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L’anello debole della nuova revisione della spesa

Nel suo programma di lavoro, il commissario straordinario per la revisione della spesa ha indicato in modo sintetico ma chiaro obiettivi e modalità dell’operazione. Ci sono però alcuni punti sulla metodologia da seguire che, se non approfonditi, rischiano di far fallire l’intera spending review.
L’APPROCCIO DI COTTARELLI
Una delle cause del fallimento dei precedenti “cicli” di spending review va ricercata nella resistenza da parte delle amministrazioni a cambiamenti all’interno dell’organizzazione e a riduzioni selettive della quantità di risorse gestite. Le amministrazioni italiane sono poco attente ai risultati delle loro azioni e tendono a perpetuare l’esistente, opponendosi a un disegno di valutazione della spesa che punti a introdurre criteri oggettivi di ripartizione delle risorse. Il mantenimento dello status quo è diventato un vero e proprio obiettivo per una parte della dirigenza, insieme ovviamente al tradizionale “quieto vivere” del burocrate.
L’approccio metodologico contenuto nel documento di Carlo Cottarelli, il commissario straordinario per la spending review va letto partendo da questi presupposti.
In tale documento si stabilisce quanto segue:
a) L’intera amministrazione pubblica deve essere coinvolta nella revisione della spesa;
b) È istituito un “gruppo di base” di circa dieci persone provenienti dal settore pubblico, “con il ruolo di coordinamento delle attività, conduzione di lavori analitici e promozione delle attività della Rs” (nonché la definizione di una metodologia per contabilizzare in maniera omogenea i risparmi di spesa);
c) Verranno costituiti gruppi di lavoro su temi specifici organizzati sia “verticalmente” (per enti di spesa) che “orizzontalmente” (per tematiche), i cui coordinatori – per le attività ministeriali – saranno rappresentanti dei ministeri;
Sul primo punto non vi sono dubbi. Il coinvolgimento delle amministrazioni deve essere pieno e completo. Tutte le informazioni disponibili e le banche dati devono essere accessibili ai componenti dei gruppi di lavoro. Si tratta però di capire che ruolo debba avere l’amministrazione nella valutazione della spesa che essa stessa gestisce.
Sul secondo punto sorgono alcuni problemi. Il numero di persone previsto per il “gruppo di base” è estremamente esiguo (soprattutto se alcuni di loro svolgono anche altre attività) e anche se non impedisce una attività di guida e di coordinamento dei lavori non consente una diretta e completa operatività nella Rs dei singoli settori e centri di spesa. Le stesse questioni si erano già poste sia con la Commissione tecnica di finanza pubblica (2007-2008) sia con il gruppo di lavoro costituito da Piero Giarda nel 2012. Un ridotto numero di componenti della struttura portante della Rs (a maggior ragione se non “operativi”) non garantisce la possibilità di una effettiva valutazione estesa dei programmi di spesa. Considerazioni analoghe sono state svolte su lavoce.info da Giuseppe Pisauro che a proposito delle risorse necessarie si riferisce a “un centinaio di analisti qualificati”.
CONTROLLORI E CONTROLLATI
Ma le maggiori criticità nascono con il terzo punto. I gruppi di lavoro sono “a composizione mista”, ossia includono i rappresentanti dei centri di spesa, quelli della Ragioneria generale dello Stato, quelli del “gruppo di base” e “se disponibili a titolo gratuito, accademici o altri soggetti qualificati”. Il coordinamento dei gruppi sembra per altro assegnato ai rappresentanti delle amministrazioni.
Si può convenire che i gruppi debbano essere a composizione mista, ma non si può eludere il fatto che i rappresentanti delle amministrazioni (e in parte quelli della Rgs) sono in una condizione di “conflitto di interessi”. Potrebbero emergere resistenze e opposizioni a determinate azioni dovute alla difesa di interessi di parte. Vi sono due strade per controbilanciare tale situazione:
1) Poter disporre di parametri oggettivi ai fini della Rs. Se si disponesse in maniera diffusa di standard di spesa per settori e sottosettori non vi sarebbero problemi di discrezionalità dell’analisi e risulterebbe quindi indifferente chi fa la Rs.
2) Poter contare sulla prevalenza numerica di valutatori indipendenti all’interno dei gruppi di lavoro.
Sembra però che le due condizioni non possano al momento essere soddisfatte. Vi sarebbe pertanto un netto squilibrio a favore di un controllo della spesa effettuato da chi la gestisce.
L’attività volontaria e residuale degli “accademici e degli altri soggetti qualificati” così come è stata pensata rischia di inficiare l’intero disegno della Rs. La valutazione della spesa non può che essere “indipendente” da chi gestisce quella spesa e deve essere svolta dall’esterno, pur con il coinvolgimento delle amministrazioni.
D’altra parte, quale rappresentante dell’amministrazione darebbe il proprio benestare a chiudere un dipartimento o ad accorpare diverse direzioni generali per motivazioni di efficienza gestionale?
La necessità di poter contare su un nutrito numero di analisti dedicati alla valutazione della spesa si ricava anche dalla prevista futura “istituzionalizzazione” della Rs che implica una gran mole di lavoro finalizzata alla ridefinizione dei programmi di spesa e dei relativi indicatori. (1)
In sostanza, la metodologia di lavoro proposta per la nuova Rs esclude costi aggiuntivi per la Pa impedendo così il reclutamento di analisti qualificati. Ma così facendo non tiene conto delle lezioni che si possono trarre dalle esperienze passate e mette a repentaglio la possibilità di una efficace attività di Rs priva di “conflitti di interesse”.
(1) Si veda su questo il documento Cottarelli a p. 5.
Amministrazioni protagoniste della revisione della spesa, Carlo Cottarelli, 28.11.2013
Una replica al commissario Cottarelli, Claudio Virno, 29.11.2013

