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Un errore “annacquare” la liquidità

Dopo lo scoppio della crisi dei subprime, le autorità di regolamentazione finanziaria si sono concentrate sul tema della liquidità delle banche. Anche il Comitato di Basilea ha cercato di imporre un approccio prudenziale nella scelta delle attività possedute. Ma difficoltà e rischi non mancano.

L’INIZIO DELLA CRISI

Sono trascorsi quasi cinque anni e mezzo dalla fatidica data del 9 agosto 2007. In quel giorno la Bnp Paribas annunciava il congelamento di alcuni suoi fondi che avevano investito in cartolarizzazioni di mutui immobiliari statunitensi di bassa qualità, i cosiddetti subprime. Da quel giorno, i mercati finanziari hanno cominciato a rivedere radicalmente il loro approccio, fuggendo il più velocemente possibile dai titoli più rischiosi, cosa che, con una certa intensità, stanno facendo ancora adesso, come ha sottolineato recentemente il governatore della Bce Mario Draghi.
Il repentino cambiamento dell’intonazione dei mercati nell’agosto del 2007 produsse effetti a catena su molti operatori di tutta l’economia mondiale. Il problema che molti istituti di credito si sono trovati improvvisamente a fronteggiare è stato quello di ripagare debiti, contratti soprattutto a breve termine per sfruttare i bassi tassi d’interesse, vendendo attività che il mercato non domandava più, visto l’elevato grado di incertezza sul loro effettivo valore. In altri termini, queste istituzioni finanziarie si sono trovate a fronteggiare, in primo luogo, una crisi di liquidità. Il passo successivo allo stadio più avanzato di crisi di insolvenza è stato abbastanza rapido, con il collasso, agli inizi del 2008, di Bear Stearns, una delle primarie banche d’investimento americane, e successivamente di Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie governative statunitensi specializzate nell’erogazione di garanzie nel comparto dei mutui immobiliari. L’epilogo si è avuto nel settembre del 2008 con il default di Lehman Brothers, storica banca d’investimento americana che in passato era riuscita a superare indenne anche la grande crisi del 1929, ma che nulla ha potuto di fronte all’esplosione della bolla dei mutui subprime.

