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GARIBALDI E I MILLE? UN INVESTIMENTO

La spedizione dei Mille è stato uno degli eventi cruciali per l’unificazione d’Italia. Ai tempi non c’era internet ma il telegrafo, Parigi era la Borsa di riferimento e i prestiti erano erogati dalle grandi famiglie dei banchieri e non dall’Fmi. Eppure mercati finanziari e debito pubblico ebbero un ruolo nello sgretolamento del regno borbonico e nel successo dei garibaldini. E, col senno di poi, è un po’ come se Garibaldi avesse detto “obbedisco!” non solo al re Vittorio Emanuele, ma anche ai Rothschild.

Studiando la serie storica delle quotazioni del debito pubblico borbonico, durante il 1860, è possibile rispondere a una domanda assai interessante, anche per i suoi riflessi attuali: i mercati finanziari dell’epoca avevano scontato la spedizione dei Mille?

DUCATI E DEBITO PUBBLICO

Indubbiamente, i mercati anticipano accadimenti incerti, che valutano attraverso la lente deformante delle aspettative.
Se, però, nell’era di Internet, i mezzi di comunicazione consentono un aggiornamento immediato di quello che avviene ai piani alti, è lecito chiedersi se le cose funzionassero in modo simile anche in passato, in particolare per un evento che ha segnato la storia di questa penisola.
Un’analisi è possibile andando a recuperare le quotazioni giornaliere della rendita di Sicilia del 1860, pubblicate sulla pagina commerciale del quotidiano dei Borbone, Il Giornale Ufficiale del Regno delle Due Sicilie, conservate presso l’Archivio storico municipale del comune di Napoli e presso l’Archivio storico della Fondazione Banco di Napoli.
Come riportato dal lavoro La borsa di Napoli di  Maria Carmela Schisani, anche nel diciannovesimo secolo esisteva una borsa valori in cui venivano negoziati titoli, prevalentemente del debito pubblico, dei vari stati.
La borsa venne istituita a Napoli nel 1788 da Ferdinando I di Borbone e attraversò la storia del regno delle Due Sicilie fino al 1860, con la caduta di Francesco II.
Il titolo del debito pubblico era emesso in ducati, la moneta del regno, e aveva una rendita fissa del 5 per cento alla scadenza.
Parigi costituiva la Wall Street dell’epoca e sui suoi valori risultavano agganciate le quotazioni dei titoli napoletani. Come a dire che lo spread si sarebbe misurato sui titoli francesi.
La finanza, allora, era organizzata attorno a grandi famiglie: un ruolo di primo piano, in particolare, fu esercitato dai Rothschild, che erogarono ai Borbone diversi prestiti nel corso della loro storia.
In sostanza, la famiglia di banchieri agiva come una sorta di Fondo monetario internazionale ante litteram, che garantiva prestiti onerosi dietro l’impegno ad approvare riforme politiche e fiscali rigorose da parte dei beneficiari.
Non è un caso se Ferdinando II, re di Napoli dal 1830, iniziò un programma radicale di modernizzazione del regno proprio in concomitanza con uno di questi prestiti. E non è un caso che, dopo il 1848, il regno cominciò a sfaldarsi, anche per via del disimpegno dei Rothschild stessi dalle finanze partenopee.

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MILLE E NON PIÙ MILLE

Tornando all’avventura garibaldina, poco prima dell’inizio della spedizione, il titolo del debito pubblico borbonico raggiunse il suo massimo: 120,06 ducati nel 1857. Si tratta di una fase che potremmo considerare come una sorta di bolla speculativa.
Prima dell’inizio della spedizione dei Mille, l’Europa guardava al Regno delle Due Sicilie come a una monarchia in crisi irreversibile.
Si trattava soltanto di capire di che morte il regno dovesse morire, un po’ come capitato con la fine del governo Berlusconi.
Il grafico seguente mostra l’andamento della serie delle quotazioni giornaliere del debito pubblico borbonico durante il 1860. La retta verticale segna l’inizio della spedizione. Come è possibile evincere, le quotazioni del debito crollano con l’avanzare dei garibaldini:

