si vedano Persson T. e Tabellini G. (2001), Political Economics. Explaining Economic Policy, Mit Press; Merlo A. (2005),
Whither Political Economy? Theories, Facts, and Issues, World Congress of the Econometric Society.

(2) Altrettanto interessante sarebbe analizzare misure diverse, come le presenze nelle votazioni elettroniche, gli interventi in aula o in commissione e gli atti di sindacato ispettivo. Questi dati sono ancora in fase di raccolta.

(3) Ai sensi dell’articolo 67 della Costituzione italiana, “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

(4) I dati si riferiscono ai redditi dichiarati dai singoli parlamentari. Non vengono considerati né i fringe benefit (cioè i rimborsi spese, che però non figurano nella dichiarazione), né le maggiorazioni delle competenze dovute a incarichi (ma si tenga conto che tra i neo-parlamentari solo il 3,5 per cento ha incarichi parlamentari e l’1,5 per cento incarichi governativi).

(5) Le variazioni stimate del “reddito extra” (non riportate in tabella ma citate nel testo) sono da considerarsi una sovrastima nel caso dei parlamentari appartenenti a quei partiti che chiedono di devolvere una parte dell’indennità di carica (con donazioni liberali totalmente detraibili ai sensi della L. 157/99).

(6) Sole-24Ore, 21-28 febbraio 2006.

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Ironia, ironia, per piccina che tu sia

  1. luca

    Trovo interessantissimo l’identikit che avete profilato per il parlamentare italiano. Ho solo 10 minuti per un breve commento e vorrei soffermarmi sul punto più importante del profilo da voi tracciato: la fedeltà al partito, la più antimeritocratica delle regole. Se Platone fosse tra di noi….!!! UN vero scandalo sul quale la luce dei riflettori non si accende mai. Vengono privilegiate per le candidature non persone più capaci o più rappresentative bensì persone che hanno la tessera del partito da più tempo. Non conta se hai titoli, se sei una persona valida, ma esclusivamente l’anzianità anagrafica della tua tessera. é per questo che ci troviamo infarciti di ex dc, ex pci, ex msi, pri, psi. Non ci sono veri volti nuovi!!! Come fa un partito ad aprirsi a nuove sfide e ad allargare sia i propri orizzonti che la propria area di rappresentanza se poi si candidano sempre le stesse persone?? fa comodo a tutti i partiti privilegiare il vincolo di fedeltà, ma certamente non fa bene alla democrazia

  2. ADRIANO

    Ottimo lavoro al quale auguro di proseguire per due motivi: il primo perché i numeri portano una maggiore comprensione della sfera poltica, della sua incarnazione e del suo operare, al di là delle sfiancate categorie della destra e della sinistra, dei partiti o altre consimili; il secondo perchè riuscire a ricostruire anche le variazioni storiche di questo gruppo sociale, di questa "elite", probabilmente ci permettere di leggere la storia di questo paese in modo non convenzionale, con nuovi strumenti e ottiche.

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