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Più posti per le donne. Solo ai vertici delle società?

Il primo passo del nuovo governo è stata la scelta di un governo “paritario” con un 50 per cento di ministri donne. Qualche giorno fa  un’altra scelta in questa direzione è stata quella di avere solo donne capolista alle elezioni europee, a parziale compensazione della bocciatura della parità nella rappresentazione di genere nella nuova legge elettorale.Ieri le nuove nomine nelle società pubbliche quotate in borsa cambiano quasi tutti i nomi al vertice  e introducono le prime presidenti donne: Emma Marcegaglia all’Eni, Luisa Todini alle Poste, Patrizia Grieco all’Enel e Catia Bastioli a Terna.
Questo cambiamento è un dato positivo in un situazione in cui la presenza delle donne nelle posizioni apicali, è stata bassissima fino al 2011 e solo ora in via di lento miglioramento grazie alla legge 120 Golfo-Mosca (la percentuale delle donne nei Cda è cresciuta dal 7 al 17 per cento).
Tuttavia come sappiamo le presidenze, pur essendo elemento di rottura con il passato, rischiano di essere incarichi più di rappresentanza che di sostanziale dirigenza. Altra cosa sarebbe stato se queste nomine avessero riguardato posizioni di dirigenza come quella di amministratore delegato.
Sarà comunque importante monitorare i risultati dei cambiamenti nei Cda, e delle posizioni presidenziali per verificarne l’impatto sulla condizione femminile. È vero, come abbiamo detto in precedenza, che il recente miglioramento delle donne ai vertici è in contrasto con una situazione statica e in peggioramento a seguito della crisi. Questa situazione è stata notata dal Direttore del Fmi Christine Lagarde che ha invitato a prendere iniziative efficaci e rapide.
Nella legge delega sul Lavoro, numerosi interventi sono stati presentati in Parlamento a sostegno della maternità e per la conciliazione lavoro famiglia con l’obiettivo di stimolare l’offerta di lavoro. Ma se l’offerta di lavoro è aumentata negli ultimi due anni, come mostrano i dati relativi alla disoccupazione e anche in parte quelli relativi all’occupazione, è la domanda di lavoro che è restata ferma. È proprio qui che è cruciale intervenire con obiettivi mirati in un quadro generale e di politiche per la crescita.

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Il Punto

  1. rob

    La capacità o meno di una persona si misura con una legge? Alla conduzione di un qualsiasi organismo stabiliamo che 50% uomini e 50% donne? Direi che per uscire da questo buio medioevale dovremmo proprio evitare di fare una legge simile? In questo Paese ha sempre prevalso una regola : se non hai gran futuro, se non sei un eccelso professionista, se non hai idee e obiettivi l’unico rifugio è la politica. Allora capiamo perché si fanno simili leggi, la capacità, la volontà, la meritocrazia incute terrore a queste menti.

  2. Serve davvero dare alla Marcegaglia la somma di euro 250 mila euro annui? Non ha una propria impresa? Sarà impegnata tutto il giorno sull’Eni, oppure a tutto pensa l’amministratore delegato che ha un compenso di 3 milioni di euro? Forse non sono delle nomine politiche? Perché buttare i soldi, ai consiglieri senza deleghe doveva essere dato solo un gettone di presenza, agli amministratori delegati un compenso legato alla produttività, se il Presidente ha le deleghe, chi ha deciso che è all’altezza del ruolo? Risulta che l’azienda di famiglia non sia gestita da Emma, quali sono i suoi meriti? Lo stesso giudizio per gli altri: sono solo cariche politiche che non servono a nulla.

  3. marcello esposito

    La presenza di donne tra gli accademici, nelle professioni e nei consigli di amministrazione è sicuramente un segnale di meritocrazia, se il sistema di selezione è “libero”. In un contesto non-meritocratico, tuttavia, imporre la parità di genere ha due controindicazioni. La prima controindicazione è che si introduce un meccanismo discriminatorio a danno degli uomini “bravi” senza che le donne “brave” se ne avvantaggino. Se infatti il sistema non è meritocratico, verranno selezionate non le donne “brave” ma le rampolle delle famiglie potenti. La seconda controindicazione è che la composizione di genere perde la valenza segnaletica sul tasso meritocratico effettivo di una società. Ci si scopre tutto ad un tratto al top della classifica e ci si bea del gran risultato ottenuto, senza perseguire le dure riforme, culturali e strutturali, necessarie per realizzare effettivamente la meritocrazia e per tale via la parità di genere.

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