La spedizione di Garibaldi è un’impresa decisamente non lineare, che procede per salti discreti.
Indubbiamente, da un punto di vista numerico, lo scontro appariva impari: un migliaio di volontari, male armati e peggio equipaggiati, contro le 100mila unità di cui contava, almeno sulla carta, l’esercito regolare di Francesco II.
Seguire la spedizione attraverso le contrattazioni sul mercato ci consente di fare luce, in un modo assai originale, sull’evento.
Dallo sbarco avvenuto a Marsala l’11 maggio alla battaglia di Calatafimi, quattro giorni dopo (il primo grosso smacco per l’armata borbonica) il titolo perse 4,4 punti percentuali.
Dopo Calatafimi, i Mille puntarono verso Palermo, dove, a protezione della città, stava il grosso del contingente borbonico sull’isola (25 mila unità). In pratica, Garibaldi conquistò la città senza combattere, sfruttando insieme la sua abilità tattica e la disorganizzazione delle truppe regie, guidate da Ferdinando Lanza.
Al 19 giugno, data di caduta della città, il titolo aveva perso 10 punti percentuali, fermo a 103 ducati.
Luglio fu sostanzialmente un mese di stasi: i garibaldini si organizzarono in Sicilia mentre, allo stesso tempo, pianificavano lo sbarco in continente; i borbonici, a Napoli, preparavano invece la controffensiva.

BATTAGLIE E SPREAD

Quest’incertezza si concretizzò, non casualmente, in un periodo di immobilismo delle contrattazioni, con il titolo che reagisce, sì, alla battaglia di Milazzo (19 luglio) perdendo altri 5,5 punti percentuali (96 ducati), ma rimane, poi, sostanzialmente stabile, un po’ come lo spread italiano oggi, fermo da giorni sulla soglia dei 500 punti.
Dallo sbarco in Calabria e fino alla caduta di Napoli e del Regno, con la battaglia del Volturno che si conclude il 1° ottobre 1860, e l’incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano il 26 ottobre, il valore del titolo scese a 87 ducati, con una perdita di altri 9,2 punti percentuali.
Il crollo si arrestò nel momento in cui i Savoia proclamarono ufficialmente che, con l’istituzione del Gran Libro del Debito Pubblico, avrebbero onorato il pagamento del debito anche degli Stati pre-unitari annessi, da vero e proprio last resort lender. (1) Il titolo borbonico, da quel momento, andò assestandosi sui valori della rendita sabauda.
La scaltrezza di Cavour e della casa regnante di Torino, dapprima informalmente ostili all’avventura garibaldina e, successivamente, pronti a sfruttare l’opportunità politica offerta dal successo della spedizione, si riflesse nei corsi del debito, che fotografano come in un elettrocardiogramma le pulsazioni della finanza dell’epoca, pronta a sintonizzarsi sui ritmi di un cuore Savoia.
A nulla valsero le promesse di riforma costituzionale di Francesco II, dopo il 25 giugno 1860. A nulla servì la controinformazione del regno, ben evidenziata dal Giornale Ufficiale del Regno delle Due Sicilie, che parlava di brillanti successi dell’esercito regio contro una masnada di “filibustieri”, proprio mentre i “buoni del tesoro”, inesorabili, cadevano sotto gli occhi della casa regnante in crisi.  (2)
Uno degli aspetti più interessanti di questa straordinaria vicenda è appunto l’informazione, che aumentò l’incertezza attorno all’evento e, con essa, le fibrillazioni del mercato internazionale.
I bookies dell’epoca avrebbero avuto le loro difficoltà a scommettere sugli eventi. Era chiara, da un lato, la decadenza del regno borbonico; meno chiara, la via d’uscita: un trionfo elettorale della coalizione Garibaldi-Mazzini o un governo tecnico Cavour, per rassicurare i mercati?
Col senno di poi, è un po’ come se Garibaldi avesse detto “obbedisco!” non solo al re Vittorio Emanuele, ma anche ai Rothschild.

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(1) Il Gran Libro del Debito Pubblico vedrà la luce dopo la proclamazione del Regno d’Italia del 17 marzo 1861.

(2) Vedi Giornale del Regno delle Due Sicilie, collezione 1860 conservata presso Archivio storico municipale del comune di Napoli e presso l’Archivio storico della Fondazione Banco di Napoli.

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23 commenti

  1. Alessandro Pagliara

    Grazie Professore. Finisco di leggere l’articolo con un magnifico sorriso. Adesso però mi domando: i mercati si aspettano l’unificazione dell’Europa e quindi uno spread tedesco. Insomma, la Germania adesso dovrebbe “conquistarci”, o meglio annetterci (questa volta nel bene), oppure il “regno” italiano non avrà il suo Garibaldi che lo salverà e farà la fine della Grecia con i giovani laureati che emigrano in Australia? Come leggiamo i mercati che viaggiano a millisecondi?