ATTENZIONE ALLA LIQUIDITÀ

È chiaro il motivo per il quale l’attenzione di tutte le principali autorità di regolamentazione finanziaria, subito dopo questi eventi, si concentrò sul tema della liquidità delle banche. In passato, infatti, gli accordi conclusi a Basilea si erano focalizzati quasi esclusivamente sul tema del grado di capitalizzazione, mentre erano stati trascurati i rischi sulla stabilità finanziaria che potevano essere determinati dal basso grado di liquidità degli attivi bancari, rischi che aumentano in modo considerevole proprio in situazioni di crisi sistemiche.
La risposta del Comitato di Basilea è stata quella di prevedere, nel suo terzo accordo, requisiti più stringenti non solo sul patrimonio, ma anche sul grado di liquidità dell’attivo. Il Comitato ha previsto che ogni banca deve disporre di attività liquide, o liquidabili sui mercati in breve tempo senza incorrere in grandi perdite, che gli permettano di fare fronte, anche in scenari di forte stress sui mercati, alle sue esigenze di liquidità per trenta giorni (è il cosiddetto Liquidity Coverage Ratio, o Lcr). La logica del vincolo è chiara: si vuole imporre agli istituti di credito di avere un approccio prudenziale nella scelta delle attività possedute, in modo tale da poter disporre di un sufficiente cuscinetto di titoli liquidi che permettano di affrontare il mare in tempesta.
Il problema che subito si apre è però quello di individuare quali siano le attività meno soggette ai rischi di liquidità, ovvero quelle attività che possano essere vendute sui mercati in tempi brevi e senza incorrere in eccessive perdite anche in condizioni di forte turbolenza. Inizialmente il Comitato di Basilea ha individuato principalmente nei titoli di Stato le attività che possedevano questo requisito. In realtà, la recente crisi che ha coinvolto le finanze pubbliche di alcuni dei paesi dell’area euro, tra cui anche l’Italia, ha posto bene in evidenza come anche sui titoli sovrani possano verificarsi situazioni inattese. Le quotidiane cronache borsistiche ne sono una chiara dimostrazione: alla crescita dello spread Btp-Bund si associa una caduta dei prezzi di Borsa delle banche italiane perché l’ingente mole di titoli di Stato che hanno in portafoglio tende a deprezzarsi; l’esatto contrario accade quando lo spread tende invece a diminuire. A questo va aggiunto che di recente il Comitato di Basilea ha ulteriormente modificato il requisito sulla liquidità introducendo la possibilità di far rientrare nel computo dell’Lcr altre tipologie di titoli, quali le obbligazioni emesse da società non finanziarie con rating compresi tra A+ e BBB-, o i titoli cartolarizzati aventi come sottostante mutui immobiliari con rating almeno pari ad AA. Anche se a queste attività verrà comunque applicato uno sconto sul loro valore (tra il 25 e il 50 per cento; è il cosiddetto haircut), appare in ogni caso discutibile la scelta di alleggerire i vincoli previsti sull’Lcr. Oltretutto, si fa ancora una volta ricorso al giudizio delle agenzie di rating per ricomprendere o meno un titolo nel novero di quelli facilmente liquidabili, senza però aver risolto il problema del conflitto di interessi che vi è insito. Basta dire che il costo connesso con l’assegnazione del rating è pagato dalla società che lo richiede. Come sottolineato da Nouriel Roubini e Stephen Mihm, ciò equivale a concepire una scuola in cui siano gli studenti a pagare direttamente i professori per ogni giudizio a loro dato, probabilmente il mondo ideale per gli studenti più svogliati. (1)
Infine, il Comitato di Basilea ha anche deciso un periodo più lungo di decantazione prima che le nuove regole divengano operative: entreranno pienamente in vigore solo a partire dal 2019, rispetto alla precedente data del 2015. A spingere verso questa decisione ha contribuito in modo fondamentale il risultato del monitoraggio sullo stato di implementazione di Basilea 3, che ha evidenziato un certo ritardo, per alcune banche esaminate, nel raggiungimento del requisito di liquidità. Una troppo rapida implementazione dell’Lcr avrebbe infatti rischiato di intensificare ulteriormente il processo di deleveraging già in corso in molti paesi avanzati.
Dopo la crisi del 1929, il legislatore americano reagì in tempi rapidi emanando già nel 1933 il Glass-Steagall Act, che separò di colpo le attività bancarie di natura commerciale da quelle d’investimento e che garantì una lunga fase di stabilità finanziaria, durata per circa mezzo secolo.
Più recentemente, invece, i guasti derivanti dalla pessima regolamentazione finanziaria, di cui i principali paesi al mondo si erano dotati prima dello scoppio della crisi finanziaria, sono diventati forse un ricordo troppo lontano per spingere i policy maker ad adottare decisioni più coraggiose e più semplici da monitorare. (2)
Il rischio è che il sistema finanziario, dimenticati tutti gli errori compiuti in passato, possa ritrovarsi, nel giro di qualche anno, a dover affrontare nuovamente situazioni di crisi, potenzialmente ancor più catastrofiche.
(1) Roubini N. e S. Mihm, (2011), Crisis Economics. A Crash Course in the Future of Finance, Penguin Books.
(2) Si veda al riguardo Charles Calomiris (2013), “Meaningful banking reform and why it is so unlikely”, Voxeu.org.

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Il regolatore riluttante

  1. Tommaso P.

    La vera soluzione definitiva alle crisi finanziarie passa soltanto dalla separazione tra banche commerciali e di investimento. Solo così ci potremo tornare alla normalità e non far più pagare ai cittadini i costi di investimenti scellerati e purtroppo impuniti.
    La cosa che mi sgomenta è che a distanza di quasi cinque anni nessuno ai livelli alti (Governi, UE, EBA ecc… ecc…) parli di questa possibile regolamentazione (a parte l’Inghilterra). Mi rendo conto che sarebbe molto complesso dirimenre le varie problematiche al riguardo, ma così il sistema bancario è ingessato.

  2. renzo

    Finalmente si comincia a capire che è stato esiziale l’abbandono della normativa bancaria e finanziaria adottata dopo la crisi del 1929, per evitare gli errori che l’ avevano provocata. Purtroppo però gli esperti non hanno reagito, a suo tempo, contro i provvedimenti demolitori della rigida normativa precedente, adottati da Clinton e via via dai vari governi europei. Anzi li hanno lodati. Comunque meglio tardi che mai, anche se purtroppo ora i buoi sono scappati e sarà molto difficile riportarli nella stalla.

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