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11 commenti

  1. Francesco De Leo

    Per limitare i conflitti di interessi sarebbe opportuno inserire in ogni gruppo un Ispettore Generale di Finanza Pubblica della Ragioneria Generale dello Stato che in virtù delle mansioni abitualmente svolte sono sufficientemente preparati e immuni da tali complessi.

  2. Kalergi

    Gli Esteri nel 2010 hanno accorpato volontariamente le Direzioni Generali, dimezzandole

  3. Adriano Sala

    Oserei un po’ di più: manca la presenza del cliente, cioè del contribuente.

  4. Cassandra

    Premetto che non sono tenera con i burocrati.
    Vedo lo stato come un’azienda di cui noi siamo gli azionisti, quindi gli alti papaveri come amministratori delegati; e si sa che quando le cose non vanno sono costoro che tornano per primi a casa in un’economia sana.
    Quindi metterei un piccolo incentivo, che so +0.1% del risparmio, in bonus a chi risparmia SENZA alterare la già moribonda qualità del servizio pubblico; un taglio della busta paga a chi non lo sa fare senza ridurre il servizio; e il licenziamento a chi per due anni non ha fatto risparmi. E questo giù per la scala gerarchica, ad ognuno il suo piccolo obiettivo da raggiungere, se può nel suo lavoro intervenire sui costi.
    Sarò perfida, ma ritengo che fioccherebbero idee innovative dalla paura di perdere il lavoro, che i comuni mortali nutrono da sempre, mentre per il pubblico impiego si sa, è un mero dato teorico, anche nel caso di delinquenti patentati…

  5. Enrico

    Vero.
    Purtroppo però c’è da rimuovere prima uno strapotere nella PA: quello del sindacato. Quando dico sidnacato intendo anche politica: i travasi dalle dirzioni generali alle segreterie dei partiti dimostrano che ormai il sindacato è lontano anni luce da ciò per cui è nato.

  6. Giuseppe Fortuna

    Concordo solo in parte con l’analisi di Virno. È vero che riforme profondissime come quelle che servono al nostro paese non verranno mai né dalla dirigenza di vertice né dall’organo di indirizzo politico di ciascuna pubblica amministrazione (e anche nel governo Letta non c’è un ministro che non batta cassa). Mentre non è vero che un GRUPPO DI BASE di 10 esperti non possa riuscire nella difficile impresa. Certo, se si andrà in ordine sparso e/o si chiedono cose impossibili o astruse anche il tentativo di Cottarelli sarà l’ennesimo cocente fallimento. Viceversa, risultati eccezionali si possono raggiungere, e anche in tempi molto brevi, se quel piccolo gruppo: 1) SARA’ COESO SUL METODO (che può e deve essere semplice e intuitivo); 2) se riuscirà a COINVOLGERE SINDACATI E LAVORATORI e, a seguire, cittadini e organizzazioni civiche. Dirigenti e ministri, d’altra parte, ha ragione Virno, sono i più interessati a mantenere lo status quo, mentre i lavoratori pubblici e i cittadini hanno paura di perdere stipendi e pensioni ed è quindi su loro che bisogna fare leva ed è loro che bisogna coinvolgere. Per il metodo, rimando al documento che abbiamo pubblicato sul sito dell’associazione Finanzieri e Cittadini http://www.ficiesse.it.
    Giuseppe Fortuna (Segretario generale Ficiesse)

  7. Emanuele De Candia

    Nelle attività di revisione, il trade off tra conflitto di interessi controllore controllato e lo scontro aggravato dalle condizioni di asimmetria informativa non può essere superato ma bilanciato. La decisione di eliminare il conflitto di interessi comporta purtroppo analisi che cadranno dal cielo, anche il massimo dell’obiettività potrà essere contrastato con innumerevoli espedienti.
    Il metodo attuale non è quello usato nelle precedenti revisioni di spesa ma si allinea all’approccio seguito per la definizione dei fabbisogni standard Sose-Ifel, con la differenza che è bottom up. Incontrovertibile la scarsità di risorse allocato allo scopo, anche se tale scelta è coerente con l’obiettivo di far lava sul personale interno ai fini di favorire il committment necessario affinché le misure di attuazione siano condivise già dalla fase di valutazione dei programmi di spesa.