  2. michele

    dimenticate il particolare fondamentale della flotta di Lord Palmerston che incrociava i mari di Sicilia, mentre i mille sbarcavano a Marsala. La flotta militare e mercantile del Regno delle Due Scilie era seconda in Europa a quella del Regno Unito, che diede all’impresa dei Mille un decisivo appoggio finanziario e militare. D’altra parte, la massoneria, cui appartenevano Cavour, Garibaldi e Mazzini, non faceva a capo della Corona inglese? Articolo coraggioso perchè cita un nome pressochè inesistente sulla stampa, quello dei Rothschild. Sala Rothschild alla Borsa di New York, Banca Rothschild di Lugano (una delle maggiori in Svizzera). Una dinastia di banchieri importante nella finanza odierna, e in altre grandi opere storiche come la realizzazione del Canale di Suez. In tempi di ristrettezze economiche, le grandi famglie storihe di bachieri possono essere un riferimento per il cofinanziamento di grandi infrastrutture.

  3. Mirco

    In tutta questa storia però non capisco oggi chi recita la parte del banchiere Rothschild, chi è franceschiello, e chi Cavour. Se l’obbedisco lo devono dichiarare i sindacati e i lavoratori che si ritrovano con meno pensioni e meno diritti, magari dovendo anche modificare una costituzione (quella italiana) che è la più bella del mondo perchè dichiara anche diritti sociali, allora se così deve essere non ha senso rimanere in Europa. L’idea dell’europa che avevano Spinelli e i fondatori era un’altra. Allora viva la lira!

  4. Salvatore S.

    Sono contentissimo di trovare un articolo del genere sul vostro bellissimo sito. Sono contento perchè con altri amici abbiamo curato una mostra studiando documenti d’Archivio che suffragano le tesi qui riportate. Grazie.

  5. Fabio

    La situazione dell’allora Regno delle Due Sicilie non è assolutamente paragonabile a quella dell’Italia di oggi, per quanto riguarda l’aspetto finanziario. Prima cosa, il Regno duosiciliano non aveva un enorme debito pubblico a differenza della seconda, e non doveva pagare interessi alti. Semmai, era il Regno di Sardegna in particolare difficoltà finanziaria, come testimoniano il confronto tra i bilanci dei due regni e i numerosi prestiti che i Savoia avevano richiesto nel corso dell’ultimo decennio pre-risorgimentale, dato che dovevano finanziare essenzialmente le varie guerre intraprese allora. Anche la bilancia dei pagamenti era in netto sfavore dei Savoia. Quindi in sostanza, sarebbe più corretto dire che il Regno delle Due Sicilie non aveva problemi di natura finanziaria, né tanto meno economica. C’erano tanti altri problemi che lo rendevano antiquato e obsoleto col passare del tempo, ma non dal punto di vista economico-finanziario.

  6. Alessandro Diliberto

    Il regno delle due Sicilie era, in quanto a reddito pro capite, la terza potenza economica europea; aveva industrie, strade, ferrovie .. mercati finanziari sviluppati, un’amministrazione pubblica efficiente e onesta. La Calabria in particolare aveva le più moderne acciaierie d’Europa; segreti industriali della fusione dell’acciaio facevano molto gola a Francesi ed Inglesi. Infatti quello dei Borboni era l’esercito più ben attrezzato del mondo. Nei forzieri del re erano custodite tonnellate di oro (trafugato poi dalla Reggia di Caserta). Savoia regnavano in territori e città con l’economia ormai a pezzi dato che loro stessi, con sprechi e corruzione diagante, e le guerre d’espansione..tutte perse..avevano dissanguato i loro sudditi. Il rapporto di ricchezza era 3 a 1 per il sud … Ma già 10 anni dopo l’Unità d’Italia il “meridione”, depredato di tutto, era piombato nella miseria. Come spiegate voi giornalisti “illuminati” che tra la fine dell’800 ed i primi del ‘900 parte dell’elitè economica del sud è emigrata in America? Non si parla solo di manovali ma di architetti, ingegneri, musicisti, medici che sono andati via dall’Italia ed hanno fatto grandi l’America e L’Australia.

  7. lupo lucio

    Nel 1850 il regno delle 2 sicilie era il più ricco degli altri statarelli d’Italia e il più indebitato era il regno di sardegna,l’unificazione dell’italia è stato un pretesto per saccheggiare e inpadronirsi delle ricchezze del sud per trasferirle al nord. Da lì partì la questione meridionale ancora oggi attuale.

  8. P. Magotti

    Non credo di aver capito bene, perché i numeri sarebbero clamorosi. Un titolo che a scadenza pagava 105, veniva quotato 120 nel 1857? C’era deflazione o che altro? Sarebbe interessante anche un grafico con gli spread tra titoli francesi, borbonici e sabaudi per poter capire pienamente le cifre indicate. Grazie.

  9. Luciano Canova

    Nessuno mette in dubbio la ricchezza del Regno delle Due Sicilie, dopo di che è evidente che il disimpegno dei Rothschild, sopratutto post 1848, crei difficoltà ai Borbone. Il regno era un dead state walking.
    Sicuramente la situazione dell'Italia di allora non è paragonabile a quella di oggi. E tuttavia, al di là dell'effettiva situazione economico-finanziaria, è ragionevole assumere che, a fronte di una sconfitta militare o del crollo di una dinastia, i mercati guardassero con incertezza al dopo. Cioè: chiunque fosse venuto dopo i Borbone, che avrebbe fatto della Rendita di Sicilia? L'avrebbe ripudiata? O no? Da qui nasce il senso dello studio.
    I numeri non sono clamorosi, forse (anche se a me lo sembrano abbastanza), ma è interessante la reazione rapida delle quotazioni all'evolvere della spedizione, secondo le attese. Tutto qui.
    Vero, invece, che si possono fare confronti con i titoli francesi (e calcolare lo spread, sicuramente in aumento nel periodo, senza dimenticare comunque i sommovimenti in tutta Europa) e con i prezzi delle derrate, per tenere conto dell'inflazione. Si tenga presente che questo è l'inizio di un lavoro che merita approfondimento. Grazie per l'attenzione.

  10. Gianfranco

    Se questo articolo voleva provocare una discussione c’è riuscito benissimo.

  11. Diego Livoti

    “La storia la scrivono i vincitori” Ed è vero. Ma che questo sia fatto ancora dopo 150 anni di Questione Meridionale è veramente troppo. Sopratutto quando l’articolo lascia intendere che il Regno delle Due Sicilie fosse uno stato indebitatissimo mentre tace sui debiti fino al collo che vantavano i savoiardi con l’abile guida di un abilissimo affarista dei conti suoi. Recitare:”avrebbero onorato il pagamento del debito anche degli Stati pre-unitari annessi, da vero e proprio last resort lender” indica mancanza di onestà intellettuale.

  12. Francesco Lovecchio

    Interessante semmai il fatto che nonostante la sconfitta i titoli non siano scesi di più. Prima della battaglia di Waterloo i consols inglesi soffrirono di più. In ogni caso, nel 1860 il rendimento pre-1000 dei titoli napoletani era in linea con quelli francesi (Rentes), superiore a quelli inglesi (i bund di oggi) nonché a quelli belgi e olandesi. I titoli napoletani avevano uno spread di poco peggiore di quelli pressiani ma inferiore ai titoli svedesi (Fonte: A History of Interest Rates di S. Homer e R. Sylla, disponibile anche su google books). A questo punto sarebbe interessante sapere l’andamento dei titoli piemontesi.

  13. Marco Spadino

    Che dire Professore! Lei ha fatto uno studio specifico sull’andamento del debito e noi non possiamo che prendere per buoni i suoi dati. Però dalla lettura complessiva del suo interessante articolo si ricava la solita immagine dei coraggiosi garibaldini che, contro ogni pronostico, vanno a liberare il sud dal re cattivo (ed anche indebitato). Allora diciamo pure, a beneficio di chi magari non ha mai approfondito questi temi, che i Piemontesi avevano un debito di gran lunga più pesante, e che, anche e soprattutto a causa dei loro debiti, progettarono l’invasione del Regno di Napoli corrompendo gli ufficiali borbonici ed accordandosi con la mafia siciliana. Capisco che lei è un economista e non uno storico, ma comunque sarebbe davvero interessante che lei pubblicasse qualcosa sull’andamento dei rendimenti dei titoli sabaudi nello stesso periodo. Sarebbe un contributo per capire a chi davvero è convenuta quella spedizione e tutto ciò che ne è seguito.

  14. Pimentel Fonseca

    L. Canova:”Si tenga presente che questo è l’inizio di un lavoro che merita approfondimento.”. Caro Professore, vorrà valorizzare quanto prima la surriportata Sua statuizione e completi il lavoro con riferimento allo stato economico-finanziario degli altri Stati pre-unitari, oltre al Regno Unito, alla Francia e all’Austria.