  8. Maria F.

    Non esiste alcuna evidenza empirica che dimostri una
    maggiore indipendenza dei consulenti esterni pagati dalla pubblica
    amministrazione rispetto al personale di ruolo. L’esperienza italiana in molti
    casi ha dimostrato l’esatto contrario. Ha mai sentito parlare di valutatori
    “indipendenti” dei programmi di spesa comunitari, di authority “indipendenti”, etc. . Lei stesso dott. Virno è stato componente di un Nucleo di valutazione che non mi sembra
    abbia rivoluzionato il sistema di valutazione degli investimenti pubblici del
    Ministero del bilancio. Non eravate sufficientemente indipendenti o i vostri
    parametri non erano sufficientemente oggettivi? Non pensavo che Lavoce.info
    potesse pubblicare un contributo così mediocre. La revisione della spesa avrà successo
    se potrà contare su di un forte mandato politico, non certo se si avvarrà di un
    centinaio di consulenti esterni che come lei pensano di poter misurare la spesa con parametri oggettivi. Ma poi “Parametri oggettivi, valutatori indipendenti… ” ma a chi vuole farla bere?

    • Emanuele De Candia

      In realtà i programmi comunitari che attuano le politiche di coesione sono per regolamento affidati a valutatori indipendenti esterni. Generalmente vengono aggiudicati con procedure aperte a grandi società di consulenza e advisoring. E’ questa la sostanziale differenza che rileva, non se sono interni o esterni all’amministrazione. Poi, in quei casi c’è una sostanziale differenza, ovvero una forte proceduralizzazione delle attività, le quali sono di compliance a specifiche norme. Ciò che esula da attività di revisione della spesa, propriamente valutative e con maggiori margini di discrezionalità. Il punto non è definire la migliore qualità del pubblico o del privato.

  9. Giuseppe Fortuna

    Credo che la profondissima riforma che serve al nostro paese non verrà né
    dalla dirigenza di vertice né dagli organi di indirizzo politico di ciascuna
    pubblica amministrazione (e infatti anche nel governo Letta non c’è ministro che
    non batta cassa); ma non è assolutamente vero che un GRUPPO DI BASE anche solo
    di dieci esperti non possa riuscire nella difficile impresa.
    Certo, se quelle dieci personalità, come non di rado avviene, andranno in ordine sparso e/o chiederanno cose impossibili, astruse o incomprensibili anche il tentativo di
    Cottarelli sarà un fallimento.
    Ma risultati importanti potranno essere raggiunti in tempi brevi: 1) se quel piccolo gruppo sarà COESO SUL METODO; 2) se riuscirà a COINVOLGERE LAVORATORI E SINDACATI e, a seguire, cittadini e organizzazioni civiche; 3) se il metodo sarà così SEMPLICE, GRADUALE E INTUITIVO da essere facilmente compreso, condiviso, attuato e controllato, in dialettica anche conflittuale con gli attuali dirigenti di vertice, dal
    maggior numero possibile di dipendenti pubblici.
    E’ vero infatti, che la dirigenza di vertice della pubblica amministrazione oggi è interessata a mantenere lo status quo, visti gli altissimi livelli retributivi raggiunti e l’attuale situazione di irresponsabilità e di completa inamovibilità dovute proprio all’assenza di reali obiettivi; ma è altrettanto vero che tutti gli altri dipendenti hanno capito benissimo che se non si cambia in gran fretta lo Stato va in default e con il default molti perderanno lavoro, stipendi e pensioni.
    E’ su questi, quindi, e sui loro sindacati che bisogna assolutamente riuscire a far leva.

  10. fabio atzeni

    Condivido l’approccio del dott. Virno. Sono un funzionario regionale e mi occupo di contabilità. Nel tempo i bilanci sono stati incrementati in misura quasi automatica e la Pa si è occupata di tante cose anche estranee alla sua mission. la riduzione delle risorse sul bilanci avrebbe dovuto condurre a concentrare l’attenzione sulla mission lasciando perdere il resto. E invece quest’ottica ancora non si è diffusa in maniera capillare. Sarei pertanto dell’avviso di “sveltire” il processo di revisione della spesa delle singole PA attraverso l’intervento di analisti esterni che, affiancati da figure interne alle amministrazioni, possano dare la sterzata necessaria a ridurre significativamente la spesa nel suo complesso. E’ indispensabile inoltre evitare la duplicazione di fonti di finanziamento e privilegiare sempre la spesa con fondi europei rispetto a nuova spesa pubblica nazionale o regionale.

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