  15. Alessandro Diliberto

    All’epoca i titoli di stato non erano poi così importanti. I capitoli veri nell’economia di una nazione di fine ‘800 erano altri. La Sicilia insieme alla Campania detenevano il record di esportazioni dei generi agricoli in Europa. Le produzioni alimentari, le acciaierie Calabresi, i trasporti ferroviari, l’industria navale napoletana, l’amministrazione borbonica efficiente, la maestosità armonica delle campagne e delle architetture urbane nelle città, l’estensione dei territori, unita ad una evidente superiorità e cultura della classe media rispetto a Lombardi e Piemontesi, tutto questo era il vero obbiettivo dello scaltro Cavour con l’idelogo illuso Mazzini e grazie ad un “eroe farabutto” di nome Garibaldi. Alcuni economisti hanno calcolato che se il nord di Bossi chiedesse l’indipendenza dovrebbe pagare al sud circa 1000 MLD di euro (stima per difetto). Fateglielo sapere alla Lega.
    E come non fare un parallelo con la situazione attuale in Europa? Vedo molta similitudine tra l’unità d’Italia (per molti aspetti …mancata) e l’unione europea (completamente mancata) con il solo avvento dell’euro. E’ stato determinante per l’economie del nord europa (Germania, Olanda , Austria, Francia) la creazione di una europa solo di carta. Per dirla in breve la Germania sta facendo ed in parte ha già fatto all’Italia ciò che il Regno di Savoia (con l’appoggio guarda caso degli stessi stati di cui sopra + gli Inglesi) ha fatto al R.dd.S. Inoltre così come Cavour ed i regnanti posero la “mafia” a salvaguardia dei nuovi possedimenti, allo stesso modo l’alta dirigenza e finanza europea ha lasciato i ns. ipolitici a salvaguardia e difesa dell’euro.
    Perchè noi dell’europa del sud dovremmo pagare per l’indebitamento in titoli spazzatura delle banche tedesche? Così come pagarono i meridionali per i secoli di sconfitte militari dei Savoia? Perchè non provare ad avanzare anche l’ipotesi dell’abbandono dell’euro per un ritorno “graduale” alla lira? 

  16. Antonio

    Gentile Canova questa vuole essere uno spunto a migliorare. Innazitutto, grazie per l’interessante confronto di eventi storici con dati borsistici.penso che lei confonde la causa con le conseguenze. il grafico mostra che fino alla notizia dell’ invasione del regno delle due Sicilie i titoli di stati borbonici erano su un valore medio di 110 ducati(un gruppo di uomini che attacca uno stato sovrano è invasione o unità o almeno così dovevano vederla i governanti delle due Sicilie e i possessori di titoli di stato del regno). Quando arriva la notizia dello sbarco si crea turbolenza sui mercati (evidenziato dalla perdita di valore e dal picco di ritorno, che interpreto come la preoccupazione dei possessori dei titoli di perdere i loro investimenti e poi l’attesa che le truppe regie sconfiggano presto l’ invasore)A mio giudizion la time-history non registra altro che l’aspettativa degli investitori sui loro investimenti in titoli di stato borbonici in seguito allo svolgersi dell’ invasione che mette in crisi la fiducia di rientrare del loro investimenti che potrebbero non esistere più.

  17. Luciano Canova

    Sono contento del clamore suscitato da questo articolo (tra l’altro raccolgo l’invito a considerare la situazione degli Stati pre-unitari, come fa una ricercatrice che si chiama Stephanie Collet, e com’è nelle intenzioni del mio coautore Alessandro Lanza). Su quanto detto da Antonio, credo che invece si confonda quanto ho fatto: sono un economista, sufficientemente conscio che parlare di causalità presenta salite degne del Tour de France. Non parlo nè di cause nè di conseguenze. Non mi avventuro nel terreno difficile delle correlazioni spurie, con analisi econometriche che mettono in relazione una x e una y. Scrivo, a ben guardare, proprio quanto da lei suggerito: e cioè la normale preoccupazione degli investitori di allora rispetto ai propri risparmi. Che mi sembra, appunto, un non banale punto di vista per analizzare un evento storico spesso raccontato da un altro punto di vista. Spero di avere offerto qualche evidenza al riguardo. Per ora non ho altre ambizioni.

  18. Luca S.

    Parlare di “bolla speculativa” per i corsi della rendita napoletana dopo la ristrutturazione ferdinandea significa non comprendere molto bene i funzionamenti del mercato dei titoli pubblici di quel periodo. Parlare, invece, di “crollo” con la caduta dei corsi dopo la spedizione dei mille è altrettanto fuorviante, viste le oscillazioni. Forse l’autore avrebbe fatto meglio a interrogarsi sul perché la rendita napoletana scese a 85 e non 45-50, come sarebbe stato naturale attendersi da uno stato in disfacimento. Il riferimento “ai Rothschild” (quale gruppo, i Francesi?) è piuttosto ingenuo e ricorda vagamente le teorie della cospirazione e i complotti demo-plutocratici. In quel periodo, a quanto mi risulta, il ramo francese aveva poi orientato da tempo i flussi finanziari sulle ferrovie. Per quanto riguarda il grafico, forse sarebbe stato opportuno segnare, per elementari ragioni di comunicazione, i singoli eventi storici e non soltanto lo sbarco siciliano. Infine, le fonti: “il giornale ufficiale del Regno delle Due Sicilie” (sarà, probabilmente, il Giornale delle Due Sicilie), sarebbe stato meglio affiancarlo al Fenn e agli altri bollettini. Lo sforzo, comunque, è da apprezzare.

  19. Salvatore Di Loreto

    Ringrazio l’autore per aver proposto un tema interessante e che ci distoglie, per qualche minuto, dai segnali dei mercati di oggi ma devo osservare che la ricostruzione dei fatti e del contesto è a dir poco opinabile. Ho letto degli stralci del libro di G. Savarese che Google mette a disposizione qui ed il confronto tra le finanze del Regno di Sardegna e di quello delle Due Sicilie giunge a conclusioni diametralmente opposto a quello dell’autore. Dove sta la verità?

  20. Luciano Canova

    Credo in alcuni commenti ci sia un fraintendimento. Lo studio vuole verificare come i mercati abbiano reagito (in presa diretta) all’evento “spedizione dei Mille”. Questo nulla ha a che vedere con la floridezza o situazione debitoria, come stock, del Regno di Sardegna o dei Borbone, sulla quale indubbiamente approfondirò, ma che non è il focus dello studio. A questo proposito, comunque, vale e non poco, e lo ripeto, il disimpegno dei Rothschild. Da un punto di vista geopolitico, il regno di Sicilia era condannato. Che le casse dei Savoia fossero stressate, è molto possibile, dato che si trattava di un regno in guerra da una buona decina d’anni. Utile, inoltre, ricordare, che la spedizione dei Mille non è fatta dai Savoia, ma da Garibaldi. Almeno inizialmente, non si sa se prevarrà l’ala repubblicana o quella monarchica pro-savoia, che di fatto subentra a partita in corso. Ottimo, invece, il suggerimento di guardare che succede agli altri debiti pre-unitari. Lo fa già Stephanie Collet, concludendo che, all’epoca, non si era in effetti certi dell’esito unitario del Risorgimento. Io mi concentro sulla spedizione dei Mille. In effetti i titoli non scendono a 40, probabilmente proprio perché l’incertezza del processo. Che, ribadisco, era comunque l’unica strategia credibile.

  21. Roberto Martucci

    Ho letto con estremo interesse l’articolo; i suoi contenuti attestano che quando si analizzano le fonti con competenza (“saltando” l’intermediazione della letteratura che le commenta) i risultati dell’indagine meritano la massima considerazione.
    È, invece, inesatto «che la spedizione dei Mille non è fatta dai Savoia, ma da Garibaldi» (Casanova, 04.01.12), trattandosi piuttosto di “operazione militare coperta” promossa/incoraggiata dall’agente cavouriano Giuseppe La Farina, segretario della Società Nazionale (cfr. Cavour, Epistolario, XVII** 1860, Firenze, Olschki; Epistolario di G. La Farina, vol. II, Milano, Treves).
    Ho letto tutti i commenti improntati a spirito “apriliano/zitariano”, ma, rispetto ai contenuti dell’articolo di canova, sono fuori tema.
    Roberto Martucci, ordinario di Storia Costituzionale (SPS/03), Università del Salento, autore de L’invenzione dell’italia unita (1855-1864), Sansoni, 1999

  22. situazione debitoria regno di piemonte

  23. L’articolo è interessante. Vorrei sapere con chi aveva debiti e in che misura il regno di piemonte prima dei mille e se e in che modo sono stati pagati dopo l’annessione del sud
    grazie

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